Edoardo Barelli Innocenti, presidente della Corte d’appello di Torino: «Attaccare i magistrati è una barbarie»

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di
Simona Lorenzetti e Ludovica Lopetti

Il discorso all’inaugurazione dell’anno giudiziario del distretto del Piemonte e della Valle D’Aosta: «La magistratura non è un contropotere, ma una tutela per tutti gli esseri umani, e sottolineo: non solo cittadini». Enrico Aimi (Csm): «Rischio anni di piombo»

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«La magistratura non è un contropotere», ma un «ordine autonomo e indipendente» e la sua funzione di garanzia la pone «tra i contrappesi indispensabili in ogni moderno Stato che si voglia definire democratico». E ancora: «È un potere a tutela di tutti gli esseri umani, e sottolineo: essere umani e non solo cittadini». È l’esordio del presidente della Corte d’appello di Torino, Edoardo Barelli Innocenti, in apertura dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del distretto del Piemonte e della Valle D’Aosta. Poco prima il flash mob dei magistrati contro le riforme

Contro gli attacchi ai magistrati

Nel suo intervento, il presidente difende con forza il ruolo della magistratura: «Non si può aggredire il singolo magistrato e additarlo al pubblico ludibrio solo perché non si condivide la decisione che ha preso, questa è barbarie! Ogni istituzione dello Stato deve rispettare le altre, picconarne una è come minare la struttura della casa comune, si rischia che crolli tutto l’edificio». Il magistrato affronta il rapporto giudici e politica e ricorda che i primi non devono «parteggiare» per alcuna parte.




















































Ma «se i giudici non devono fare politica, i politici non devono fare i giudici. Anche se, talvolta, in un momento di sconforto verrebbe voglia di dire: venite voi a fare il nostro lavoro nelle condizioni in cui lasciate i nostri uffici. Ma poi, no. Non è il caso». E ricorda: «Tanti anni fa un politico è stato chiamato a svolgere le funzioni di giudice e pur sapendo che l’accusato era innocente, cedendo alle richieste della folla e alle ragioni di Stato l’ha condannato a morte. Quel politico si chiamava Ponzio Pilato».

Aggiunge Barelli Innocenti: «Domandiamoci, tutti: vogliamo un giudice che si faccia influenzare dalla folla o dalle ragioni politiche, un giorno prono ai voleri della politica? O del potere esecutivo? Un burocrate intimidito? O un giudice con la schiena dritta che, con la forza del diritto, sappia tutelare i diritti degli esseri umani che chiedono giustizia anche contro le istanze dei poteri molto forti politicamente ed economicamente?».

E infine: «Mi sia consentito dire che la prospetta separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti non diminuirà di un giorno i tempi della giustizia. Per cui sarebbe meglio chiamarla riforma della magistratura. E non dimentichiamo che giustizia ritardata è giustizia negata».

Il bilancio del 2024

In 13 pagine il presidente traccia un bilancio dell’anno che si è appena concluso e punta l’attenzione sulle scoperture di organico, che vanno dal 20 al 50 per cento nei diversi uffici giudiziari. «Il caso di Ivrea appare ormai senza speranza – sottolinea -, è stato ripetuto più volte ad ogni incontro con il Csm e il ministero. Quel Tribunale è nato male, sottodimensionato per il bacino di utenza e per la quantità e qualità degli affari, ma nulla è stato fatto». In sostanza, gli uffici giudiziari di Ivrea vanno avanti solo per senso del dovere e spirito di sacrificio di tutto il personale della magistratura e amministrativo. Ma non vorrei che di questo meraviglioso spirito sabaudo qualcuno si approfittasse oltre misura».

Poi il capitolo carcere e il cronico sovraffollamento che «aggrava le condizioni dei carcerati, tra i quali aumentano i suicidi così come tra gli agenti di custodia». E allora, chiosa Barelli Innocenti: «Quanti suicidi dovremo ancora piangere prima della soluzione dell’annoso problema della capienza carceraria? Non sarebbe il caso di pensare a un provvedimento di clemenza nell’anno del Giubileo?».In conclusione, il presidente rivela che la minaccia della pena pecuniaria o detentiva non può essere l’unico deterrente per certi reati, ma bisogna puntare alla prevenzione con l’educazione: «E penso alla violenza di genere, ma pure agli incidenti stradali e agli infortuni, tutte vere piaghe sociali che devono essere affrontate con decisione»

«Torino a rischio anni di piombo» 

Torino è una città segnata da «manifestazioni violente» che hanno provocato numerosi feriti tra le forze dell’ordine «cui va tutta la nostra solidarietà», e «se non si interviene in maniera determinata rischiamo un
ritorno agli anni di piombo». Lo ha detto all’inaugurazione dell’anno giudiziario nel capoluogo piemontese Enrico Aimi, intervenuto in rappresentanza del Csm. «Bene hanno fatto – ha aggiunto – la Presidenza del Consiglio e i ministeri di interno e difesa a chiedere 6,8 milioni di risarcimento agli imputati del processo al centro sociale torinese Askatasuna». Aimi ha anche osservato che Torino «non è un caso isolato».

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ll procuratore generale Musti: «Qui adottate le famiglie mafiose»

«Certamente il Piemonte non è terra originaria di mafie tradizionali», ma «pericolose, menzognere e fuorvianti sono le affermazioni “qui da noi le mafie non esistono; le mafie non sono affar nostro, noi abbiamo gli anticorpi”». Sono parole dure quelle scelte invece dal procuratore generale Lucia Musti per descrivere il contesto criminale di cui soffre la nostra regione. «La carta vincente della ‘ndrangheta nel distretto del Piemonte e della Valle d’Aosta è insita in un duplice ordine di fattori. In primo luogo, la circostanza di essere inserita in un contesto in cui è forte la presenza di immigrati dal Sud Italia e pertanto di possibile condivisione della mentalità mafiosa seppur da una minima, minima parte di coloro che non si sono pienamente integrati in un contesto culturale e socioeconomico completamente differente da quello di provenienza, ovvero nel caso di seconde o terze generazioni le quali si sono fatte attrarre da un modello complessivo di vita in cui facilmente riconoscersi». 

E in secondo luogo, insiste il procuratore generale, il fatto che il Piemonte è stata negli anni Cinquanta terra di confino per i mafiosi con «l’irragionevole presunzione che avrebbero dismesso anche il loro abito, cosa non avvenuta nella misura in cui, a parte la sana popolazione emigrata dai territori del Sud che ha iniziato ad inserirsi nel mondo lavorativo, un’altra parte ha continuato a subire il fascino delle proprie origini o meglio delle peggiori origini». Da qui, il postulato secondo il quale «il Piemonte ha adottato le famiglie mafiose». «Ma la carta vincente delle mafie – chiosa il magistrato – è la capacità di coinvolgimento e di complicità nei confronti di quei cittadini autoctoni che, per fare affari con le mafie in relazione alla connotazione altamente imprenditoriale delle stesse, hanno aderito ad una mentalità assolutamente diversa dalla propria ricavando indubbi vantaggi».

Torino «Capitale dell’eversione 

E se il Piemonte è patria adottiva della ‘ndrangheta, Torino è vista dal procuratore come culla dell’eversione. E «la galassia dei centri sociali e degli anarco-insurrezionalisti» diventa «l’elemento maggiormente connotante» del distretto. Allarma, secondo il magistrato, «la pericolosa forza di attrarre nell’ideologia soggetti minorenni, reclutati ed istruiti» e «la capacità di entrare in condivisione con movimenti sani di cittadini che intendono manifestare pacificamente il proprio dissenso, per esempio contro il Tav».

Tutto questo, aggiunge, «genera eversione di piazza, da intendersi come sconvolgimento e rovesciamento dello stato delle cose». Severa la reprimenda riservata al centro sociale Askatasuna: «Assistiamo ormai da trent’anni al monopolio da parte del movimento antagonista torinese che gravità attorno ad Askatasuna», con i militanti che «hanno conquistato l’egemonia a livello nazionale del circuito autonomia e contropotere», hanno innalzato «il livello di conflittualità contro le istituzioni, intercettando le tensioni sociali e permeandole di solidarietà apparente» e assunto «la regia della mobilitazione violenta in Val di Susa».

Per questo, ha proseguito, «serve una risposta dello Stato che assicuri alla giustizia chi attua condotte criminose con chiare finalità eversive, quanto meno di piazza». Inevitabile un passaggio sui recenti disordini avvenuti durante i cortei Pro Pal: «Si travalicano pesantemente i confini del lecito agire e manifestare, si assaltano edifici, penso alle caserme, agli uffici di polizia, alla Rai e all’Università». E ancora: «Assistiamo a manifestazioni in cui si bruciano bandiere e si tende a demonizzare lo Stato di Israele. Ma mi chiedo quanti di questi ragazzi sanno che ogni 27 gennaio si commemora il Giorno della Memoria e cosa significa».


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25 gennaio 2025 ( modifica il 25 gennaio 2025 | 18:29)

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