Stellantis, cosa cambierà per l’Italia dopo le dimissioni di Tavares?

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Ci sono cambiamenti che avvengono prima lentamente, e poi tutto in un colpo: nel settore dell’automobile siamo passati alla seconda fase, quella nella quale il cambiamento non è più graduale e gestibile, ma violento e traumatico. Nel giro di poche ore l’amministratore delegato del gruppo Stellantis, Carlos Tavares, si è dimesso e i dipendenti di Volkswagen in Germania hanno iniziato uno sciopero a oltranza contro le chiusure di tre stabilimenti, esuberi e tagli agli stipendi.

Eppure sia Stellantis che Volkswagen sono aziende che presentano bilanci in attivo e che fino a pochi mesi fa si dicevano ottimiste sul futuro. Mentivano o qualcosa è cambiato?

Non sono aziende in crisi, ma sono aziende che si trovano di fronte le conseguenze di scelte strategiche fatte negli ultimi anni. Volkswagen paga l’eccessiva dipendenza dal mercato cinese, che sta rallentando, Stellantis non riesce più a compensare con risparmi sui costi alcuni problemi strategici, soprattutto il ritardo nella transizione dalla benzina all’elettrico.

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IL FUTURO INCERTO DI STELLANTIS

L’azienda entra in un terreno inesplorato, per varie ragioni. La prima è che sembra destinata a rimanere senza una guida con pieni poteri per molti mesi. La seconda è che Tavares era l’uomo che aveva costruito il progetto di Stellantis, cioè uno dei grandi gruppi europei di un settore nel quale i piccoli non possono più sopravvivere. Se lui viene cacciato, o spinto all’uscita, è forse perché si è capito che l’intero progetto era sbagliato o almeno insufficiente?

I poteri passano a un comitato di gestione guidato dal presidente di Stellantis, John Elkann, che è l’altro grande protagonista del percorso di consolidamento iniziato un quindicennio fa, quando insieme a Sergio Marchionne ha rilevato la disastrata Chrysler, dopo la Grande crisi finanziaria del 2008.

Fino a metà 2025 Stellantis potrebbe rimanere senza amministratore delegato: era già previsto che Tavares lasciasse, ma soltanto a inizio 2026, al termine del contratto e a 68 anni. Non è chiaro cosa sia successo per accelerare in modo così drammatico la sua uscita: formalmente si tratta di dimissioni, ma pare un licenziamento.

Tavares aveva preso la guida di PSA, il gruppo che controlla il marchio Peugeot, nel 2014, aveva rilevato Opel dalla General Motors nel 2017, e proprio la controllata europea del gruppo di Detroit era da sempre considerata una naturale aggiunta alla Fiat.

Nel 2021 è arrivata la fusione tra FCA, cioè Fiat Chrysler, e PSA-Opel per dare vita a una gruppo europeo capace di competere con Volkswagen, Ford, e reggere la concorrenza cinese.

Francesco Zirpoli, economista dell’Università Cà Foscari di Venezia, è il più autorevole studioso del mercato automotive in Italia. Professor Zirpoli, che bilancio possiamo fare della gestione di Tavares fin qui? Dovendo individuare il suo maggiore successo e il suo peggior fallimento, cosa potremmo indicare?

È sbagliato in genere personalizzare la gestione delle imprese che sono ovviamente imprese complesse possiamo dire che la gestione di Stellantis da parte di Carlos Tavares può annoverare come maggior successo e quello di aver gestito un processo di consolidamento e crescita dimensionale attraverso acquisizioni importanti: prima con Opel, poi con Fca.

Quell’espansione ha costituito un elemento di forza strutturale, ma forse proprio nella gestione di queste acquisizioni si può riscontrare anche il maggior fallimento, se di fallimento si può parlare anche perché l’azienda è comunque grande grande e ha ancora tempo per recuperare terreno.

Tavares non ha cercato ricevuto una reale integrazione dei pezzi migliori delle varie aziende, ma ha presieduto a una sovrapposizione di stili e modalità di gestione. Per esempio, nella produzione non ha valorizzato quello di burro ed è stato fatto prima pensiamo al World Class Manufacturing che aveva portato gli stabilimenti italiani a livelli molto alti di efficienza ma che è stato smantellato.

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Stellantis ha davanti un futuro molto incerto: non si capisce bene la sua strategia sull’elettrico, e non è chiaro neppure cosa voglia il governo dall’azienda, visto che chiede di aumentare la produzione domestica ma non si pone la questione della transizione all’elettrico. Che prospettive ci sono per il settore automotive in Italia nei prossimi cinque anni?

Stellantis continuerà a investire in Italia se l ‘Italia presenterà condizione di attrattività. Spingere su motorizzazioni non elettriche è stato un errore, l’Italia dovrebbe diventare attrattiva per chi vuole investire nell’elettrico, Stellantis inclusa.

Perché oggi non esiste in Italia un automotive forte senza Stellantis in Italia rappresenterà delle condizioni di attrattività spingere su motorizzazione non elettriche ed è stato un errore per quanto riguarda il posizionamento dell’Italia e quindi sarebbe auspicabile che l’Italia diventasse attraente e attrattiva per chi vuole investire l’elettrico in primis stellati di sicuro sicuro ad oggi non esiste un automobile italiana forte senza Stellantis.

Notizie come l’addio di Tavares suscitano sempre grande preoccupazione per il destino dei posti di lavoro italiano nel settore auto. Ma qui c’è poco da essere ottimisti, la traiettoria è già segnata.

Prendo i dati dall’Osservatorio sul settore automotive della Cà Foscari curato proprio dal professor Zirpoli. Nell’edizione relativa al 2023, si legge che “il netto ridimensionamento dell’occupazione del gruppo Stellantis è, ormai, un dato di fatto”.

Questi i numeri:

“Nel corso degli ultimi 3 anni come conseguenza dei piani di incentivazione alle dimissioni volontarie (e solo in piccolissima parte in relazione ai contratti di espansione) sono fuoriusciti dal gruppo più di 7mila dipendenti. Si tratta di un percorso che l’azienda intende continuare nei prossimi anni, confermando in tal modo quanto dichiarato all’inizio del 2023 circa l’intenzione di ridurre entro il 2030 del 30 per cento il numero degli addetti in Italia”.

Avete capito bene: una riduzione del 30 per cento in sette anni, dopo che tra 2014 e 2023 – secondo i dati della Fiom-Cgil – già si erano ridotti del 21 per cento, da 40.081 a 31.593.

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E’ la conseguenza forse inevitabile di un settore che sta cambiando, altri mercati sono più rilevanti di quelli occidentali: la produzione mondiale è passata da 58 milioni nel 2000 a 85 milioni di veicoli nel 2022. L’area NAFTA, cioè Stati Uniti, Messico e Canada, e l’Unione europea sono passate dal produrre 36 milioni di veicoli su 58 milioni a 28 milioni annui su 85 milioni.

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Inoltre, il futuro è chiaramente dei veicoli a batteria, le auto elettriche, che hanno una filiera di produzione completamente diversa. Il valore aggiunto sta appunto nelle batterie e, soprattutto, nel software che gestisce auto sempre più simili a smartphone. E proprio come negli smartphone, aziende di batterie e aziende di software finiscono per integrarsi e creare nuovi protagonisti, mentre per i vecchi resta ben poco.

Che fine faranno le filiere della meccanica di precisione che impiegano migliaia di persone in Italia se nel settore automotive ci sarà sempre meno meccanica?

Tanto in Italia quanto negli Stati Uniti, nelle sue interazioni con la politica, Carlos Tavares non lasciava molte speranze, segnalava un problema senza avere una soluzione. Questi i suoi conti: produrre un’auto elettrica costa tra il 40 e il 50 per cento in più rispetto a una equivalente a benzina, ma richiede tra il 30 e il 40 per cento di forza lavoro in meno.

Dunque si devono tagliare i costi di produzione rispetto alle filiere a benzina e incentivare la domanda con soldi pubblici per ridurre i prezzi finali e dare ai produttori un minimo di garanzia che le costose auto elettriche prodotte verranno poi davvero comprate. Altrimenti tutto si blocca.

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Ora Tavares viene scaricato, in pratica, per non aver saputo risolvere questo rompicapo manageriale complesso: come salvare gli utili nei mercati maturi, in particolare quello americano, mentre si cerca di costruire un mercato completamente nuovo, quello dell’elettrico, dove i produttori cinesi hanno un vantaggio di tecnologia e di costi difficile da recuperare.

Compito improbo, ma Tavares era anche molto ben pagato per riuscirci. Anzi, era uno dei manager più pagati al mondo: ad aprile, il 70 per cento degli azionisti votanti in assemblea, aveva approvato un pacchetto di remunerazione complessivo da 36,5 milioni di euro. Come osservava Le Monde in quei giorni, quella cifra equivale a 1586 anni di stipendio per un lavoratore alla catena di montaggio di uno stabilimento francese con paga base.

Dalla relazione di Stellantis sulle remunerazioni variabili dei manager, si scopre anche che Tavares ha un pacchetto di azioni che vale circa altri 54 milioni di euro. Come anche il presidente John Elkann, anche se con cifre diverse, il capo azienda appena cacciato cumulava ogni anno incentivi di lungo periodo che, in teoria, dovevano servire a spingerlo ad adottare strategie che garantissero risultati stabili e duraturi per Stellantis, non soltanto nell’immediato.

Andrea Malan, giornalista esperto del settore, è una firma di Automotive News. Andrea, questi compensi da record di Tavares sono stati meritati?

Tavares era pagato così tanto per massimizzare i profitti di Stellantis e far salire il suo valore in Borsa. Il 2023 si era chiuso con un record di oltre 18 miliardi di euro di utili e un valore le azioni salito da 12 euro alla fusione a oltre 27 nel marzo di quest’anno. La ricetta Tavares ha puntato sugli utili di breve periodo, tagliando i costi il più possibile, cercando di vendere meno auto ma a prezzi più alti.

Quando i problemi industriali e di mercato sono venuti a galla, soprattutto negli Stati Uniti, le azioni sono tornate in breve tempo a 12 euro.

Quindi, come spesso accade nei casi di questi maxi-stipendi, con il senno del poi quegli incentivi milionari a Tavares non hanno prodotto i risultati desiderati.

In questi mesi il governo Meloni ha lanciato una campagna contro Stellantis per cercare di condizionarne le strategie e riportare posti di lavoro in Italia, qualche settimana fa Tavares è stato ascoltato alla Camera.

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Adesso la testa del nemico del governo è caduta, ma i problemi da affrontare sono diventati soltanto più complicati.



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