Con riferimento al rapporto tra territorio e governo nel diritto pubblico sono configurabili tre diverse forme di Stato i cui elementi costitutivi sono appunto il territorio, il popolo e il governo. Si tratta della forma di Stato unitario che, pur rispettando le autonomie locali, conserva una forte centralizzazione delle funzioni, della forma di Stato federale composto dalla riunione di più Stati e della forma di Stato regionale intermedia fra le due precedenti e che consiste in uno Stato unitario che amplia la sfera delle autonomie locali (Comuni e Province) con la creazione delle Regioni, titolari di una propria potestà legislativa autonoma da quella statale e dotate di una consistente autonomia finanziaria.
Con il referendum istituzionale del 2 e 3 giugno ’46, dopo la caduta il 25 luglio ’43 della ventennale dittatura fascista di B. Mussolini, venne decisa dal corpo elettorale la forma di Governo dell’Italia, tra le due più diffuse nell’era moderna quali la Monarchia e la Repubblica, con la scelta della Repubblica. Nelle stesse due giornate ebbero luogo anche le prime elezioni a suffragio universale, cui poterono partecipare anche le donne, per l’elezione di un’Assemblea costituente di ben 556 componenti con il compito di redigere la nuova Carta costituzionale.
Per espletare tale compito l’Assemblea opportunamente creò la “Commissione dei settantacinque” con i migliori nomi del diritto e della politica italiana del tempo e presieduta M. Ruini ex deputato antifascista e distinto giurista. L’Assemblea costituente è stata presieduta prima da G. Saragat e poi da U. Terracini con Presidente del Consiglio dei ministri De Gasperi II- Comitato di Liberazione Nazionale (CLN): DC-PSIUP-PCI-PRI quale primo Governo repubblicano e De Gasperi III-CLN: DC-PCI-PSI-PRI fino al giugno ’47.
Capo provvisorio dello Stato eletto dall’Assemblea costituente è stato negli anni ’46-’47 E. De Nicola che ha promulgato la Costituzione nel dicembre ’47 e dal 1°gennaio ’48 è diventato il primo Presidente della Repubblica. I Padri costituenti per la Repubblica italiana fecero appunto la scelta della forma di Stato regionale che nasceva da uno Stato unitario come il Regno d’Italia (1861-1946). Alla nuova Repubblica parlamentare, scelta sempre dai costituenti escludendo le altre due tipologie di Repubblica presidenziale o direttoriale, venne data una diversa fisionomia, proprio per superare i profondi inconvenienti di uno Stato accentrato come la vecchia Monarchia, con la creazione di 19 Regioni (art. 131 Cost. originario), poi divenute 20 con il Molise (art. 1 della l.c. n. 3/’63).
La Costituzione italiana, secondo il testo originario pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 298 del 27 dicembre ’47 ed entrata in vigore il 1° gennaio ’48, nella Parte II (Ordinamento della Repubblica), Titolo V (Le Regioni, le Province, i Comuni) all’art. 114 prevedeva pertanto che “La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni” e all’art. 115 stabiliva che “Le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione”. Inoltre l’art. 116 prevedeva che “Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige (dal 2001 Trentino-Alto Adige/Sudtirol costituito dalle Province autonome di Trento e Bolzano), al Friuli-Venezia Giulia e alla Valle d’Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali“. Le leggi regionali emanate da tali Regioni autonome hanno pertanto una competenza esclusiva (che cioè esclude la legge statale) nelle materie tassativamente indicate dai loro Statuti speciali che prevalgono sulle stesse norme della Costituzione, salvo il rispetto dei principi fondamentali della stessa.
L’attuazione concreta della Costituzione repubblicana si è realizzata in un processo molto lungo che ha visto, dopo l’elezioni politiche dell’aprile ’48, una prima fase (’48-’55) in cui è rimasta largamente inattuata (Presidente della Repubblica L. Einaudi e Governi De Gasperi V-VIII, Pella, Fanfani I e Scelba di centrismo vario). Dopo il ’55 e durante i primi anni sessanta (Presidenti della Repubblica G. Gronchi e poi A. Segni) si è aperta una seconda fase che ha visto l’attivazione della Corte Costituzionale nell’aprile ’56, del CNEL nel gennaio ’57 e del CSM nel luglio ’59 (Governi Segni I e II di centrismo DC-PSDI-PRI e nel ’62-’63 Governo Fanfani IV di centrismo ma con l’astensione del PSI).
In quegli anni infatti è stata avviata l’evoluzione del sistema politico italiano dal centrismo al centro-sinistra”organico” (DC-PSI-PSDI-PRI- Governi Moro I, II e III da fine ’63 al giugno ’68 e sono anche state emanate alcune leggi fondamentali come quella del dicembre ’62 sulla scuola dell’obbligo di almeno otto anni in attuazione dell’art. 34, comma secondo, Cost. e recante appunto l’istituzione della scuola media statale e quella sull’ammissione delle donne ai pubblici impieghi del febbraio ’63. Il processo di attuazione della Costituzione è arrivato alla fase più intensa nell’anno ’70 con l’istituzione delle Regioni a Statuto ordinario mediante la legge n. 281 del maggio ’70 (Presidente della Repubblica G. Saragat e Governo Rumor III di centro-sinistra”organico”) e con il regolamento d’attuazione approvato con DPR n. 8 del gennaio ’72 (Governo Colombo sempre di centro sinistra “organico”) per il trasferimento delle funzioni amministrative statali alle Regioni.
Nello stesso anno ’70 hanno avuto luogo anche l’attivazione degli istituti di democrazia diretta mediante la legge n. 352 del maggio ’70 sui referendum previsti dalla Costituzione e sull’iniziativa legislativa del popolo nonché l’approvazione dello Statuto dei diritti dei lavoratori di cui alla legge n. 300 del maggio ’70. Negli anni ’74-’76 (Governi Moro IV e V di centrismo con astensioni e appoggi esterni vari) il Presidente del Consiglio A. Moro si fece promotore anche di una strategia dell’attenzione verso il PCI attraverso il c.d. “compromesso storico“. Nel marzo ’78 venne però rapito dalle Brigate rosse e poi assassinato il 9 maggio (Governi Andreotti III e IV con l’astensione e l’appoggio esterno anche del PCI, guidato dall’allora segretario E. Berlinguer fautore del distacco dal PCUS, quali uniche partecipazioni al Governo, anche se indirette, di quel partito dall’entrata in vigore della Costituzione al suo scioglimento nel ’91).
Il percorso di attuazione della Costituzione repubblicana può essere quindi ritenuto concluso a metà degli anni settanta. Con l’avvio della VIII legislatura nel ’79 (Presidente della Repubblica S. Pertini e Governi Andreotti V e Cossiga I di centrismo) si è aperta una nuova fase non più per l’attuazione ma per la riforma del modello costituzionale considerato in alcune parti carente o superato a causa soprattutto dell’instabilità dei governi e dell’inefficienza dell’azione amministrativa. Nel corso degli anni ’80 e ’90 si è infatti assistito alla nascita di ben tre Commissioni parlamentari bicamerali per poter procedere ad una revisione organica dalla Carta costituzionale e vale a dire la Commissione Bozzi negli anni ’83-’85, la Commissione De Mita-Jotti negli anni ’92-’94 e infine la Commissione D’Alema negli anni ’97-98 senza però che nessuna di esse sia riuscita a portare a compimento il proprio progetto di riforma. Nel frattempo comunque a fine anni ’80 e inizio anni ’90 (X legislatura-Presidente della Repubblica Cossiga) sono state emanate alcune leggi ordinarie a notevole valenza costituzionale come quella sull’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 400 dell’agosto ’88 (Governo De Mita di pentapartito DC-PSI-PSDI-PRI-PLI), quella sul riordinamento delle autonomie locali (Comuni e Province) n. 142 del giugno ’90 e quella sulla disciplina generale del procedimento amministrativo n. 241 dell’agosto ’90 (Governo Andreotti VI di pentapartito).
La svolta più importante verso la riforma costituzionale si è verificata dopo la vicenda di “tangentopoli” e l’inchiesta “mani pulite”, iniziata nel febbraio ’92 con l’arresto di M. Chiesa presidente del Pio Albergo Trivulzio ed esponente di primo piano del PSI milanese (Governi Andreotti VII di quadripartito DC-PSI-PSDI-PLI), con la dissoluzione di alcuni importanti partiti storici e a seguito del referendum popolare dell’aprile ’93. L’esito di tale referendum ha portato al superamento del metodo elettorale proporzionale sul quale si era retto il sistema di alleanze e i Governi di coalizione della c.d. Prima Repubblica fino alla breve legislatura XI (Presidente della Repubblica O.L. Scalfaro, con Governo Amato I ’92-’93 di quadripartito e Governo Ciampi sostenuto dall’aprile ’93 al maggio ’94 da DC-PSI-PDS-PSDI-PRI-PLI-FdV).
A favore del nuovo sistema elettorale parzialmente maggioritario si schierò la maggior parte dei partiti compreso il nuovo PDS, ex PCI sciolto nel febbraio ’91 con ultimo segretario dall’anno ’88 A. Occhetto, quale promotore della rottura finale con il comunismo dopo la caduta del muro di Berlino nell’anno ’89. Contro il sistema maggioritario si schierarono invece B. Craxi peraltro già dimessosi dalla segreteria del PSI, Rifondazione comunista, La Rete di L. Orlando e il MSI-DN del nuovo segretario G. Fini succeduto a G. Almirante dopo la sua morte nel maggio ’88. G. Fini è stato poi presidente del partito di AN di destra nazional-conservatrice fondato nel gennaio ’95 con la c.d. svolta di Fiuggi e lo scioglimento del MSI-DN. Dopo la riforma elettorale volta a dar seguito al referendum del ’93 e approvata con le leggi n. 276 e 277 dell’agosto ’93, c.d. legge Mattarella rimasta in vigore fino al ’05, ha preso avvio, a seguito delle elezioni politiche del marzo ’94, la nuova fase di riassetto del sistema politico con l’inizio della c.d. Seconda Repubblica (Governo Berlusconi I – Polo delle Libertà e del Buon Governo: FI-LN-MSI/AN- CCD-UdC peraltro di breve durata) nella direzione di un assetto bipolare delle forze in campo e di una maggiore personalizzazione dei poteri di direzione del Governo. Il nuovo assetto politico ha poi portato a riforme costituzionali incisive come quella del novembre ’99 n. 1, sull’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e sull’autonomia statutaria delle Regioni, del gennaio ’01 n. 2 sull’elezione diretta dei Presidenti delle Regioni a statuto speciale e soprattutto dell’ottobre ’01 n. 3 sul decentramento regionale e locale trasformando radicalmente anche l’assetto dei poteri locali.
Dopo le elezioni politiche dell’aprile ’96 che hanno visto la vittoria del centro-sinistra (L’Ulivo: PDS, poi dal 98 DS,-PPI -RI-UD-FdV-SI-SR-PS-FL-MCU e poi con qualche variazione) con i Governi Prodi I, D’Alema I e II e Amato II, nel marzo ’99 il Presidente del Consiglio dei Ministri (Governo D’Alema I) presentò al Parlamento, insieme al Ministro per le riforme istituzionali G. Amato, una nuova proposta di legge costituzionale formulata tenendo conto degli esiti dei lavori della Commissione Bicamerale D’Alema dei due anni precedenti e insieme ad essa la Camera esaminò altre 19 proposte di l.c. d’iniziativa parlamentare.
Dopo l’esame nella 1^ Commissione concluso nel novembre ’99 la Camera dei Deputati arrivò all’approvazione della l.c. nel settembre ’00 (Presidente della Repubblica C.A.Ciampi e Governo Amato II) e poi il Senato della Repubblica lo approvò nel novembre ’00. La proposta di l.c. tornò per la seconda lettura alla Camera che l’approvò a fine febbraio ’01 e, ritrasmessa al Senato, dopo un esame veloce in Commissione, fu approvato definitivamente dall’Aula nel marzo ’01 (ancora Governo Amato II). Il testo di questa l.c. venne pubblicato sulla G.U. ai fini di cui all’art. 138, comma secondo, Cost. (referendum confermativo) e subito furono depositate nella cancelleria della Corte di Cassazione due richieste di referendum popolare sottoscritte la prima da 102 senatori dell’opposizione e la seconda da 77 senatori della maggioranza. L’Ufficio centrale per il referendum lo dichiarò ammissibile sempre nel marzo ’01 e il referendum popolare confermativo della l.c. venne indetto, dopo l’elezioni politiche del maggio ’01, con D.P.R. dell’agosto ’01 (Presidente della Repubblica C.A.Ciampi e Governo Berlusconi II- Casa delle Libertà- FI-AN-LN-UDC-NPSI-PRI) per il 7 ottobre ’01. Oltre il 64 per cento dei votanti si espresse a favore della l.c. anche se votò solo il 34,4% del corpo elettorale, ma per la validità dei referendum sulle leggi di revisione della Costituzione e sulle altre l. c. non è richiesto il quorum, invece prescritto dall’art. 75 Cost. per i referendum sulle leggi ordinarie.
La legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre ’01, recante modifiche al titolo V (Le Regioni, le Provincie, i Comuni) della parte II (Ordinamento della Repubblica) della Costituzione, ha introdotto molteplici innovazioni come la sostituzione dell’art. 114 che al comma primo ora recita: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato” e quella dell’art. 116 che ora al comma terzo, sulla base del principio fondamentale del riconoscimento e promozione delle autonomie locali e del decentramento amministrativo di cui all’art. 5 Cost., si occupa anche del c.d. “livellamento” tra le preesistenti autonomie particolari delle 5 regioni a statuto speciale e le autonomie delle 15 regioni a statuto ordinario. A tal fine il nuovo terzo comma dell’art. 116 Cost. ha disciplinato la possibilità di attribuire, a determinati limiti e condizioni, ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia anche alle Regioni a statuto ordinario ma con legge dello Stato (e non con legge costituzionale come per le 5 regioni a statuto speciale), su iniziativa della Regione interessata, dopo aver sentito gli enti locali e nel rispetto dei principi di cui al nuovo art. 119 Cost. in materia di autonomia finanziaria degli enti territoriali (il c.d. federalismo fiscale). Tali forme e condizioni particolari di autonomia per le 15 regioni a statuto ordinario devono riguardare le numerose materie indicate nel nuovo terzo comma dell’art. 117 Cost. di legislazione concorrente tra Stato e Regioni per la quale la potestà legislativa spetta alle Regioni mentre allo Stato spetta solo la determinazione dei principi fondamentali. Tale autonomia particolare può riguardare anche le materie indicate dal nuovo secondo comma dello stesso art. 117 di legislazione esclusiva dello Stato alla lett. l) limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace e alle lettere n) e s) e cioè le materie dell’istruzione e della tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. La legge statale di attribuzione di tali forme e condizioni particolari di autonomia deve essere approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti e sulla base di un’intesa fra lo Stato e la Regione interessata. La riforma del titolo V ha voluto così introdurre una sorta di specializzazione delle Regioni a statuto ordinario a forme e condizioni particolari di autonomia attraverso una legge atipica del Parlamento approvata con procedura negoziata e rinforzata in quanto da adottare con procedimento aggravato essendo appunto prescritta per l’approvazione la maggioranza assoluta dei componenti delle Camere. Il nuovo art. 117 Cost. al comma quarto ha anche operato una inversione del criterio di riparto delle competenze statuendo che alle Regioni sono attribuite tutte le competenze legislative non esplicitamente riservate allo Stato, mentre nel testo originario erano le competenze regionali ad essere elencate specificamente e tutte le altre spettavano allo Stato centrale.
Fine parte prima
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