von der Leyen e Kallas assenti all’insediamento

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Un segnale politico inequivocabile. Oltre alle assenze pesantissime del presidente ucraino Volodymyr Zelensky e del premier israeliano Benjamin Netanyahu, alla cerimonia di insediamento del 47esimo presidente degli Stati Uniti, Donald J. Trump, non ci saranno nemmeno i rappresentanti dell’Unione Europea: né la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, né tantomeno la vicepresidente estone Kaja Kallas, Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Questo non solo certifica, per l’ennesima volta, l’irrilevanza dell’Unione europea nello scacchiere internazionale ma è un presagio di quelli che saranno i – controversi – rapporti transatlantici nei prossimi anni già preannunciati simbolicamente dalle schermaglie tra Elon Musk e la Commissione Europea su X. Se l’Ue dovesse imporre misure o multe nei confronti della piattaforma del patron di Tesla, la reazione dell’amministrazione americana sarebbe durissima.

Solo Giorgia Meloni presente alla cerimonia

Lo scorso 10 gennaio, un’imbarazzata Paula Pinho, portavoce di Ursula von der Leyen, confermava che la presidente della Commissione europea non aveva ricevuto alcun invito per la cerimonia di insediamento di Trump. Quest’ultimo, in rottura con la tradizione, ha invitato alcuni leader stranieri alla cerimonia, anche se storicamente questi eventi non vedono la presenza di capi di stato per motivi di sicurezza, con la preferenza di inviare diplomatici al loro posto. E scegliendo chi parteciperà alla cerimonia – come la premier Giorgia Meloni – e chi no – von der Leyen e Kallas – il tycoon dà un segnale politico molto forte. Con la crisi dell’asse franco-tedesca, la presenza del Presidente del Consiglio italiano può rappresentare un’opportunità per l’Italia di diventare un punto di riferimento in Europa per l’amministrazione Trump. Una circostanza favorevole che, tuttavia, come ha sottolineato Andrea Muratore su InsideOver, non è esente da rischi e insidie.

Perché Trump non ha fiducia nell’UE

“Chi devo chiamare se voglio parlare con l’Europa?” affermava in una famosa espressione Henry Kissinger, riflettendo lo scetticismo statunitense verso la capacità dell’Europa di parlare con una voce unica. Donald Trump, in modo decisamente più diretto e meno diplomatico rispetto all’ex Segretario di Stato, è un pragmatico che privilegia i rapporti diretti one-to-one e mostra scarsa fiducia nelle grandi organizzazioni internazionali e nelle istituzioni sovranazionali come l’Unione Europea, che considera strutture burocratiche e inefficaci.

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La sua preferenza è sempre stata per relazioni bilaterali, dove gli Stati Uniti negoziano direttamente con i singoli Paesi, piuttosto che con organizzazioni come l’UE. Un approccio rispecchia la sua filosofia America First, che dà priorità agli interessi nazionali statunitensi rispetto agli accordi multilaterali. Senza contare che Trump, durante il suo primo mandato, ha accusato l’UE di pratiche commerciali scorrette, lamentando un forte squilibrio nella bilancia commerciale a favore dell’Europa, in particolare per quanto riguarda le esportazioni di automobili e altri beni. In termini commerciali, secondo il tycoon, l’UE è un nemico alla pari di Cina e Russia.

Trump ha inoltre accusato i Paesi europei di non rispettare gli impegni finanziari relativi alle spese per la difesa, sostenendo che molti di loro si siano approfittati del sostegno degli Stati Uniti per garantire la propria sicurezza. Come anticipato nelle scorse settimane, intende sollecitare gli alleati europei ad aumentare in modo significativo la spesa militare, fissando come obiettivo minimo il 2% del PIL, con una prospettiva di incremento fino al 5%.

Risultato? Come ha sottolineato Walter Russel Mead, “i leader delle un tempo grandi potenze europee tremano a ogni tweet proveniente da Mar-a-Lago,” evidenziando come il secondo mandato del tycoon alla Casa Bianca rappresenti una sfida epocale per l’Europa. Il ritorno di Trump, con le sue richieste pressanti e la sua visione pragmatica delle alleanze, non solo scuoterà le fondamenta delle relazioni transatlantiche, ma costringerà l’Ue a ripensare il proprio ruolo sulla scena globale, tra autonomia strategica e dipendenza dagli Stati Uniti. L’attuale classe dirigente incarnata da Ursula von der Leyen, Kaja Kallas e dall’ex commissario Breton sono in grado di affrontare una sfida del genere?

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