Scontro sulle lezioni di bengalese, il prof: «Sapere la lingua d’origine aiuta ad imparare l’italiano»

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di
Alice D’Este

Paolo Balboni, docente di didattica delle lingue moderne, cerca di fare chiarezza:«Non capisco le polemiche: se li facciamo noi italiani va bene, se le fanno loro no?»

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«Chi conosce bene la sua lingua madre impara meglio la lingua L2». Non è una frase di rito. Non è un discorso opinabile. A chiarirlo con la precisione del parlato che lo contraddistingue da sempre è Paolo Balboni, docente ordinario di didattica delle lingue moderne a Ca’ Foscari. Dopo la polemica che nelle scorse ore ha riguardato il corso di lingua bengalese organizzato alla scuola Cesare Battisti di Mestre (il plesso conta circa 1.200 studenti tra infanzia, primaria e secondaria di primo grado di ben 40 nazionalità diverse) dal console onorario del Bangladesh a Venezia Fabrizio Ippolito D’Avino il docente di Ca’ Foscari prova a mettere i puntini sulle «i».

Cerchiamo di fare chiarezza: imparare meglio la propria lingua madre aiuta ad apprendere la lingua L2 (italiana in questo caso)?
«Certamente. Questi sono studi talmente conosciuti che ormai non si fanno neanche più. Erano innovativi fino a qualche anno fa ora per chiunque se ne occupi a livello professionale è un dato acquisito. La ragione è semplice: conoscere la propria lingua madre ad un livello profondo permette di ampliare il numero di vocaboli a disposizione ma anche di comprendere gli schemi grammaticali, di costruzione della frase e quindi di conseguenza di confrontarli con quelli della seconda lingua. In poche parole: migliora l’apprendimento anche della lingua che si sta per apprendere nel nuovo paese di residenza».




















































A prescindere dall’origine delle lingue stesse?
«Sì. Gli studi sono stati fatti in Canada sia tra parlanti inglesi ma anche tra i parlanti vietnamiti. Tutti si stavano cimentando con il francese, lingua della zona canadese in cui venne fatto lo studio. In entrambi i casi la capacità di apprendimento è aumentata in maniera notevole tra i parlanti che avevano seguito anche corsi per migliorare la propria lingua madre».

C’è chi sostiene che sarebbe il caso di concentrarsi sull’apprendimento dell’italiano.
«Ma chi lo sostiene è a conoscenza di come funzionano i processi di apprendimento delle lingue? Dopodiché non capisco l’obiezione perché si tratta di lezioni che, da che mi risulta, si terrebbero di pomeriggio senza sottrarre a bimbi e ragazzi ore di scuola e si focalizzerebbero sulla scrittura. Sono capacità, quelle di scrittura e conoscenza della propria lingua che ricadrebbero inoltre in modo positivo anche sulle famiglie. Parliamo di ragazzini che saranno inoltre un patrimonio per la nostra società, naturalmente bilingui, interpreti capaci di gestire in futuro comunicazioni lavorative (turismo, marketing, relazioni internazionali per le nostre città) con una competenza ineguagliabile. Poi c’è anche un tema istituzionale».

Quale?
«Si tratta di una cosa che accade in tutti i consolati nel mondo, in particolare in quelli italiani. Noi siamo i primi a sponsorizzare i corsi di italiano in tutte le nazioni in cui esistono i nostri consolati, a promuovere cultura, storia e lingua: se lo facciamo noi va bene, se lo fanno “loro” in quanto non italiani non funziona più? Mi pare che si sfiori il ridicolo anche da un punto di vista della ragionevolezza e prescindendo dall’indiscussa utilità linguistica per tutti, non solo per “loro” ma per il futuro delle nostre città »

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