Ho firmato l’appello contro Tony Effe a Sanremo: basta ‘disprezzo per le donne’ nelle canzoni

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Anche se non si intende assistere alla kermesse canora di Sanremo non è proprio possibile ormai ignorarne l’esistenza: sappiamo quindi che dall’11 al 15 febbraio prossimi tutta la stampa, le tv e i social di ogni tipo, inevitabilmente, saranno invasi da notizie e commenti sull’evento. A due settimane dall’inizio del grande circo nazionale della musica italiana il gruppo di associazioni femministe e di singole attiviste che aderiscono alla rete Dichiariamo torna sulla questione della partecipazione del rapper Tony Effe al festival con un appello-riflessione (che io stessa ho sottoscritto), prima che si accendano le luci del teatro Ariston.

I fatti sono noti: nel mese di dicembre 2024 il rapper Tony Effe è stato prima invitato, poi allontanato dal concerto di Capodanno del Comune di Roma. La revoca dell’incauto invito è avvenuta a seguito delle pressioni di alcuni gruppi di donne che hanno denunciato l’indecenza di concedere un palcoscenico pubblico da parte di una istituzione pubblica a un autore di testi pieni di insulti sessisti e di incitamento alla violenza contro le donne.

“Poche, anche se chiare e significative, sono state le prese di distanza, ma imbarazzanti e in certi casi vergognosi i silenzi, – scrivono le firmatarie dell’appello -. Nel mondo della musica c’è stato anche chi l’ha difeso gridando alla censura, e lui ne ha approfittato rifacendosi con un concerto tutto suo, a pagamento. Voleva persino devolvere l’incasso alle associazioni delle donne, che però non hanno accettato soldi per lasciarsi insultare e minacciare di stupro. Tony Effe rientra nella lista dei partecipanti di Sanremo 2025, Festival gestito dal servizio radiotelevisivo pubblico (RAI) che lo scorso anno è arrivato a 15 milioni di persone. Gli artisti devono avere la massima libertà di espressione anche quando è scomoda per qualche potente, ma una cosa è sfidare il potere, altro è accanirsi su chi il potere lo subisce. Tony Effe non contesta potenti né trasgredisce a norme sociali, al contrario avalla con la violenza, l’insulto e la minaccia l’ingiustizia alla base della società: il disprezzo per le donne. Convalidare questo come ‘controcultura’ rende ipocrite tutte le intitolazioni a Giulia Cecchettin e alle altre donne assassinate, anzi rinnova negli uomini quel senso di ‘licenza di uccidere’ che ogni anno si concretizza in centinaia di femminicidi. Questo particolare cantante non è il primo a esprimere misoginia violenta, ma ne ha addirittura alzato il livello e non siamo disposte a soprassedere. Dal palco di Sanremo non si tollererebbero messaggi razzisti, omofobi o di intimidazione mafiosa. Prendiamo atto – conclude l’appello – che l’odio per noi donne è ancora considerato un problema minore, di maleducazione. E non passa inosservato ai nostri occhi”.

E a proposito di precedenti canzoni violente contro le donne vale la pena di ricordare Te la ricordi Lella, scritta dal cantautore Edoardo De Angelis e interpretata, nelle successive versioni, della Schola Cantorum e da Lando Fiorini. Si tratta di una canzone in dialetto romanesco di oltre 50 anni fa (uscì nel 1970) nella quale un uomo confida all’amico di avere strangolato l’amante, una donna sposata ad un ricco commerciante, e di averla seppellita su una collina che dà sul mare, dove lui trascorre spesso del tempo a guardare il panorama.

Di recente, durante le celebrazioni per l’uscita del brano, ci fu tra gli autori chi dichiarò che si trattava, in realtà, di un testo ‘di sinistra’ che parlava di lotta di classe. Stelio Gicca Palli, già compagno di scuola di Edoardo De Angelis e attivo nel celebre Folkstudio, fucina del cantautorato romano, dichiarò infatti: “Allora non si parlava ancora di femminicidio, non ci avevamo proprio pensato. Lella, semmai, racconta il sopruso del ricco sul povero: è fondamentale quel ‘me so stufata, nun ne famo niente e tirame su la lampo der vestito’, che Lella dice al suo amante sulla spiaggia alla Fiumara. E’ la donna ricca che si rivolge con disprezzo al suo toy boy”.

Il trio di attrici Ladyvette, in occasione del 25 novembre 2020, richiamò l’attenzione sulla violenza nei testi delle canzoni con una compilation di brani sessisti. “La musica racconta la realtà con una potenza incredibile. È la sua forza, – commentarono quando il video uscì -. Ci obbliga a guardare in faccia cose che sarebbe più semplice non vedere. La musica sa come rappresentare l’amore morboso, travestito da favola. La musica parla e sa farsi ascoltare. Le donne non sempre possono parlare; subiscono violenza, sia dagli uomini che dalle donne stesse e a volte non sanno come raccontarlo, perché per molti è normale. E noi? Riusciamo ad ascoltare?”.



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