di Pasquale Vozzo
Falsa o meno che sia la frase di Zhou Enlai sull’impossibilità di esprimere un giudizio sulla rivoluzione francese a distanza di qualche secolo, di sicuro tracciare un bilancio sulla statura politica di Bettino Craxi, oggi appare impresa ancora complicata. Ricorrendo il 25° della sua scomparsa, oscurato dal giuramento del 47° presidente degli USA, tanti ma non troppi i media che hanno dedicato risalto e attenzione. Forse perché ne rimane un profilo politico non ancora affrancato dalla ancora oscura stagione di mani pulite.
Riguardo proprio a quella singolare congiuntura politica, sarebbe bello rileggere su queste pagine l’intervista della Direttrice Ansani a Bobo Craxi di qualche anno fa (intervista del 22 febbraio 2013 dal titolo “Bobo Craxi: L’unità Socialista sta a sinistra”, ndr) e ai riferimenti che fece l’intervistato sulle dichiarazioni dell’ambasciatore Bartholomew (designato da Bill Clinton a coprire l’inarico di ambasciatore USA in Italia dal 1993 al 1997) e sui rapporti intrattenuti tra il consolato americano di Milano con alcuni giudici di mani pulite ai tempi in cui a Villa Taverna risiedeva Peter Secchia.
Benedetto Craxi detto Bettino, nasce a Milano nel 1934 eletto deputato la prima volta nel ’68, detto il “tedesco” per la familiarità con gli ambienti socialdemocratici di Bonn. Nel luglio del 1976 viene eletto segretario da un Comitato Centrale “in cerca d’autore”riunito in via straordinaria all’Hotel Midas di Roma, dopo una mediazione tra la sinistra Lombardiana rappresentata da Claudio Signorile ed ex demartiniani. Bisognerebbe rileggere attentamente la relazione del neo segretario. Non risponde al consueto canovaccio della liturgia congressuale che solitamente introduce il dibattito. E’ una piattaforma ideologica e strategica. Ne pubblica addirittura un libro “COSTRUIRE IL FUTURO” , ma il sottotitolo è davvero illuminante: l’alternativa socialista al capitalismo parassitario e al comunismo burocratico. Il dado è tratto. Craxi varca il Rubicone e marcia oltre e contro ogni prospettiva dualistica dc/pci su cui si era incardinato il consociativismo parlamentare.
Spregiudicato. Senza dubbio ma coriaceo e coraggioso. Benedetto Craxi detto Bettino lancia la svolta socialista. Audace il suo articolo “ideologico” su l’Espresso del 27 agosto del 1978. Non rivisita il leninismo edulcorato ed aggiornato di Enrico Berlinguer, va oltre. Lo attacca impietosamente. In quell’articolo, gli amici della sinistra che masticano di politica, ricorderanno che il PCI non è nemmeno citato. Vi sono Bertand Russel, Carlo Rosselli, Milovan Gilas, Rosa Luxemburg, Norberto Bobbio e tanti altri. Ma non c’è Marx . C’è al contrario molto Proudhon, tanto Prudhon, ed è detto tutto. Del resto quando mai un segretario socialista, da Nenni a Mancini passando per De Martino si sarebbe macchiato di lesa maestà, definendo il discorso di Berlinguer a Bologna “senza ne capo né coda”?.
Il congresso di Palermo del 1981 è tripudio. Per la prima volta non si apre sulle note dell’Internazionale socialista bensì con l’inno di Mameli nello smarrimento generale dei delegati tra cui Aldo Aniasi, e preannuncia un profilo inedito per un leader socialista, quello patriottico. Tra l’ansia diffusa che contagia la nomenclatura della classe dirigente italiana efficace e profetico la preoccupazione di un acuto Ciriaco De Mita, che tradisce la sua inquietudine pronunciando una frase eloquente <<stiamo allevando una tigre che sarà difficile domare>>. Il pupillo di Nenni viaggia come un treno. Il posizionamento filoarabo nello scacchiere mediorientale e la gestione della crisi di Sigonella gli risulterà fatale.
La telefonata intercorsa quella notte tra Craxi e Reagan mediata dall’eminenza grigia di un certo Michael Ledeen, inviso a Craxi, non è tra le più cordiali. Una prova muscolare che e ha come epilogo il lascia passare per il terrorista palestinese Abu Abbas, già sotto gli artigli dell’aquila statunitense. Il presidente del consiglio italiano risveglia l’orgoglio nazionale e rivendica l’esercizio della propria autorità su territorio nazionale, non consentendo alcun tipo di ingerenza da parte dell’alleato. Gli americani sono suscettibili, e non gradiscono neanche tanto la vicinanza tra Craxi e il leader dell’OLP Yasser Arafat. Ma Craxi è sempre lo stesso Craxi che approva l’installazione dei missili a Comiso confermando la linea atlantista dell’Italia. Craxi rivendica la comprimarietà col PCI, sottraendosi dall’egemonia a sinistra da Via delle Botteghe Oscure, che porta con se ancora le scorie del “centralismo democratico”.
Il progetto rimane quello di ridisegnare un assetto politico di una sinistra alternativa alla DC per la guida della nazione. I tempi non sono maturi e non lo saranno ancora per molto. Non lo sono neanche dopo il famoso discorso del tre luglio 1992 in parlamento. Un discorso ad alto condensato politico che fotografa una sindrome tipicamente italiana. Nessuno si alza in parlamento nè per contraddire né per approvare le parole sferzanti del segretario socialista. Il terremoto che ne seguì lo conosciamo tutti. Peccato. L’idea riformista di CRAXI contenuta in un saggio istruttivo a cui raccomando la lettura ai giovani di sinistra porta il titolo “LA GRANDE RIFORMA DI CRAXI” edito da Marsilio a cura di Gennaro Acquaviva e Luigi Covatta , ripercorre le tappe di quella grande ambizione. Ma il tempo, anzi i fatti come Lui stesso disse in Parlamento quel famoso 3 luglio del 1993, si incaricheranno, dico io, di dimostrare quanto lungimirante ed illuminato fu questo statista.
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