L’indagine Istat sull’andamento dell’occupazione nel mese di novembre 2024 certifica la crescita di circa 1,4 milioni di lavoratori over 50 anni rispetto al mese di dicembre 2019, superiore a quella degli occupati totali (+1,05 milioni). Negli anni successivi alla pandemia la coorte dei lavoratori anziani è diventata quella più numerosa, equivalente al 41% del totale degli occupati, superando quella tra i 35 e i 49 anni.
È un caso unico nel contesto dei Paesi europei, dovuto per la gran parte all’impatto demografico dell’invecchiamento della popolazione su quella in età di lavoro e per le conseguenze del graduale adeguamento dell’età pensionabile. L’aumento della quota dei lavoratori over 50 dipende anche dalla complementare riduzione del numero dei giovani in uscita dai percorsi formativi, che risente del vertiginoso calo della natalità registrato nel corso degli anni ’90 dello scorso secolo e del ridotto tasso di occupazione delle nuove generazioni, attualmente inferiore di 10 punti percentuali rispetto alla media europea.
Sono tendenze che hanno impedito un adeguato ricambio generazionale per la fascia centrale degli occupati con età tra i 35 e i 49 anni, che rappresenta la spina dorsale delle forze di lavoro in tutti i Paesi sviluppati. Il dato è particolarmente preoccupante perché in questa fascia di età si concentra la quota maggiore degli investimenti professionali e delle scelte di vita delle persone, a partire dalla formazione delle famiglie, che comportano conseguenze anche sul medio e lungo periodo.
L’impatto delle tendenze demografiche sul mercato del lavoro mette in evidenza l’esaurimento degli effetti virtuosi del contributo offerto dalle generazioni del baby boom alla crescita dell’economia nazionale e al finanziamento delle prestazioni sociali derivanti dall’aumento dell’età media di vita.
Il cambiamento in atto è radicale ed è già in corso da almeno un decennio: la quota dei lavoratori anziani che escono dal mercato del lavoro per motivi di pensionamento continuerà a essere di gran lunga superiore al potenziale ingresso delle coorti giovanili. L’aumento delle persone a carico della collettività e delle aspettative di vita comporteranno dei fabbisogni aggiuntivi di spesa pubblica e privata per le pensioni, la sanità e per il lavoro di cura.
Come sottolineato in un recente articolo, la missione primaria delle politiche del lavoro diventa quella di favorire la ricostruzione della popolazione lavorativa per far fronte alla perdita di circa 4 milioni di persone in età di lavoro entro il 2040 e un prevedibile aumento di circa 1,5 milioni di pensionati. La riserva da cui attingere per rigenerare l’occupazione per mantenere un ragionevole rapporto tra il numero dei pensionati è rappresentata dalla possibilità di riallineare gradualmente i nostri tassi di occupazione dei giovani under 35 anni e delle donne alla media dei Paesi europei. La principale difficoltà è rappresentata dalla particolare concentrazione di questi bacini non utilizzati, circa 2 milioni di potenziali lavoratori, nelle regioni del Mezzogiorno. Una condizione che può essere resa possibile da un aumento della domanda di lavoro territoriale derivante da tassi di investimento e di crescita dell’economia superiori alla media nazionale. Negli ultimi due anni l’inversione di tendenza è in parte avvenuta, con una crescita del 4,2% degli occupati nei territori del Mezzogiorno superiore alla media nazionale, ma non ancora sufficiente per scoraggiare le migrazioni verso altre regioni italiane.
Per la rilevanza assunta nel mercato del lavoro dalla quota dei lavoratori anziani over 50 anni, molto dipenderà anche dalla capacità di rendere sostenibile l’allungamento dell’età di pensionamento, data l’oggettiva impossibilità di proseguire la prassi dei pensionamenti anticipati utilizzata come ammortizzatore sociale per offrire risposte ai lavoratori in età avanzata coinvolti nelle ristrutturazioni produttive. L’attuale età media effettiva di pensionamento, 64,6 anni, rimane molto al di sotto di quella della pensione di vecchiaia (67 anni). Senza un rilevante incremento del numero degli occupati la quota dei pensionati rispetto ai lavoratori attivi, attualmente attestata su 60 percettori ogni 100 contribuenti, è destinata a crescere in modo esponenziale. Il numero totale delle rendite pensionistiche, circa 23 milioni comprese quelle assistenziali e di reversibilità, e già pressoché allineato a quello dei lavoratori occupati, perché circa 7 milioni di pensionati risultano titolari di due o più prestazioni. Per contenere l’incremento della spesa pensionistica, compresa la componente assistenziale, sono stati adottati nel corso degli ultimi 12 anni provvedimenti che hanno ridotto l’importo della rivalutazione delle pensioni medio alte rispetto all’inflazione.
Il passaggio necessario diventa quello di differenziare le politiche per il lavoro e del welfare per la terza età, valorizzando l’invecchiamento attivo con interventi mirati a mantenere elevata l’occupabilità dei lavoratori anziani e per prevenire le malattie croniche, rispetto a quelli finalizzati ad offrire trattamenti e servizi dignitosi alle persone non autosufficienti.
L’esigenza di un cambio di paradigma nella lettura dei fenomeni diventa necessaria per evitare che l’incapacità di valorizzare gli aspetti positivi, l’allungamento dell’aspettativa di vita e la disponibilità delle innovazioni tecnologiche in grado di migliorare la qualità dei servizi e delle prestazioni, comporti un aumento delle tragedie per i lavoratori anziani che perdono il lavoro (circa 3 milioni di over 50 cambiano lavoro ogni anno) e per le persone non autosufficienti che rischiano di rimanere prive di mezzi e di servizi (attualmente 3,8 milioni).
I dati sull’andamento dell’occupazione dei lavoratori over 50 segnalano un positivo cambiamento delle imprese rispetto ai dipendenti anziani dotati di valori ed esperienze che non sono facilmente riscontrabili nelle nuove generazioni. Una recente indagine dell’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) segnala che il 97% delle imprese ritiene importante ridurre il loro numero e, tra queste, il 93% di poterli sostituire con lavoratori giovani. Ma è del tutto evidente l’importanza di assicurare a questi lavoratori un’adeguata e ragionevole formazione per adattare le competenze all’utilizzo delle tecnologie digitali, di poter far loro usufruire di normative legislative e contrattuali che consentano di combinare modelli flessibili di retribuzione con le rendite pensionistiche e la possibilità di rivalutare l’importo della pensione con il riconoscimento degli ulteriori contributi versati.
In diversi Paesi sviluppati si stanno diffondendo le prestazioni assicurative pubbliche o private sociali finalizzate a garantire l’accesso ai servizi e alle cure nel passaggio dalle condizioni di buona salute a quelle di non autosufficienza.
Lo sviluppo dei servizi sanitari e assistenziali territoriali e domiciliari, e l’utilizzo delle tecnologie digitali, hanno offerto una straordinaria crescita occupazionale qualificata per i giovani e le donne e per contrastare lo spopolamento di molte comunità locali in molti Paesi europei. I mezzi per invecchiare in buona salute e per offrire opportunità di lavoro per le giovani generazioni sono disponibili, ma bisogna saperli utilizzare.
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