Lukashenko presidente della Bielorussia per la settima volta, tra paura e oppressione

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MINSK. Stabilità, sicurezza, pace. Per molti bielorussi diretti alle urne queste sono le promesse che spingono a sostenere il presidente in carica Alexander Lukashenko. «Grazie al nostro presidente siamo sicuri del nostro domani, che non ci sarà la guerra come in Ucraina» dice Olga, una giovane donna che ha appena votato per l’attuale leader. «È tutto stabile da noi, possiamo vivere nel nostro paese con l’animo tranquillo» concorda il marito Gleb.

Noto come «l’ultimo dittatore d’Europa» Lukashenko governa la Bielorussia con il pugno di ferro dal 1994 e sarà rieletto per il settimo mandato consecutivo (i primi exit poll ufficiali parlano dell’87,6% di voti in suo favore) al termine di un’elezione senza reale opposizione. L’unica volta in cui il suo potere fu messo in discussione risale alle presidenziali del 2020: allora, accuse di frode elettorale portarono a proteste di massa, a cui le autorità risposero con una repressione brutale, con migliaia di arresti e procedimenti penali, ma anche abusi e torture perpetrati dalle forze dell’ordine nei confronti dei manifestanti.

All’uscita da un seggio, Timofey, 25 anni, rivela con esitazione che nel 2020 votò per Svyatlana Tikhanovskaya, la leader dell’opposizione ora in esilio. «Oggi è rischioso dire queste cose» afferma abbassando la voce. Uno dei suoi amici, che partecipò alle proteste, è ancora in prigione. Ora Timofey ha segnato l’opzione «contro tutti» sulla scheda elettorale, praticamente l’unico mezzo rimasto per manifestare dissenso.

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“Elezione farsa”

L’Unione Europea, gli Stati Uniti e l’opposizione bielorussa in esilio hanno annunciato che non riconosceranno i risultati delle elezioni, definendole una «farsa», citando il controllo totale di Lukashenko sui media e la repressione del dissenso. Le elezioni in Bielorussia si svolgono come un «rituale amministrativo, non come un evento competitivo» ha detto a La Stampa Artyem Shraibman, analista del Carnegie Russia Eurasia Center. Con i principali leader dell’opposizione incarcerati o in esilio, i quattro candidati ammessi alle elezioni di quest’anno appaiono come una mera facciata e raramente criticano Lukashenko.

Quest’ultimo ha snobbato la campagna elettorale, rifiutando ogni dibattito. «Onestamente, non sto seguendo, non ho tempo per questo» ha dichiarato alla stampa alla vigilia del voto. «Lukashenko vincerà queste elezioni», ammette Oleg Gaidukevich, uno dei candidati che non nasconde il suo pressoché completo sostegno al presidente. «Dal 2020, molte cose sono cambiate, abbiamo rafforzato lo Stato – spiega –. Ora le elezioni sono come devono essere: tranquille. Solo discussioni nei dibattiti e nessuna protesta di strada».

Via dal Paese

Isolato e sanzionato dall’Occidente, il regime di Lukashenko dipende totalmente dall’alleanza con Mosca per la sua sopravvivenza. Con l’invasione russa dell’Ucraina, la Bielorussia ha servito da base per il primo assalto di Putin e ha recentemente accolto armi nucleari russe sul proprio territorio. Allo stesso tempo, sullo sfondo della guerra che sta devastando il Paese vicino, Lukashenko si presenta come un garante della stabilità.

«Non è il momento di cambiare presidente – dice Aleksandr, un ingegnere di ventitré anni –. Nel 2020 volevamo cambiare qualcosa. Ma ora è un periodo turbolento, e vogliamo stabilità». Intanto, le repressioni politiche hanno causato un’emigrazione di massa: secondo Eurostat, i bielorussi sono stati la seconda nazionalità più numerosa, dopo gli ucraini, a ottenere permessi di soggiorno nell’Ue nel 2023.

La paura di tornare

«Tutti hanno paura di tornare» dice Viktoria, una casalinga fuggita in Polonia con la famiglia. In queste elezioni, le autorità hanno inasprito il controllo sul processo di voto, impedendo ai cittadini all’estero di partecipare. Anche se potessero, Viktoria non voterebbe. «Non porterebbe a nulla» dice sconsolata. Secondo Vyasna, organizzazione per i diritti umani ora bollata come organizzazione estremista in Bielorussia, ci sono 1.246 prigionieri politici nel Paese. Nei mesi prima delle elezioni, Lukashenko ha graziato oltre 200 di loro, gesto che gli analisti vedono come un tentativo di migliorare i rapporti con l’Occidente. Allo stesso tempo, le repressioni si sono intensificate in vista delle elezioni, dicono gli attivisti.

«Le autorità continuano a cercare, arrestare chi partecipò alle proteste del 2020, aprendo procedimenti penali contro di loro» spiega Natallia Satsunkevich, attivista di Vyasna costretta all’esilio. «La polizia va a casa della gente e avverte: durante le elezioni non dovete fare nulla, altrimenti saranno guai». «Mi dispiace per queste persone» afferma Aleksey, un insegnante di 40 anni che ha votato per Lukashenko. Aveva sempre sostenuto il presidente, tranne nel 2020, quando alcuni conoscenti lo convinsero a votare per Tikhanovskaya. Ora si pente di quella decisione. «È stata una scelta impulsiva e irrazionale, mi sono lasciato trascinare dalla folla» confessa. Suo cugino partecipò alle proteste, fu picchiato dalla polizia e messo in cella per dieci giorni. Allora Aleksey ha realizzato che opporsi a Lukashenko porta solo guai. «Quando votavo per lui, non c’erano queste repressioni» riflette. «Sono iniziate quando ho votato contro di lui».



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