Mancato accordo sul Ccnl sanità: viene al pettine il nodo di una contrattazione collettiva asfittica

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La contrattazione collettiva nel lavoro pubblico mostra da anni affanno e poca capacità incisiva.

Basti pensare al lunghissimo periodo di blocco, intercorso dal 2011 al 2018, imposto dalle leggi finanziarie e di bilancio, conseguenti alle crisi economiche di quegli anni.

L’autonomia contrattuale, nell’ambito del lavoro pubblico, è estremamente limitata, tanto che il Legislatore può addirittura negarla, come appunto avvenuto tra 2011 e 2018 (c’è voluto l’intervento della Corte costituzionale, con la sentenza 178/2015, per indurre il Parlamento a ripartire con la contrattazione).

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Non va mai dimenticato che la spesa per il lavoro alle dipendenze della PA oscilla tra il 15 e il 15% della spesa totale, per un valore assoluto tra i 187 e 190 miliardi.

Pertanto, occuparsi dei contratti e delle condizioni economiche dei dipendenti non implica solo adottare strategie negoziali e relazioni “industriali”, ma anche assumere rilevanti decisioni di politica economica. Infatti, i rinnovi muovono rilevanti risorse pubbliche e, con una finanza pubblica soffocata dai debiti con conseguente restrizione delle possibilità di manovra, ulteriormente ristrette da un patto di stabilità che impone 13 miliardi l’anno di riduzione della spesa, non è certo facile consentire incrementi significativi della spesa per il lavoro pubblico.

Tanto è vero che sia per la tornata contrattuale del triennio 2022-2024, quella attualmente in corso, sia per quelle future, il Legislatore ha previsto risorse largamente inferiori rispetto a quelle che sarebbero da applicare se, rispettando l’indice Ipca (indice dei prezzi al consumo armonizzato. al netto del costo dei beni energetici importati), si coprisse per i periodi triennali considerati quantomeno gli aumenti del costo della vita. Gli stanziamenti previsti corrispondono a circa ⅓ del costo della vita e la prospettiva è di giungere ad un arco temporale di circa 9 anni, nel corso dei quali i contratti pubblici vedranno continuamente allargarsi il divario tra aumenti possibili e indice dei prezzi.

Fino alla contrattazione del triennio 2019-2021 è stato possibile abbozzare, anche con la revisione dell’ordinamento del personale, il rilancio delle progressioni orizzontali e la riproduzione delle progressioni verticali aperte anche a chi non possiede il titolo di studio per accedere alla superiore classificazione: metodi per scaricare sui bilanci delle PA (anche a costo, però, di frapporre ostacoli al ringiovanimento del personale) costi per sostenere le retribuzioni.

Ovviamente, questo modo di operare non può durare a lungo, perchè anche le amministrazioni hanno limiti di bilancio e progressioni verticali per tutti sono un po’ difficili.

Vengono, dunque, adesso al pettine parecchi nodi, che risulta difficile sciogliere o far finta che non esistano, introducendo nei contratti norme connesse al trattamento giuridico oggettivamente di limitata utilità per i lavoratori, come l’age management o una disciplina del lavoro agile in nulla diversa, anzi per alcun aspetti più restrittiva, da quella unilateralmente disposta dalle regole del 2022 in pandemia.

Succede, quindi, che le nozze coi fichi secchi adesso sono funestate persino da carenza di fichi secchi, mentre l’Aran non può moltiplicare pani e pesci, perchè, a conferma della limitatissima autonomia della parte pubblica, deve ovviamente muoversi entro i margini di spesa fissati dal legislatore e gli ulteriori vincoli disposti dai comitati di settore.

Qualche sigla sindacale, quindi, di fronte a questo stato di fatto pensa, come accaduto per il comparto sanità e ventilato per quello funzioni locali, inizia a ritenere inutile sottoscrivere contratti collettivi privi di effettiva capacità di incidere sul trattamento economico, in assenza anche di significativi e spendibili istituti giuridici.

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Tuttavia, l’attuale stallo delle trattative appare asfittico e privo di prosettive. Anche se la mancata sottoscrizione evidenzia la consapevolezza che si tratta di una recita di un copione, il quadro macroeconomico non cambia, nè pare immaginabile un cambiamento di politica economica connesso all’assenza di accordo contrattuale per poche centinaia di migliaia di dipendenti pubblici.

Lo stallo si rivelerà, nella sostanza, privo di prospettive e foriero solo di un trascinamento di ulteriori ritardi nella sottoscrizione dei contratti. Ma avrà avuto l’unico merito di rendere chiaro a tutti che la contrattazione collettiva pubblica è nella sostanza una mera apparenza.

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