“C’è speranza per i giovani, a Parma? Il marziano che arriva o la persona che ha passato il mare, a Parma, vede speranza o rassegnazione? Siamo Capitale europea dei giovani. L’Europa è giovane e dà speranza? Queste domande me le faccio da cittadino e da Vescovo, preoccupato e voglioso di guardare avanti con una coscienza che si interroga, osservando prima di tutto la nostra Chiesa le cui membra sono la gente di Parma che crede, partecipa, vive, come ognuno può, la fede cattolica. Ho goduto della Giornata mondiale della gioventù e di altre manifestazioni con i giovani e soffro se la Chiesa non ascolta e non propone e quando vedo non accolte o sciupate le potenzialità ed energie dei giovani. Intuisco la loro voglia di autenticità, di crescita e di testimoni”.
Con queste domande inizia la lettera inviata da mons. Enrico Solmi, vescovo di Parma, alla città, che sarà capitale europea dei giovani nel 2024, in occasione della solennità del patrono sant’Ilario di Poitiers, coniugando la speranza, tema dell’Anno Santo, ed i giovani, simbolo di speranza nel presente e nel futuro, ma anche espressione spesso di sogni traditi: “Ognuno ha una responsabilità verso i giovani, gli adulti, la famiglia, la Chiesa e la società civile, le aggregazioni e la scuola. Pensare ai giovani, dobbiamo esserne coscienti, è inquadrare una galassia diversificata, per età, per provenienza, per possibilità, per inclusione. Un elenco lungo, troppo per essere raccolto qui. Parma è una città ricca. Dove si vive bene. Anche se questo non è per tutti”.
Consapevole di ciò ha indicato alcune speranze che i giovani, intervistati, nutrono: “Il desiderio che muove la speranza è, per molti, la felicità e per tanti la fede che prospettano uno sguardo verso il futuro. La speranza viene percepita come una molla… La speranza è colta come la possibilità e l’auspicio di un cambio di passo, nella consapevolezza che si può ‘avere una seconda possibilità’, e che ‘non è ancora detta l’ultima parola sulla realtà e che c’è ancora qualcosa di nuovo…’. Una speranza che viene alimentata, per alcuni dalla fede, per molti dalla testimonianza degli altri: ‘Giovani che fanno scelte in conformità al Vangelo’, ‘persone che, intorno a me, continuano a progettare e a vivere e non a sopravvivere’; per altri dalla gratitudine: ‘Spero di poter restituire al mondo parte di quello che ho ricevuto’, come gli stessi giovani intervistati hanno dichiarato. Messaggio che contiene domande, riflessioni e provocazioni, rivolte a tutta la comunità, sia cristiana che civile, perché solo camminando insieme si dà forma e volto alla speranza”.
Inoltre i giovani hanno sottolineato gli ostacoli alla speranza: “Ma i giovani hanno anche evidenziato ciò che spegne, ostacola, la speranza. Tra questi, la paura: ‘La paura di non riuscire ad arrivare al traguardo che mi sono posta, l’insicurezza nelle mie capacità’… Paura, incertezza, instabilità, vissute e colte anche nell’attuale contesto sociale e politico”.
Quindi parlare di speranza implica alcuni interrogativi sugli stili di vita di una comunità: “Parlare di speranza, come ci hanno detto e ci chiedono i giovani, porta ad interrogarci sullo stile di vita della nostra comunità, sulle attese che genera, sui modelli che propone, su quanto si ritiene essenziale, condiviso e non rinunciabile. Così pure se trae dal suo tesoro, dalla sua anima, un messaggio armonico che rende ragione delle dimensioni proprie della persona, non soltanto di carattere immediato e immanente, ma con piste di risposte a interrogativi profondi che non possono essere elusi e a domande di senso tanto radicali, quanto appaiono sovente lontani i punti luce che le possono rischiarare, come donne e uomini significativi, capaci di educare, ascoltare e attrarre”.
Ma la speranza è bloccata anche dalla precarietà: “La speranza fatica a crescere nella precarietà, nell’incertezza, nella povertà. Non possiamo negare che anche a Parma la forbice si sta allargando tra giovani che hanno tante possibilità di formazione e di un significativo o alto tenore di vita e chi ne ha molto meno, fino a non averne. Qui si mina la speranza. Può essere forte come la gramigna che fora l’asfalto, ma, più spesso, vi muore sotto. Pensiamo ai giovani migranti che cercano una sistemazione, un permesso di soggiorno, un lavoro, una possibilità di studio. In chiaro scuro la speranza e la sua negazione possono portare a delinquere e a oltrepassare le porte del Carcere. Via Burla non è una burla. E’ luogo di detenzione anche di giovani”.
Per questo il vescovo ha invitato i giovani ad essere testimoni di speranza: “I giovani sono testimoni di speranza. La nutrono e la diffondono. Sanno, come diceva don Pino Puglisi, ‘rispondere alle attese vere dell’umanità intera e del singolo… sperimentano che vivere è sperare’ fino al martirio, cioè fino a pagare di persona”.
Un giovane di speranza è stato Sammy Basso: “Una lezione non voluta, dalla cattedra della sua vita di giovane ventottenne, affetto da progeria. Tanti giovani hanno la domanda sulla vita e su cosa c’è oltre. Negarla è mettere la polvere sotto il tappeto. La speranza della vita piena che non finisce, non distoglie dall’oggi, anzi è la molla per il cambiamento. Nei testimoni di speranza possiamo mettere ‘i patrioti’ ricordati dal presidente Mattarella.
pI loro sono volti comuni, in professioni necessarie e spesso a rischio… Fa ben sperare vedere giovani che si offrono per i più poveri, anche loro coetanei, che servono in servizi essenziali, da volontari, come alla mensa della Caritas. Lo fanno in silenzio, non fanno polemiche sterili, non puntano il dito senza conoscere, si tirano su le maniche, si sporcano le mani”.
Perciò il messaggio del vescovo è un invito agli adulti di ascoltare i giovani: “Testimoni di speranza sono anche quei giovani (ce lo hanno detto nelle interviste) che sperano di fare famiglia, di generare figli. Preoccupa che questo desiderio resti, per loro, in bilico tra la speranza e la paura di non farcela. Due giovani che si sposano si aprono al futuro; il figlio è ‘la’ speranza della città e del mondo. Oltre che loro. Se intendiamo per ‘patriottismo’ l’agire con coraggio per il bene comune, sono veri patrioti”.
Ecco l’invito ad essere ‘pellegrini nella speranza’: “Il pellegrinaggio, tipico del Giubileo, è una pratica e un simbolo universale e può rappresentare la sinergia tra la speranza giovane e la nostra città. Richiede una partenza, un itinerario, una meta, e camminare con entusiasmo insieme. Si vince così più facilmente la fatica, e si supera, una volta partiti, la noia e l’apatia. Mette alla prova, purifica le speranze. C’è l’obbligo che nessuno resti indietro. Ci piace pensare che possa essere intrapreso da una comunità che, unendo tutti, trae dalla sua storia anche recente la motivazione per farlo (vi ricordate della pandemia e di quanto ci dicevamo?) avendo i giovani come apripista. Si cammina sulla terra, l’ambiente che ci è dato”.
Il messaggio si conclude con l’invito ad iniziare un pellegrinaggio di speranza: “Nel pellegrinaggio si può toccare l’essenziale che ci abita, attivare risorse sopite, aprirsi alla speranza. Dal di dentro si irradia la luce e la forza per il poliedro della speranza. Non ha luce propria, la riceve e l’espande al punto che diventa storia, cambiamento. L’augurio è che questa luce si riaccenda nel cuore di tutti i giovani e che si si espanda ovunque, partendo dalla nostra città, dal suo territorio, perché non ci può essere futuro se non lo speriamo insieme”.
(Foto: Diocesi di Parma)
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