E quindi, i nuovivecchi Stati Uniti sono nati, il 20 gennaio 2025.
La cerimonia di insediamento di Donald Trump sancisce l’affermazione definitiva di questo immaginario, evidentemente condiviso, che è un impasto di elementi antichi e inediti: un impasto che ha fatto di colpo svanire un intero mondo (politico, culturale) democratico praticamente in un colpo solo, quasi come se non fosse mai esistito – con i suoi echi e riverberi obamiani, sfumature di un tempo che fu e che non fa più presa sul presente; certamente, non ha più nulla a che vedere con lo Zeitgeist (rimane da capire come ma quel mondo, in America e qui, sia così tranquillo nel suo torpore).
L’immaginario arcigno di Donald Trump
Zeitgeist che, per quanto inafferrabile e sfuggente, se ci soffermiamo un po’ a guardarlo e considerarlo con calma – al netto delle semplificazioni televisive e mediatiche, così come al netto dei giudizi tagliati con l’accetta e ritagliati unicamente sull’oggi – si presenta come un pochino arcigno. Penso che l’aggettivo giusto sia questo, tutto sommato: arcigno. E non ha a che fare solamente con i toni minacciosi e violenti, del “in America da oggi esistono solo due generi, maschio e femmina” o del “ci riprenderemo il canale di Panama”. Toni molto gravi, questo è sicuro, ma che si inseriscono in una strana atmosfera di revival.
“L’età dell’oro è appena iniziata”, sostiene il Presidente nuovo che è stato già Presidente: ma che oro è, esattamente? Un oro poco splendente e piuttosto polveroso – l’oro, in definitiva, della corsa all’oro, l’oro del West.
L’età dei pionieri e Donald Trump
La mitologia dei pionieri, della Westward Expansion, percorre e attraversa infatti tutto intero il discorso dell’insediamento di Trump: riappare il “destino manifesto” (Manifest Destiny), l’ideologia americana che sembrava morta e sepolta. Come nella seconda metà dell’Ottocento, è ‘ovvio e anche inevitabile’ che gli Stati Uniti debbano espandersi, espandere la loro influenza e il loro modo di vivere: “In America, l’impossibile è ciò che sappiamo fare meglio. Da New York a Los Angeles, da Philadelphia a Phoenix, da Chicago a Miami, da Houston a Washington, il nostro paese è stato forgiato e costruito da generazioni di patrioti che hanno dato tutto quello che avevano per i nostri diritti e per la nostra libertà. Erano contadini e soldati, cowboy e operai, lavoratori dell’acciaio e minatori, poliziotti e pionieri che si sono spinti in avanti, hanno marciato e non hanno permesso a nessun ostacolo di sconfiggere il loro spirito o il loro orgoglio. Insieme hanno costruito ferrovie, innalzato grattacieli, costruito grandi autostrade, vinto due guerre mondiali, sconfitto il fascismo e il comunismo e trionfato su ogni singola sfida che hanno affrontato”. Ricompare persino William McKinley, presidente dal 1897 al 1901 (quando fu assassinato), grande fautore del protezionismo e vincitore della guerra ispano-americana.
Notare en passant che “contadini e soldati, cowboy e operai, lavoratori dell’acciaio e minatori, poliziotti e pionieri” sono evidentemente tutti maschi, e tutti bianchi: la mitologia fondativa di Trump è rigorosamente selettiva, e si basa comodamente a sua volta sulla rimozione di intere parti di storia. Ma non è questo il punto.
Trump e gli hillybilly su Marte
Nei mesi scorsi, durante la campagna elettorale, avevamo notato (Cosa c’entra Tolkien con Trump e i tycoon dei social; Elezioni americane. J.D.Vance, Trump e il film di Ron Howard | Artribune) come questo immaginario articolato che sostiene e guida il nuovo potere americano fosse così potente anche perché si poggia almeno su altri due pilastri: il mondo e la sottocultura hillbilly, rappresentati dal vice J.D.Vance (il cui vangelo è, per ora, A Hillbilly Elegy), quindi con tutto il senso di rivalsa, rivincita e anche vendetta dei diseredati, white-trash, esclusi da un establishment e (apparentemente) rivalutati e vezzeggiati da un altro establishment; e soprattutto il mondo del futuro. Vale a dire lo spazio, Marte, Musk, la tecnologia avanzata, la comunicazione, l’Intelligenza Artificiale (tutti i tycoon assiepati ieri alle spalle del neopresidente): “E perseguiremo il nostro destino manifesto verso le stelle lanciando astronauti americani per piantare le stelle e le strisce sul pianeta Marte.”
Il futuro, appunto, almeno per come viene concepito e visualizzato oggi, in termini cioè abbastanza rudimentali e semplificati, ma a quanto pare piuttosto efficaci. Anche qui, una serie tv come For All Mankind di AppleTV (2019-2023, 4 stagioni, è in produzione la quinta) ha anticipato negli scorsi anni quelle che potrebbero essere le scene e le immagini a cui assisteremo (compreso l’imprenditore privato che si sostituisce alla NASA nell’esplorazione del pianeta rosso).
Il futuro vecchia maniera secondo Bruce Sterling
Assistiamo allora, nel suo farsi, a una saldatura piuttosto affascinante non tanto tra vecchio e nuovo, ma tra ripetizione e nuovo. Tutto o quasi, in questa presidenza, è all’insegna infatti del “ritorno”: Trump torna alla presidenza dopo quattro anni; Trump stesso è la rievocazione simbolica degli anni Ottanta, considerati l’ultima epoca di prosperità americana, per quanto finzionale (l’AGAIN dello slogan MAGA si riferisce infatti a quel decennio); ritorna l’epopea del selvaggio West e dei pionieri che “hanno-fatto-l’impossibile” (non è la prima volta, in fondo, che questa stessa epopea viene riconfezionata a fini politici); ritorna anche, infine, il futuro, un’idea di futuro che è essa stessa old-fashioned, un “futuro all’antica” come l’avrebbe definito Bruce Sterling, un futuro vecchia-maniera (gli astronauti che piantano la bandiera a stelle e strisce sul suolo di Marte, come una scena già pronta per gli schermi).
Mentre la nostalgia, dunque, continua a estendere la sua ala anche sul domani, la ripetizione e il ritorno racchiudono un nucleo misterioso e oscuro, un nucleo che continua a sfuggire ai meme, ai fuorionda e agli smartphone…
Christian Caliandro
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