L’agricoltura biologica ha le sue radici nel XX secolo e si è sviluppata attraverso vari movimenti agricoli globali. Uno dei primi movimenti significativi fu l’agricoltura biodinamica, ideata dal filosofo austriaco Rudolf Steiner negli anni ’20. “Steiner concepì questa pratica all’interno di una visione olistica, mirata al benessere dell’ecosistema completo. Negli anni ’30, in Giappone, Masanobu Fukuoka promosse l’agricoltura naturale, un altro approccio che rifiutava l’uso di prodotti chimici e di tecniche intensive. Negli anni ’40, poi, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti si sviluppò l’agricoltura organica, che si opponeva alle tecniche agricole intensive e promuoveva metodi più sostenibili e naturali”, precisa l’esperta.
L’agricoltura biologica ha continuato a evolversi e a diffondersi, specialmente negli anni ’70, con la nascita di organizzazioni dedicate come la Federazione internazionale dei movimenti dell’agricoltura biologica (Ifoam), fondata nel 1972. “Questa organizzazione ha stabilito i principi fondamentali del biologico e ha introdotto un sistema di certificazione per i produttori. Negli anni ’80 e ’90, la diffusione globale dell’agricoltura biologica continuò, con l’apertura di negozi specializzati e un aumento nella produzione di alimenti biologici. La tendenza si è rafforzata negli ultimi anni, con una crescente domanda di prodotti biologici e sostenibili sia da parte dei consumatori che dei produttori. Lo scopo dell’agricoltura biologica è sempre stato quello di produrre cibo in modo sostenibile, rispettando l’ambiente e la salute umana. Inizialmente, la finalità principale era ridurre l’uso di prodotti chimici di sintesi e promuovere pratiche agricole che mantenessero la fertilità del suolo e la biodiversità”, continua Lavini.
Ad oggi, gli obiettivi dell’agricoltura biologica si sono ampliati e riflettono una visione olistica dell’agricoltura, che considera non solo la produzione di cibo, ma anche l’impatto sociale, economico e ambientale delle pratiche agricole. “Tra questi obbiettivi abbiamo quello di mantenere la fertilità naturale del suolo e promuovere la biodiversità, creando un ecosistema agricolo equilibrato; ridurre l’impatto ambientale antropico utilizzando pratiche agronomiche sostenibili che preservino le risorse idriche, dell’aria e del suolo e gli equilibri degli ecosistemi naturali. Altro aspetto è il mantenimento della qualità e quantità delle acque reflue attraverso l’utilizzo di tecniche di uso efficiente della risorsa idrica. Da considerare anche la salute umana: fornire alimenti privi di residui chimici, infatti, potrebbe migliorare la qualità della dieta, riducendo i rischi per la salute associati ai pesticidi e agli Ogm, ma anche il benessere animale, garantendo condizioni di vita migliori per gli animali allevati, rispettando i loro bisogni fisiologici e comportamentali riducendo lo stress e le malattie”, continua la ricercatrice del Cnr-Isafom. “Essa quindi favorisce la sostenibilità economica, supporta le economie locali e promuove pratiche agricole che siano economicamente sostenibili anche per i piccoli agricoltori e per le terre marginali. C’è poi l’aspetto della mitigazione dei cambiamenti climatici, con il contributo alla riduzione delle emissioni di gas serra attraverso pratiche agricole che migliorano la capacità del suolo di sequestrare carbonio”.
L’agricoltura biologica ha visto una notevole diffusione in Europa, compresa l’Italia, anche grazie alle politiche europee attuate con la promozione attiva dell’agricoltura biologica attraverso il Green Deal europeo, che mira a dedicare il 25% del terreno coltivabile all’agricoltura biologica entro il 2030. “Lo sviluppo dell’agricoltura biologica è ancora tutto da scrivere; tuttavia, è possibile scorgere una traccia su cui molto probabilmente s’instraderanno le prospettive prossime. La comunità scientifica internazionale è abbastanza concorde nell’evidenziare come in futuro la connessione tra biotecnologia e agricoltura sarà ancora più forte, soprattutto perché sarà il crescente aumento della popolazione a porre nuove sfide”, conclude Lavini.
Fonte: Antonella Lavini, Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo, antonella.lavini@cnr.it
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