Commozione e preghiere a Hostages square per la liberazione delle quattro soldate – Ansa
Hanno atteso fin dal primo mattino con le bandiere e la maglietta gialla – il colore degli ostaggi – indossata sopra i giubbotti invernali in modo da mostrare la scritta, in ebraico, «non siete sole». O, meglio, soli. Perché il messaggio delle migliaia e migliaia che ieri hanno affollato Hostages square di Tel Aviv era rivolto, certo, a Karina, Daniella, Naama e Liri, le protagoniste della giornata, ma soprattutto agli altri 90 rapiti ancora a Gaza. Poi, di colpo, alle 11.42, ora locale, il brusio è diventato frastuono mentre dal maxi-schermo di fronte al museo d’arte, sono scomparse le foto delle quattro soldate e l’emittente Channel 12 si è collegata con Gaza City per ritrasmettere la diretta di al-Jazeera, spenta in Israele il 6 maggio scorso quando il governo ha deciso di bandire «la voce di Hamas». Per la seconda volta in una settimana, però, la tv del Qatar è tornata nel cuore di Tel Aviv che ha dovuto mandarla in onda per non perdere il momento del rilascio di Karina Ariev, Daniella Gilboa, Naama Levy, tutte 20 anni, e della 19enne Liri Albag, rapite il 7 ottobre nella base di Nahal Oz, ad appena un chilometro dalla Striscia. Non lontano da lì, 477 giorni dopo, nella base israeliana di Reim, i genitori delle ragazze trattenevano il fiato nel veder scendere le ragazze, in divisa, dal convoglio di cinque suv bianchi senza targa e dirigersi, tenendosi per mano, sul palco allestito in Palestine square.
A differenza di una settimana fa, quando la folla aveva rischiato di travolgere le auto con le “liberande”, stavolta Hamas ha curato fin nei minimi dettagli la macabra coreografia. Le brigate Ezzedin al-Qassan, braccio armato del gruppo armato, in prima fila, i combattenti di al-Quds della Jihad islamica appena dietro con i ficili in pugno, molti sottratte all’esercito di Tel Aviv. Le soldate immortalate mentre firmavano i documenti del rilascio, in apparenza sorridenti, dopo aver ricevuto in omaggio un portachiavi del movimento. Un’esibizione grottesca di forza per gli israeliani da cui i miliziani sapevano di essere visti, per quanto la diretta sia stata limitata a una trentina di minuti scarsi. Gli occhi della folla di Hostages square, comunque, andavano oltre la cupa cerimonia di Palestine square. Guardavano ai mezzi della Croce Rossa in cui le militari sono finalmente salite per tornare, finalmente, in patria. Esattamente all’ospedale Rabin – dove i medici le hanno trovate in condizioni stabili –, dopo la sosta a Reim per riabbracciare le famiglie. La partenza è stata accompagnata da applausi e lacrime sulle note di “Habaita”, ovvero “ritorno a casa” di Yardena Arazi. «Un momento felice a lungo atteso», ha detto il premier, Benjamin Netanyahu. «Il mondo festeggia perché il presidente Trump ha ottenuto il rilascio di altri quattro sequestrati», ha dichiarato la Casa Bianca. La risposta del Forum dei parenti è stata una nuova marcia a Hostages square per «il ritorno di tutti». A cominciare da Arbel Yehud, 29 anni, rapita a Nir Oz. La giovane, con doppia cittadinanza, tedesca e israeliana, doveva essere liberata domenica scorsa ma Hamas l’aveva sostituita all’ultimo con Emily Damari. Di nuovo, ieri, non è stata inclusa. Israele, su tutte le furie, ha denunciato una violazione dell’accordo in base al quale il gruppo armato avrebbe dato precedenza ai civili. Come Arbel. Il governo Netanyahu ha minacciato di impedire il ritorno dei 650mila profughi gazawi nel nord fino alla sua liberazione, per poi ammorbidire i toni di fronte alla promessa dei miliziani di restituire Arbel al prossimo scambio. Per questi ultimi, lo slittamento è dovuto a una questione tecnica. In realtà, sembra esserci una disputa con la Jihad, nelle cui mani si trova la giovane. Israele insiste per avere informazioni su quanti dei restanti 26 rapiti da liberare nelle prime sei settimane di tregua sono ancora in vita.
Stime dei militari ipotizzano 18. Arbel è fra le ultime donne della lista ancora prigioniere, insieme a Agam Berger e a Shiri Silberman Bibas, catturata con i figli Kfir e Ariel di uno e quattro anni. Il fatto che né allo scambio di novembre 2023 né ora, i miliziani abbiano dato priorità a questi ultimi fa temere sulla loro sorte.
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