INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELL’ORDINE, AVV. FRANCESCO LOGRIECO, NEL CORSO DELL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO DEL 25 GENNAIO 2025

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Riportiamo il testo integrale del discorso pronunciato dal Presidente Avv. F. Logrieco nel corso della inaugurazione dell’anno giudiziario tenutasi il 25 gennaio 2025 presso la Corte di Appello di Bari:

A nome di tutti gli Avvocati del Distretto della Corte di Appello di Bari porgo i più rispettosi saluti al Signor Presidente della Corte, al rappresentante del Consiglio Superiore della Magistratura, al Sig. Vice Ministro della Giustizia, al Sig. Procuratore Generale, ai Presidenti dei Tribunali ed ai Procuratori della Repubblica, alle Colleghe ed ai Colleghi, alle Magistrate ed ai Magistrati, alle Autorità Civili e Militari, ai Dirigenti e rappresentanti del personale amministrativo, ed ai Rappresentanti degli organismi forensi e degli Ordini professionali.
Consentitemi di ringraziare il Presidente Distrettuale avv. Salvatore D’Aluiso, che d’intesa con il Presidente del COA di Foggia, avv. Gianluca Ursitti, mi ha invitato ad intervenire, in questo importante momento istituzionale, in rappresentanza del Distretto. Ho accettato l’invito per onorare l’antichissimo e prestigioso Ordine di Trani, istituito nel 1874, quindi centocinquantanni fa, ma gli albi conservati nel nostro archivio storico documentano l’iscrizione di Avvocati con anzianità risalente ai primissimi anni del 1800, in quanto il Tribunale fu istituito a Trani l’8 agosto 1806 con decreto del Re di Napoli Giuseppe Bonaparte.
Il Presidente della Repubblica, in occasione del tradizionale discorso di fine anno ha detto: “In questo periodo sembra che il mondo sia sottoposto a una allarmante forza centrifuga, capace di dividere, di allontanare, di radicalizzare le contrapposizioni. Sono lacerate le pubbliche opinioni. Faglie profonde attraversano le nostre società. La realtà che viviamo ci presenta contraddizioni che generano smarrimento, sgomento, talvolta senso di impotenza.”
La trentennale discussione sulla separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri per la piena attuazione del principio del giusto processo, che in questi giorni è oggetto di serrata discussione parlamentare, ha rinvigorito vetuste paure ed ingiustificate contrapposizioni all’interno della giurisdizione.
Non è questa la sede per parlare dell’annosa querelle, ma sicuramente è un’occasione importante per ribadire con forza, che l’avvocatura non è interessata ad un impoverimento del ruolo sociale del Magistrato, qualunque funzione o carriera egli decida di intraprendere.
Magistrati ed Avvocati devono rivendicare e difendere insieme la condizione della piena indipendenza dell’attività giurisdizionale dagli altri poteri dello Stato e da altre forme di possibile condizionamento, ma nel contempo rispettare l’indipendenza degli altri poteri dello Stato, dimostrando di avere fiducia nella Corte Costituzionale che ha il compito di garantire l’osservanza, da parte di tutti, della Costituzione, e che ha sempre dato prova di saper ricondurre il legislatore entro i confini della Costituzione tutte le volte che erano stati violati.
Il rispetto del contraddittorio richiede l’uso attento delle parole da parte dei sostenitori della riforma, e l’abbandono di conclusioni preconcette da parte dei sostenitori dell’attuale assetto costituzionale, mentre entrambe le parti dovrebbero rivedere le proprie argomentazioni che nel tempo hanno acquisito la rigidità dei luoghi comuni, divenendo ragionamenti sostanzialmente immutabili ed insensibili sia ai significativi mutamenti della realtà effettuale nel frattempo intervenuti, che alle rilevanti novità contenute nel disegno di legge costituzionale in discussione.
Non dividiamoci, discutiamo, impariamo a conoscerci senza pregiudizi ideologici !
La strada del confronto che muove dal ripudio di tesi precostituite è, in questo momento storico, la via principale da percorrere per recuperare, tutti insieme, una dimensione di comunità giuridica che è stata interrotta drammaticamente dalla pausa del COVID da cui troppo lentamente si sta uscendo.
Non sono parole mie, queste ultime, ma della Prima Presidente della Corte di Cassazione, Margherita Cassano, pronunciate il 15 aprile 2024 in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario del Consiglio Nazionale Forense. Nella stessa circostanza, la Presidente aggiungeva: “Dobbiamo recuperare, soprattutto la Magistratura, la consapevolezza che il lavoro del magistrato è presenza in ufficio, non soltanto nei giorni di udienza. Significa disponibilità a incontrare, a confrontarsi con gli avvocati, a sentire i loro bisogni, perché soltanto attraverso un costante e serrato dialogo possiamo tutti insieme trovare le migliori soluzioni, non solo giuridiche ma anche organizzative, nella consapevolezza che nella formazione di ognuno di noi il sapere giuridico ma anche attenzione agli aspetti organizzativi sono inscindibilmente collegati.”.
Non tornerò sull’argomento del ricorso esagerato alla trattazione del processo con modalità cartolare, perché perfino autorevoli rappresentanti dell’attuale compagine governativa ne denunciano l’abuso, così come in passato autorevoli rappresentanti di diverse compagini governative avevano condiviso con l’avvocatura altre inefficienze processuali, ma posso affermare senza timore di essere smentito che nessuno di loro è stato in grado di rimediare con tempestiva determinazione alle difficoltà riscontrate, per evitare che il sistema continuasse a franare.
Il rigetto immediato di una istanza motivata di trattazione in presenza, devo ammetterlo, provoca a noi avvocati un sentimento di irritazione, che talvolta si traduce in sfiducia in quel giudice che ha sottovalutato l’importanza della oralità e della contestualità del confronto dialettico tra i litiganti, ai fini della formazione del giusto convincimento, che poi si tradurrà in una sentenza giusta.
La cultura della giurisdizione si forma attraverso il contatto dei suoi interpreti, che soprattutto in questo contesto, proiettato verso la progressiva deumanizzazione del processo e della decisione, mette a rischio lo stesso ruolo della Magistratura e della Giustizia.
Negli ultimi venti anni Avvocatura e Magistratura hanno denunciato inutilmente l’inefficacia delle riforme processuali concepite nella prospettiva di rendere effettiva ed efficiente la risposta giurisdizionale alla domanda di giustizia. Le più recenti riforme del processo civile e del processo penale, avversate da tutti gli operatori, soprattutto riguardo alla improvvida anticipazione di alcuni mesi dell’entrata in vigore di parti significative dei decreti legislativi, hanno inferto un duro colpo alla tenuta del sistema giudiziario, che richiede una urgente risposta, se l’obiettivo realmente perseguito dal Ministro è di realizzare <un’attività giurisdizionale tempestiva e di qualità, e dunque pienamente conforme ai principi di cui agli artt. 27 e 111 della Carta Costituzionale>.
Magistrati ed Avvocati insieme devono combattere qualsiasi forma di processo mediatico che trasforma il processo in occasione di profitto, e soprattutto, attraverso i rispettivi Organismi di rappresentanza istituzionale devono frenare la deriva della mercificazione dei diritti, che antepone obiettivi economici o finanziari alla necessaria qualità del processo.
Sono queste le sfide comuni che dovrebbero impegnare Magistrati ed Avvocati per realizzare una tutela giurisdizionale effettiva, piuttosto che una giurisdizione soltanto efficiente.

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La progressiva contrazione dell’arretrato non dipende dal successo delle politiche governative in tema di giustizia, perché gli investimenti specifici nel settore dell’organizzazione giudiziaria sono sempre stati inadeguati rispetto alle necessità reali; i magistrati in servizio sono numericamente insufficienti; le scoperture dei giudici di pace sono insostenibili (con l’aggravante che i giudici onorari destinati a quell’Ufficio spesso vengono trattenuti nei tribunali per colmare i vuoti dell’organico togato); ed i preziosissimi cancellieri ed assistenti sono sempre troppo pochi.
In queste condizioni, i programmi di smaltimento dell’arretrato, almeno in alcuni settori, intanto registrano il conseguimento del risultato programmato, perché le sopravvenienze si sono ridotte sensibilmente. Ma a quale prezzo si sono ridotte le sopravvenienze ? Rendendo sempre più difficile l’accesso alla giustizia, attraverso il progressivo aumento del contributo unificato, imponendo plurimi balzelli, filtri, sanzioni tributarie. Il recente provvedimento di cui al comma 3.1 dell’art. 14 del DPR 115/2002, che subordina l’iscrizione a ruolo dei procedimenti civili al versamento del contributo unificato, a prescindere dalla dubbia tenuta costituzionale della norma, dimostra che per il nostro Legislatore i diritti sono merci, che possono essere acquistati solo pagandoli. Anche i costi della giustizia complementare, mi riferisco alla mediazione obbligatoria, sono aumentati notevolmente, per cui molti clienti preventivamente informati dei costi del processo, rinunziano a tutelare i propri diritti, postergandoli alle superiori esigenze di mantenimento delle famiglie.
La tutela dei diritti deve essere assicurata a tutti, ma soprattutto ai cittadini economicamente deboli ed esclusi, e quando ciò non avviene, si realizzano inevitabilmente sacche di ingiustizia e di prevaricazione concretamente orfane di qualsiasi giudice.
Ed allora accade che i delitti contro il patrimonio aumentano non soltanto per colpa del disagio sociale dei nostri tempi, ma perché in tanti non riconoscono nel tribunale un’agenzia di giustizia effettivamente interrogabile per la tutela dei propri diritti; il che spinge i più sprovveduti o che hanno difficoltà di conoscere il diritto, a ricorrere a forme di “giustizia alternativa”, e non alludo ovviamente alle A.D.R., per recuperare i crediti, o per ottenere dall’inquilino moroso il rilascio dell’immobile locato, che a volte costituisce l’unica fonte di reddito del locatore, e non vado oltre, perché noi Presidenti abbiamo la possibilità di fornire contributi e formulare segnalazioni, anche al di fuori del procedimento di formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici.
Mi limito a rammentare che il diritto dovrebbe agevolare la convivenza pacifica e il soddisfacimento dei bisogni dei cittadini piuttosto che complicare la loro vita.
Avvocati e Giudici esistiamo per risolvere gli effetti di simili complicazioni con l’unica arma che ci appartiene: la cultura dei diritti !
L’Avvocatura ha interesse che la Giustizia recuperi appieno prestigio e credibilità, affinchè i cittadini possano nutrire convintamente fiducia e non diffidenza verso la Giustizia e l’Ordine Giudiziario, e, come ha affermato in passato il Presidente Mattarella, “neppure avverta il timore per il rischio di decisioni arbitrarie o imprevedibili che, in contrasto con la doverosa certezza del diritto, incidono sulla vita della persona”.

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In questa giornata che vede presenze autorevolissime, non posso tacere la diffusa preoccupazione per la situazione degli Uffici del Giudice di Pace, che oramai da troppo tempo risentono di una carenza di personale, giudiziario ed amministrativo, non più tollerabile, e che i compiti aggiuntivi assegnati dalla c.d. Riforma Cartabia porteranno all’inevitabile collasso, laddove quelle carenze non fossero emendate, non tra un anno, non tra sei mesi, ma subito. Il ministero provi a stupirci con una manifestazione di ragionevolezza ed umiltà istituzionale, differendo senza indugio l’entrata in vigore, prevista il 31/10/2025, dell’ampliamento delle competenze per materia e per valore del giudice di pace, perché la gravissima scopertura degli organici, di giudici ed amministrativi, e le carenze delle infrastrutture tecnologiche, non lo consentono.
Così come non posso omettere di denunciare le importanti scoperture degli organici nei Tribunali del Distretto, sia nel civile che nel penale, scoperture che influenzano la ragionevole durata dei processi ed anche il regolare funzionamento della complessa macchina amministrativa.
Sappiamo, però, che alcuni disagi potrebbero essere eliminati armonizzando le risorse disponibili, ottimizzando il lavoro di tutti gli operatori, ed in alcuni casi, potrà risultare paradossale, anche soltanto applicando correttamente le leggi esistenti, oppure scardinando alcune odiose barriere burocratiche, che nel nostro meridione d’Italia resistono a qualsiasi tentativo di penetrazione costruttiva, rendendo irrealizzabile ciò che altrove, invece, è stato già realizzato.
Nel rispetto dei ruoli e delle competenze che la legge n. 247/2012 attribuisce all’Ordine forense, i Consigli continueranno a formulare proposte costruttive per migliorare l’amministrazione della giustizia; solleciteranno l’adozione di interventi per ottimizzare i carichi di lavoro nelle aree, civile e penale, onde garantire l’attuazione piena e concreta della Giustizia; continueranno ad auspicare la centralità del Giudice ordinario nel processo; continueranno a manifestare la legittima preoccupazione ogni qualvolta avvertiranno la surrogazione nella fase decisionale di figure introdotte nell’organizzazione giudiziaria non certamente per scrivere provvedimenti anche complessi; chiederanno il rispetto della congruità delle liquidazioni giudiziali come tangibile attuazione dell’art. 2233 c.c., costantemente richiesto dalla Suprema Corte, ma largamente disatteso, soprattutto nel gratuito patrocinio; e non faranno mancare mai il loro sostegno alle Dirigenze in qualsiasi iniziativa finalizzata a migliorare l’edilizia giudiziaria, che in tutto il Distretto soffre ritardi ingiustificati, pur impiegando fiumi di denaro pubblico, senza raggiungere il risultato finale, sempre per colpa di quella burocrazia che poco prima ho additato come un ostacolo insuperabile ogni qualvolta si intraprenda la strada del cambiamento.

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Il Presidente Mattarella, sempre nel discorso di fine anno, ha ricordato che: “I giovani sono la grande risorsa del nostro Paese. Possiamo contare sul loro entusiasmo, sulla loro forza creativa, sulla generosità che manifestano spesso. Abbiamo il dovere di ascoltare il loro disagio, di dare risposte concrete alle loro esigenze, alle loro aspirazioni.
La precarietà e l’incertezza che avvertono le giovani generazioni vanno affrontate con grande impegno anche perché vi risiede una causa rilevante della crisi delle nascite che stiamo vivendo.”
Non incontrerà forse condivisione ciò che mi accingo ad affermare, ma sono convinto che il sistema di reclutamento dell’Ufficio del processo rappresenta una fucina di illusioni lavorative, forse la più importante realizzata negli ultimi decenni.
Praticanti ed Avvocati continuano a cancellarsi o sospendersi dagli Albi o dai Registri, perché risultati vincitori di un posto a tempo determinato, con l’illusione della stabilizzazione, che, a mio avviso, difficilmente potrà interessare tutti, in quanto i fondi del PNNR finiranno prima o poi. Nel frattempo tutti i giovani ed i meno giovani che hanno deciso di vivere l’esperienza dell’Ufficio del processo, si troveranno fuori dal mercato delle professioni legali, per il quale il tempo della giovinezza corre con maggiore velocità rispetto ad ogni altro mestiere.
Alla contrazione progressiva dei numeri conseguirà inevitabilmente un impoverimento culturale all’interno dell’ordine forense e giudiziario, ed alcuni segnali già si avvertono.
L’entrata in servizio del personale assunto grazie ai fondi del PNNR ha migliorato la situazione delle cancellerie e degli uffici giudiziari, ma si tratta pur sempre di una soluzione temporanea, peraltro drasticamente ridimensionata dal contestuale pensionamento di un notevole numero di dipendenti, per cui in assenza di un significativo apporto di nuove risorse umane e tecnologiche, la paralisi dell’intero settore sarà inevitabile.

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Uno dei primari obiettivi della c.d. riforma Cartabia era la digitalizzazione, ma spiace constatare che le numerose istanze dell’Avvocatura, e per alcune materie, anche della Magistratura, sono rimaste inascoltate.
Il sistema telematico, che notoriamente opera con molti canali di deposito e di consultazione, è nato vecchio, funziona con programmi obsoleti, difetta di manutenzione, e perfino gli aggiornamenti più recenti hanno immediatamente denunciato i propri limiti.
Noi avvocati siamo abituati, ma non rassegnati, a convivere con le preoccupazioni professionali causate dalle criticità del processo telematico, meglio dal famigerato “errore fatale”, per cui l’invito che rivolgo al Vice Ministro è di impegnare congrue risorse finanziarie nella realizzazione di una piattaforma unica, per il deposito degli atti e la consultazione dei fascicoli, che consenta al nostro Paese di lodarsi di una Giustizia tecnologicamente avanzata, in grado di affrontare la sfida dell’intelligenza artificiale.
Un invito altrettanto importante lo rivolgo ai Giudici, affinchè superino la stagione dell’esasperato formalismo telematico, concentrandosi sul merito delle questioni giuridiche, perché solo la decisione del merito è in grado di comporre un conflitto tra le parti.

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Ho lasciato per ultime due riflessioni che vorrei condividere con tutti i presenti.

La prima riguarda la situazione di disagio nel quale versano le carceri italiane: sovraffollamento, celle fatiscenti, condizioni degradate di vita, insufficiente supporto psicologico, affievolimento dei diritti e delle garanzie, alimentano il drammatico conteggio dei suicidi e tentati suicidi, che nessun provvedimento urgente potrebbe contenere, perché ciò che più manca ai detenuti è la speranza del domani.

La seconda riguarda i tanti Avvocati arrestati nel mondo per avere tutelato i diritti degli oppressi. Gli Avvocati, dopo i giornalisti, costituiscono la categoria più colpita al mondo da aggressioni, arresti, detenzioni arbitrarie e discriminazioni da parte dell’autorità costituita, in quanto soggetti attivi (e perciò maggiormente esposti) per la tutela dei diritti umani e contro la violazione sistematica del diritto all’equità processuale.

Auguro a tutti un buon anno giudiziario.

Francesco Logrieco


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