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Karl Lagerfeld era un habitué al Louvre, dove si lasciava ispirare da mobili barocchi e paraventi Coromandel, traducendo queste suggestioni in motivi sontuosi per le collezioni Chanel. Ognuno ha la sua musa: Dolce&Gabbana si rifanno all’arte bizantina, Dries Van Noten ai tessuti antichi, Christian Louboutin alle porcellane Wedgwood. Quando Louise Trotter, nuovissima direttrice creativa di Bottega Veneta, nel 2022 prese le redini di Carven passò un pomeriggio immersa tra gli arredi d’epoca della collezione Grog-Carven, donata da Madame Carven al Louvre. «Questo museo ha sempre ispirato i creativi, siano essi pittori, scrittori, coreografi – e oggi più che mai gli stilisti», commenta Olivier Gabet, conservatore generale del patrimonio, direttore del dipartimento degli Oggetti d’arte e curatore di Louvre Couture. Objets d’art, objets de mode, la mostra inaugurata ieri. Con un allestimento di Nathalie Crinière, l’esposizione mette in scena abiti e accessori, creando un contrappunto concettuale, sensuale e poetico con i magnifici manufatti del dipartimento, databili tra il periodo bizantino e il Secondo Impero francese. Si tratta della prima mostra che porta la moda all’interno del Louvre. «Pur avendo vaste collezioni tessili, non c’è un nucleo permanente dedicato alla moda. La nuova Direttrice, Laurence des Cars, sta immaginando un museo attraente anche per un pubblico meno “turistico”, scoraggiato dal cronico sovraffollamento», prosegue il curatore. «Naturalmente avremmo potuto organizzare una mostra che partisse dal XVIII secolo, ma preferiamo focalizzarci su un arco temporale compreso tra gli anni Sessanta e l’oggi, andando da Cristóbal Balenciaga a Iris van Herpen, per sottolineare le connessioni con la cultura contemporanea».
Lei è approdato qui nel 2022 dopo una brillante carriera al Museo delle Arti Decorative, dove ha curato mostre di successo come quelle dedicate a Schiaparelli e Dior.
«Oggi molti brand hanno archivi paragonabili a quelli di un museo. E tuttavia, erano sorpresi che il Louvre s’interessasse a loro. Poi, sa, ognuno è guidato dalle proprie ossessioni».
Vorrebbe condividere le sue?
«John Galliano, per la sua abilità a mescolare revival storico e cultura pop. Già quando curai la mostra su Christian Dior al Mad, otto anni fa, mi accorsi che i suoi moodboard rivelavano un approccio incredibilmente affine a quello di un curatore d’arte».
In quale modo gli oggetti d’arte “nutrono” gli stilisti?
«Talvolta il rimando è puntuale. Come quando Karl Lagerfeld, che aveva con la storia delle arti decorative un rapporto profondo e intimo, disegna per Chanel una giacca da sera con un ricamo di Lesage il cui motivo riprende quello di una commode settecentesca laccata bianco e blu che appartiene alle nostre collezioni. In altri casi, come fu per Gianni Versace, l’ispirazione per gli abiti in maglia metallica con una croce sul fronte venne dalla profonda impressione che gli fece visitare una mostra a New York dedicata a Bisanzio. Altre volte il richiamo può non essere consapevole. È il caso di Jonathan Anderson, che per Loewe ha fatto sfilare qualche stagione fa i modelli con delle ali e penso che in mente avesse certi angeli forgiati dagli orafi medievali. Del resto, l’accostamento con alcuni di questi esempi in mostra è stupefacente».
Perché la mostra non è negli spazi delle esposizioni temporanee, ma si sviluppa nelle gallerie dedicate agli Objets d’art?
«Volevamo vedere abiti e accessori dialogare con le raccolte del dipartimento che si dipanano in ordine cronologico e culminano negli appartamenti Napoleon III, arredati in maniera opulenta con velluti, profusione di oro e chandelier in cristallo di rocca, che furono sede del Ministero delle Finanze finché François Mitterrand non li restituì al Louvre. Ebbene, si tratta di uno tra i più scenografici interni della seconda metà dell’Ottocento rimasti intatti a Parigi e accessibili al pubblico. In virtù del loro eclettismo abbiamo deciso di raccontare qui il tema della “stravaganza”, con abiti di Jean Paul Gaultier, Balenciaga e Jacquemus tra gli altri. Curiosamente il 1858, anno in cui iniziarono i lavori di decorazione, coincide proprio con la fondazione della maison di Charles Frederick Worth, considerato il padre della haute couture».
Dice che la moda offre un dialogo su diversità, equità e creatività.
«È un esercizio di espressione personale ma anche di accoglienza. La moda è sui social, per strada, ovunque. E di fronte alla moda nessuno si sente inadeguato perché manchevole di nozioni di storia o mitologia. Dobbiamo invece accettare il fatto che le nostre collezioni possono apparire distanti. Tanto più che il mio dipartimento non è quello con la Monna Lisa. È su questa accessibilità che il Louvre punta, avvantaggiandosi della fama degli stilisti per invitare, soprattutto, i più giovani a esplorare il suo patrimonio con occhi nuovi».
E per lei, parlo di lei ragazzo, il Louvre cosa ha rappresentato?
«Non sono cresciuto a Parigi, ma ho sempre pensato al Louvre come al “museo dei musei”. Quando cominciai a frequentarlo, mi piaceva perdermi nella sua vastità. È così che ho maturato l’idea che non sei obbligato a visitare tutto, a ricordare tutto, non ti deve piacere tutto. Puoi starci mezz’ora o un giorno intero, cogliere ogni dettaglio o semplicemente passeggiare tra le gallerie. È un luogo che offre infinite possibilità: uno spazio – come ce ne sono pochi oggi – di libertà».
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