A Gaza festa tra le macerie. In strada islamisti armati

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Tre ore di ritardo, poi la tregua annunciata a Gaza è diventata realtà. La sfilata delle auto di Hamas per le strade di Deir al-Balah con i miliziani sui cofani delle vetture certificava in tarda mattinata l’avvenuto cessate il fuoco; il rumore delle armi sostituito dai clacson, il ritorno nella Striscia dei kalashnikov imbracciati e sventolati dai finestrini, prontamente trasmessi da al Jazeera. Via via che l’accordo diventava realtà, analoghe scene a Gaza City. I cellulari di giovani palestinesi immortalavano il «corteo» dei primi 3 ostaggi israeliani da rilasciare è stato così trasformato in una celebrazione delle brigate Qassam e al Quds, i bracci armati di Hamas e Jihad islamica, l’altro gruppo artefice della mattanza del 7 ottobre 2023.

Dopo settimane di fughe nei tunnel, di nascondiglio in nascondiglio, i movimenti islamisti hanno provato a «segnare il territorio» immediatamente, in attesa di capire se l’ala politica di Hamas avrà o meno un ruolo sul nuovo corso. Mentre si organizzava il rilascio dei detenuti palestinesi dalle carceri israeliane (69 donne e 21 minori, 76 provenienti dalla Cisgiordania e 14 da Gerusalemme Est che Israele ha iniziato a liberare nel pomeriggio) l’ufficio informazioni di Hamas faceva infatti sapere d’aver iniziato in tutta la Striscia il dispiegamento di migliaia di poliziotti per mantenere ordine e sicurezza. Dal Sud, colonne di migliaia di sfollati iniziavano a percorrere la strada per verificare se le loro case fossero in piedi nelle zone colpite dai raid in 471 giorni di guerra. Camion con rifornimenti alimentari e una cinquantina di ambulanze erano già entrati dal valico di Rafah, al confine con l’Egitto, riaperto per la prima volta dal maggio scorso dalle autorità del Cairo e che nei prossimi giorni dovrebbe ospitare le delegazioni internazionali per parlare di ricostruzione: tra sospiri di sollievo e incognite da sorvegliare.

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Le forze israeliane si sono ritirate a circa 2 km dall’area. Dopo l’autorizzazione data da Israele a 250 camion di merci e aiuti umanitari (600 quelli che ogni giorno faranno avanti e indietro per portare medicinali e beni di prima necessità) alcuni palestinesi dichiaravano all’Ansa d’essere «arrabbiati con Hamas per ciò che ha fatto causando migliaia di morti». Al Jazeera raccontava l’opposto: giubilo popolare e sfoggio di compattezza degli islamisti, canti pro-Hamas davanti agli ospedali della capitale. Sorrisi, bandiere palestinesi, mercati riforniti. Gente provata ma festante, pronta ad accogliere prigionieri dal carcere di Offer, in Cisgiordania, come atleti dopo una vittoria alle Olimpiadi. Il più giovane dell’elenco è il 15enne Mahmoud Aliowat. E c’è anche Khalida Jarrar, 62 anni, membro di spicco del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, la fazione di sinistra con un gruppo armato che ha compiuto attacchi contro israeliani.

Solo nel pomeriggio i primi passi dell’accordo basato sul complesso step by step. I bombardamenti israeliani si sono fermati intorno alle 10,50, ora italiana, non prima degli ultimi raid. Secondo il portavoce della Protezione civile, un morto a Rafah, 6 a Khan Younis, 9 a Gaza City, 3 nel Nord. Per Israele, «obiettivi terroristici» colpiti visto il tergiversare degli islamisti, la cui lista non era stata consegnata. A rilascio iniziato, un portavoce militare di Hamas rassicurava in video: «Rispetteremo il cessate il fuoco». Volto coperto da una kefiah. Poi un’altra voce dal Qatar, sempre di Hamas: «Sabato il rilascio del secondo gruppo di ostaggi».

«Dopo tanto dolore e perdite, le armi a Gaza hanno taciuto», dichiarava soddisfatto il presidente uscente degli Stati Uniti. «Hamas non governerà più», secondo Joe Biden, perché il leader è morto e «gli sponsor nel Medioriente sono stati indeboliti da Israele».

L’ottimismo cozza però con le ambiguità sul campo e le divisioni interne ai palestinesi: il braccio armato di Hamas ha fatto sapere che la tregua dipende dal rispetto degli impegni da parte di Israele, aprendo incognite sulla tenuta. E su chi comanda davvero a Gaza: bandane verdi e passamontagna, occhiali da sole e mitra spianati (ieri silenti) o gli «esuli» in Qatar.



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