Dopo un 2024 dedicato alle opere di ripristino dei danni e di prevenzione del rischio idrogeologico, il 2025 si apre con nuovi progetti di gestione del rischio idrogeologico nella Piana fiorentina, tra cui spicca la creazione di una nuova cassa d’espansione inclusiva di un’oasi naturalistica proprio nell’area di Sesto Fiorentino. A oggi gli interventi svolti in somma urgenza hanno superato i 10 milioni di euro, e circa altri 10 milioni sono previsti per il 2025: dei 100 milioni di euro richiesti dalla Regione allo Stato per una migliore e più sostenibile gestione ambientale della Piana, tuttavia, non si hanno oggi notizie.
L’alluvione del 2023 e la mancata realizzazione delle opere di prevenzione
Nel novembre 2023, Campi Bisenzio e altre aree della Piana Fiorentina furono colpite da un’alluvione che comportò danni per oltre 2 miliardi di euro a infrastrutture, privati e aziende, nonostante il previsto uso di fondi per la mitigazione del rischio idrogeologico, previsti ma non utilizzati.
La vicenda ha portato alla luce le criticità delle strategie del passato e la necessità per le istituzioni di adottare approcci più olistici, flessibili ed efficaci, quali le sempre più caldeggiate soluzioni basate sulla natura, per una gestione sostenibile del territorio e per contrastare gli effetti del cambiamento climatico a lungo preannunciati dalla comunità scientifica.
Durante l’alluvione, il fiume Bisenzio e alcuni dei suoi affluenti hanno rotto gli argin, causando inondazioni diffuse e gravi danni, coinvolgendo circa 30mila abitanti su 48mila e causando nove vittime.
Numerose associazioni e volontari si sono attivati per supportare la popolazione, accompagnandosi agli interventi pubblici, tra cui la Croce rossa, la Misericordia e il Comitato alluvione campi 2023, istituito per fornire ai cittadini supporto nella domande di risarcimento danni e fornire assistenza legale La Regione Toscana ha stanziato 25 milioni di euro dal proprio bilancio, raccogliendo inoltre 1,2 milioni di euro tramite donazioni e contributi della Protezione civile: finora, tuttavia, rispetto ai 500 milioni richiesti allo Stato sono arrivati solo 30 milioni di euro, dedicati alle urgenze immediate.
Fa discutere, oggi, osservare come la crescente urgenza della gestione del rischio idrogeologico in ottica preventiva e continuativa fosse stata identificata e segnalata per decenni prima degli avvenimenti del novembre 2023: infatti, la Commissione De Marchi, istituita dopo le alluvioni del 1966, propose un piano per la gestione del rischio idrogeologico che prevedeva l’uso di fondi pubblici a tal fine. Il piano includeva una serie di interventi distribuiti su trent’anni, con una spesa stimata di circa 9mila miliardi di lire (circa 70 miliardi di euro attuali). Il piano è stato eseguito parzialmente e con difficoltà nonostante le segnalazioni della comunità, delle associazioni e degli esperti.
Le soluzioni basate sulla natura: un approccio dall’efficacia sempre più riconosciuta
Quali soluzioni sono state sviluppate e sono oggi consigliate? Come indicato anche in ambito comunitario, le sistemazioni idrauliche tradizionali presentano limiti in termini di durata e di efficacia: sono oggi le soluzioni basate sulla natura (in inglese nature-based solutions) invece, le pratiche considerate più efficaci da un’ampia parte della comunità scientifica.
Si tratta di interventi che mirano a implementare la gestione delle risorse idriche e oggi sono sempre più spesso attuati per i numerosi vantaggi che ne derivano, come la migliore qualità dell’acqua, l’aumento di disponibilità idrica, i benefici economico-sociali, e un’importante azione mitigatrice rispetto al rischio idrogeologico, anche in risposta al cambiamento climatico in corso e alle sue asperità.
Sono esempi di soluzioni basate sulla natura le attività di riforestazione delle aree fluviali, la creazione di zone umide e la rinaturazione dei bacini fluviali: caratteristica di queste pratiche è il coniugare migliorie nella regolazione dell’acqua e incremento della biodiversità, elementi sinergici e sempre più preziosi.
Dall’alluvione del 1966 a oggi: superare l’ingegneria idraulica tradizionale verso un futuro più sostenibile
Cinquantotto anni prima dell’ultima alluvione, la Piana fiorentina assieme all’intero bacino del fiume Arno era stata interessata da un’altra catastrofe, ovvero la storica alluvione di Firenze del 4 novembre 1966. I quartieri periferici di Brozzi, Peretola, Quaracchi, e comuni limitrofi, come Campi Bisenzio e Sesto Fiorentino, furono colpite dall’esondazione dei fiumi Bisenzio e Ombrone Pistoiese, palesando la necessità di interventi: opere tradizionali di ingegneria idraulica finalizzate alla messa in sicurezza dell’area, e in particolare il sistema di casse di espansione, furono allora attuate per prevenire e mitigare i danni di future alluvioni.
Nei decenni che hanno seguito il disastro, il cambiamento climatico ha affiancato un’urbanizzazione sempre maggiore e la gestione del rischio idrogeologico ha acquisito una sempre maggiore rilevanza.
Le tradizionali opere di ingegneria idraulica mostrano gravi limiti, dovuti all’elevata cementificazione, a opere progettate in base a dati che non riflettono la realtà climatologica ed idrogeologica dei nostri giorni e a una manutenzione insufficiente. Si ricordi inoltre l’effetto oggi osservato dello spopolamento delle aree montane e la mancata gestione del reticolo secondario minore un tempo effettuato dai privati.
Oggi le conoscenze scientifiche e lo sviluppo di una cultura della sostenibilità sempre più presente devono invece essere affiancati da politiche di interventi improntati agli stessi principi.
La necessità di ripensare l’uso del suolo, la gestione del territorio e la gestione dei bacini fluviali con investimenti e interventi improntati alla sostenibilità sono evidenziati con forza dalla popolazione, dalle associazioni e dagli esperti del settore.
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