Le consulenze delle dottoresse Elena Francia e Rita Rossi erano prive di elementi «imprescindibili», come la pluralità di colloqui, la somministrazione di test diagnostici e l’osservazione clinica diretta. «Senza questi elementi, non si può parlare di diagnosi valida». E il processo causale necessariamente ha come punto di partenza l’evento lesivo, mancando il quale è assolutamente irrilevante indagare sulle cause: i fattori causali sono tali solo in relazione a un evento, e le consulenze delle consulenti della pubblica accusa non sono in grado di identificare alcuna malattia.
A dirlo, ieri, la dottoressa Alberta Massaro, medico psichiatra e medico legale con una lunga esperienza come perito presso diversi Tribunali, consulente della difesa della psicoterapeuta Nadia Bolognini, imputata a Reggio Emilia nel processo sui presunti affidi illeciti. Incalzata dalle domande di Luca Bauccio, difensore di Bolognini insieme a Francesca Guazzi, Massaro ha analizzato in profondità le diagnosi redatte dalle consulenti del pubblico ministero, per verificare se le loro conclusioni rispettassero i requisiti minimi per essere considerate scientificamente valide. «Ho esaminato le diagnosi per comprendere se avessero basi cliniche e se rispettassero la metodologia prevista dalla medicina legale», ha dichiarato Massaro, evidenziando plurime carenze.
«Vedere il paziente è fondamentale», ha sottolineato, ribadendo che «esistono linee guida, come quelle degli psicologi del Lazio, che raccomandano di condurre le indagini tramite anamnesi, colloqui clinici e osservazione diretta». Ha aggiunto che l’osservazione clinica non si limita alle sole interazioni verbali, ma richiede un’attenzione al linguaggio corporeo e alla comunicazione non verbale: «Osservare il modo in cui il paziente racconta è cruciale: la mimica, la prossemica, il corso del pensiero e il linguaggio sono dati fondamentali. Inoltre, la somministrazione di test diagnostici è imprescindibile per oggettivare e validare l’ipotesi clinica».
Un altro punto centrale del suo intervento è stato quello della previsione di disturbi mentali futuri, una pratica che Massaro ha definito «priva di fondamento scientifico». «Non esistono studi che permettano di prevedere con certezza lo sviluppo di disturbi mentali futuri. È un errore metodologico affermare che alcune cause, quali che siano, portino inevitabilmente a un determinato esito clinico», ha spiegato.
Le incongruenze nelle diagnosi
Massaro si è concentrata in particolare sulle consulenze della dottoressa Francia, evidenziando incongruenze e mancanze metodologiche, contestando la diagnosi di disturbo dell’adattamento su N. «Per il DSM-5 e l’ICD-11, non è possibile diagnosticare un disturbo dell’adattamento in presenza di un disturbo della condotta. Francia ha duplicato una patologia incompatibile con quella già certificata, e ciò rende la diagnosi priva di fondamento scientifico», ha evidenziato.
Per quanto riguarda K., a cui Francia ha diagnosticato un disturbo depressivo persistente, Massaro ha sottolineato altre lacune: «Una diagnosi di depressione persistente richiede un’osservazione di almeno un anno, non sei mesi. Inoltre, la consulente Francia aveva definito il tono dell’umore della bambina congruo a gennaio: come si concilia questa affermazione con una diagnosi di depressione persistente?». Massaro ha inoltre messo in luce la totale assenza di test diagnostici: «Il test è indispensabile, soprattutto nei casi di anomalie comportamentali. Non somministrarli è un grave errore metodologico. I test servono proprio a indagare quando ci sono difficoltà espressive o emotive».
Un altro esempio eclatante è quello del minore A., per il quale la consulente Rossi aveva diagnosticato un «danno cognitivo irreversibile», descritto come grave e permanente, con ripercussioni su ogni ambito della vita del bambino. Massaro ha contestato questa conclusione, definendola una «non diagnosi». «Un bambino che gioca a calcio tre volte a settimana, partecipa a un campionato, suona il pianoforte e si relaziona con i compagni non può essere affetto da un danno cognitivo irreversibile. Questa diagnosi contrasta nettamente con la realtà dei fatti», ha spiegato.
Inoltre, ha evidenziato una clamorosa contraddizione: nonostante questa diagnosi, il bambino era stato ritenuto idoneo a fornire sommarie informazioni alla presenza di un magistrato e di un maresciallo. «Se la diagnosi fosse stata corretta, non sarebbe stato possibile coinvolgere il bambino in una simile attività. Una contraddizione che riduce la diagnosi a una mera elucubrazione», ha affermato Bauccio.
Un’ulteriore diagnosi contestata è stata quella di sindrome post-traumatica da stress su C., diagnosticata dopo un incontro di circa 20 minuti. «Per il DSM-5, serve un pericolo reale di morte per diagnosticare una sindrome post-traumatica da stress. Tuttavia, né l’affidamento né la psicoterapia sono stati descritti come eventi violenti o percepiti come tali dal bambino. Un incontro di 20 minuti non può soddisfare i requisiti clinici per una diagnosi del genere», ha aggiunto Massaro.
L’importanza di una metodologia rigorosa
La dottoressa ha insistito sull’importanza di una metodologia rigorosa: «La deontologia impone di fare diagnosi solo dopo aver incontrato il paziente più volte e aver somministrato test diagnostici. Alcune consulenze sono state redatte in assenza di incontri clinici, il che è in palese conflitto con i principi del codice deontologico». Ha poi ribadito che «i test sono fondamentali per indagare comportamenti e emozioni. Non sono un’opzione, ma una necessità».
In relazione alla consulenza di Melania Scali, secondo Massaro, questa si limiterebbe a contenere mere valutazioni di carattere generico: «Il rischio, senza una base clinica, è semplicemente una considerazione teorica e priva di consistenza sul piano medico legale».
Mauro Mariotti e la psicoterapia del trauma
Nel corso della stessa udienza, si è concluso il controesame di Mauro Mariotti, che ha approfondito la psicoterapia del trauma. Mariotti ha spiegato che questa disciplina si è sviluppata a partire dalle guerre mondiali e ha ricevuto importanti contributi da vari studiosi a livello internazionale. «La psicoterapia del trauma affronta il delicato tema delle memorie implicite ed esplicite, con implicazioni fondamentali nel campo delle neuroscienze. È una conquista per la psicologia», ha dichiarato.
Mariotti ha difeso l’utilizzo di domande suggestive nella terapia del trauma: «Le domande suggestive non alterano il ricordo; lo aiutano a emergere. A differenza delle domande induttive, che possono influenzare il paziente, le domande suggestive mirano a ricollegare il mesencefalo alla corteccia cerebrale, facilitando l’esplicitazione del trauma». Ha inoltre sottolineato l’importanza dell’alleanza terapeutica, definendola «fondamentale in tutte le fasi del trattamento».
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