I giudici dicono no alla consultazione sulla riforma. Via libera a Jobs act e cittadinanza. Delusione della Cgil e delle associazioni. Il Pd: «Ora la Lega non tenti furbate»
«L’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari». La Corte costituzionale gela le speranze di oltre un milione di cittadini e cittadine che aveva firmato il referendum per l’abrogazione totale della legge 86 del 2024, l’autonomia differenziata, la contestata legge Calderoli che già nello scorso dicembre la stessa Corte aveva mutilato in maniera radicale, con la sentenza 192 che aveva individuato nel testo approvato dalle camere – cioè dalla maggioranza di destra – ben sette profili incompatibili con la Costituzione, dai livelli essenziali di prestazione alle aliquote sui tributi.
La Consulta ha pronunciato cinque sì e un no: ha ammesso gli altri quesiti della tornata, i quattro della Cgil sul lavoro, fra cui l’abolizione del Jobs Act (ma anche la parziale abrogazione delle norme sui contratti a termine, la revisione delle regole sull’indennità in caso di licenziamenti nelle piccole imprese e la cancellazione delle norme che escludono la responsabilità solidale tra committente, appaltatore e subappaltatore in caso di infortuni sul lavoro).
Ed è un sì anche sul quesito sulla cittadinanza, l’ultimo che si è aggiunto alla raccolta di firme e che ha l’obiettivo di dimezzare da dieci anni a cinque il periodo minimo di residenza legale in Italia richiesto agli stranieri maggiorenni per ottenere la cittadinanza italiana.
Un macigno sul quorum
Ma il no sull’autonomia differenziata è quello che pesa come un macigno sulle speranze di successo dei referendari: il tema era ormai diventato popolare grazie alla campagna delle associazioni e delle opposizioni, la maggioranza degli italiani, secondo i sondaggi, è contraria.
Ed è stato anche un cavallo di battaglia dei presidenti delle regioni del Sud – Puglia, Toscana, Sardegna e Campania – che hanno anche tentato la strada della Corte e si sono visti accogliere parzialmente i propri ricorsi. Quello contro l’autonomia, insomma, era il quesito su cui i referendari contavano per portare alle urne la metà più uno degli elettori aventi diritto, unica maniera di rendere valida la consultazione. Ora la strada del quorum è tutta in salita.
Comprensibile la delusione dei comitati, dunque. Anche quella delle opposizioni in parlamento, che pure si sono spese nella battaglia: tutte tranne Azione, che non aveva voluto prendere parte al Comitato dei ricorrenti. Ma la sensazione, inconfessabile, è quella dello scampato pericolo: la legge Calderoli, è il ragionamento, è stata già vinta con il severo giudizio della Corte, quello di dicembre; e una sconfitta del referendum rischiava di ridare fiato alla Lega e alle sue ambizioni.
La notizia della bocciatura del referendum sull’autonomia differenziata arriva nel tardo pomeriggio, la sentenza sarà depositata nei prossimi giorni. Ma già stamattina sarà spiegata dal nuovo presidente della Corte, che alle 9 e mezza sarà eletto dagli undici giudici che attualmente la compongono; e dunque si troverà in conferenza stampa due ore dopo a spiegare ai cronisti le ragioni di una scelta che scontenta la Cgil e i comitati che si sono spesi per azzerare lo «Spacca-Italia».
Ma per la Corte il quesito, che si applicava di fatto a un testo di legge ormai di fatto modificato, «pregiudica la possibilità di una scelta consapevole da parte dell’elettore. Il referendum verrebbe ad avere una portata che ne altera la funzione, risolvendosi in una scelta sull’autonomia differenziata, come tale, e in definitiva sull’art. 116, terzo comma, della Costituzione; il che non può essere oggetto di referendum abrogativo, ma solo eventualmente di una revisione costituzionale», dice il comunicato ufficiale.
Amarezza della Cgil
Le prime reazioni della Cgil sono di «grande amarezza». La Corte, secondo il sindacalista Nicola Ricci, del sindacato campano, «nega dignità alla volontà di migliaia di cittadini che lo hanno sottoscritto». «Quel che è chiaro è che l’autonomia differenziata come la voleva Calderoli non potrà mai essere realizzata proprio perché incostituzionale», dice il senatore Dario Parrini.
«Esortiamo il centrodestra a evitare forzature sulle intese con le regioni, che vanno bloccate immediatamente, e a non tentare blitz e furbate in parlamento, dove faremo muro contro ogni eventuale tentativo di aggirare i principi chiarissimamente fissati dalla Consulta». Per il M5s in ogni caso la Consulta ha fatto a pezzi il ddl Calderoli «articolo per articolo. La nostra battaglia per difendere e rafforzare la coesione sociale va avanti con la determinazione di sempre».
La Lega prova a cantare vittoria, e Zaia esulta: «Ora è stato chiarito ogni dubbio sulla riforma». Ma la legge è di fatto bloccata, almeno finché il parlamento non interverrà per correggere le parti bocciate. E non è una priorità per Giorgia Meloni, lo si è capito in queste settimane di attesa della sentenza della Corte.
La battaglia campale referendaria ora si sposta sul tema della cittadinanza: «Chiediamo che il referendum si svolga in concomitanza con le altre elezioni amministrative e regionali, in una data che non disincentivi la partecipazione e che sia garantita l’informazione pubblica», chiede Riccardo Magi di +Europa, fra i primi promotori di quel quesito.
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