Sono molte le criticità delle “Linee Guida riguardanti incarichi di collaborazione, consulenza, studio e ricerca, ai fini dell’adempimento di cui all’art. 1, c. 173, della l. n. 266/2005”, adottate dalla Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna, con deliberazione 11.12.2024, n. 135.
In particolare, l’intervento della magistratura contabile segna un passo indietro, o quanto meno un atteggiamento di poco condivisibile “conservazione” rispetto alla corretta configurazione dei servizi attinenti l’ingegneria e l’architettura, laddove si “rispolvera” la distinzione tra contratto di prestazione d’opera e contratto di appalto di servizi, come se fosse ancora oggi ammissibile tale divaricazione, alla luce del chiarissimo ordinamento eurounitario e delle disposizioni del codice dei contratti.
Partiamo da queste. Ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera l), dell’Allegato I.1 al d.lgs 36/2023, è “«operatore economico», qualsiasi persona o ente, anche senza scopo di lucro, che, a prescindere dalla forma giuridica e dalla natura pubblica o privata, può offrire sul mercato, in forza del diritto nazionale, prestazioni di lavori, servizi o forniture corrispondenti a quelli oggetto della procedura di evidenza pubblica”
In particolare, ai sensi dell’articolo 66, comma 1, del d.lgs 36/2023 “Sono ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria nel rispetto del principio di non discriminazione fra i diversi soggetti sulla base della forma giuridica assunta:
a) i prestatori di servizi di ingegneria e architettura: i professionisti singoli, associati, le società tra professionisti di cui alla lettera b), le società di ingegneria di cui alla lettera c), i consorzi, i GEIE, i raggruppamenti temporanei fra i predetti soggetti che rendono a committenti pubblici e privati, operando sul mercato, servizi di ingegneria e di architettura, nonché attività tecnico-amministrative e studi di fattibilità economico-finanziaria ad esse connesse, ivi compresi, con riferimento agli interventi inerenti al restauro e alla manutenzione di beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici, i soggetti con qualifica di restauratore di beni culturali ai sensi della vigente normativa, gli archeologi professionisti, singoli e associati, e le società da essi costituite;
b) le società di professionisti: le società costituite esclusivamente tra professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali, nelle forme delle società di persone di cui ai Capi II, III e IV del Titolo V del Libro V del codice civile, oppure nella forma di società cooperativa di cui al Capo I del Titolo VI del Libro V del codice civile, che svolgono per committenti privati e pubblici servizi di ingegneria e architettura quali studi di fattibilità, ricerche, consulenze, progettazioni o direzioni dei lavori, valutazioni di congruità tecnico economica o studi di impatto ambientale;
c) società di ingegneria: le società di capitali di cui ai Capi V, VI e VII del Titolo V del Libro V del codice civile, oppure nella forma di società cooperative di cui al Capo I del Titolo VI del Libro V del codice civile che non abbiano i requisiti delle società tra professionisti, che eseguono studi di fattibilità, ricerche, consulenze, progettazioni o direzioni dei lavori, valutazioni di congruità tecnico-economica o studi di impatto, nonché eventuali attività di produzione di beni connesse allo svolgimento di detti servizi;
d) i prestatori di servizi di ingegneria e architettura identificati con i codici CPV da 74200000-1 a 74276400-8 e da 74310000-5 a 74323100-0 e 74874000-6 stabiliti in altri Stati membri, costituiti conformemente alla legislazione vigente nei rispettivi Paesi;
e) altri soggetti abilitati in forza del diritto nazionale a offrire sul mercato servizi di ingegneria e di architettura, nel rispetto dei princìpi di non discriminazione e par condicio fra i diversi soggetti abilitati;
f) i raggruppamenti temporanei costituiti dai soggetti di cui alle lettere da a) a e);
g) i consorzi stabili di società di professionisti e di società di ingegneria, anche in forma mista, formati da non meno di tre consorziati che abbiano operato nei settori dei servizi di ingegneria e architettura”.
E’ agevole notare che il codice dei contratti pubblici contempla espressamente:
- la possibilità che sia considerato “operatore economico”, dunque soggetto che possa ottenere dalla PA la commessa di un servizio pubblico anche una persona fisica; non si richiede da nessuna parte che l’operatore economico sia configurato come società o comunque persona giuridica, né che possa qualificarsi come “imprenditore”;
- le prestazioni attinenti ai servizi di ingegneria e architettura sono espressamente considerate come appalti di servizi, con la conferma che essi possano essere affidati anche a professionisti, cioè persone fisiche, singoli o associati; anche in questo caso, non è richiesta in alcun modo la qualificazione di “imprenditore”, posta la sufficienza della configurazione del prestatore come “professionista”.
E’ altrettanto semplice notare che la combinazione tra le norme del codice evidenziate sopra si riferisce con ogni evidenza a prestazioni di natura intellettuale, quali senza alcun dubbio sono i servizi attinenti all’ingegneria e all’architettura, come redazione di progetti di fattibilità tecnico ed economica e/o esecutivi e anche direzione dei lavori ed altri compiti concernenti la gestione del contratto.
Insomma, la disciplina normativa non tiene in alcuna considerazione:
- né la qualità soggettiva del prestatore: è sufficiente l’offerta sul mercato delle prestazioni svolte professionalmente, cioè con continuità e in base ad una specifica professionalità acquisita e riconosciuta, senza vincoli di subordinazione col committente;
- né la natura “intellettuale” come elemento che possa considerarsi discriminante, per escludere le prestazioni attinenti ad ingegneria e architettura dal novero degli appalti di servizi: infatti, esattamente all’opposto, il codice, pur nella pienissima consapevolezza che si tratta di prestazioni intellettuali, qualifica tali prestazioni come appalti di servizi.
Allora, alla luce di queste premesse, discendenti dalla lettura piana e semplice di disposizioni normative, fondate sulle direttive UE, di una chiarezza estrema, non si possono considerare che come un fuor d’opera ed un clamoroso errore le opposte conclusioni cui giunge la Sezione Emilia Romagna.
Essa esordisce dedicando “specifica attenzione, agli incarichi relativi ai servizi di ingegneria e architettura”, evidenziando che “rientrano nella categoria contrattuale della locatio operis”. Il che, oggettivamente, nessuno mai lo ha messo in dubbio, visto che i professionisti sono destinatari di commesse di contratti di lavoro di sicuro non subordinati.
E’ evidente che la Sezione Emilia Romagna sia influenzata dall’oziosa e non più accettabile distinzione tra “imprenditore”, inteso come soggetto che realizza veri e propri contratti di appalto, e “professionista”, che, invece, realizzerebbe esclusivamente contratti d’opera intellettuale, non propriamente appalti.
Sulla base di questa ormai non più attuale (alla luce del d.lgs 36/2023, ma anche delle precedenti versioni del codice dei contratti, e soprattutto delle direttive UE) distinzione, la Sezione sostiene che “In questo contesto, assume particolare rilievo la natura personale della prestazione fornita dall’esecutore, distinguendosi dagli appalti di servizi”. Sicchè, secondo la Sezione gli incarichi in argomento“possono, infatti, ricadere, in alcuni casi, nell’ambito dei contratti di prestazione d’opera intellettuale e, in talaltri, degli appalti di servizi”. Ed è evidente che tale alternativa sia influenzata dalla qualificazione della prestazione come “personale”, dunque svolta non da un “imprenditore”, ma da un professionista, o viceversa.
Non c’è alcun dubbio: la tesi sostenuta dalla Sezione risulta irrimediabilmente viziata dal rilievo che attribuisce alla “natura personale della prestazione”, totalmente assente, invece, nell’assetto normativo.
S’è visto sopra che ai fini della qualificazione delle attività attinenti all’ingegneria e all’architettura il codice dei contratti non attribuisce rilievo alcuno alla natura giuridica del prestatore, considerando ammissibili tutte le possibili modalità di offerta nel mercato, ivi compresa quella proveniente da una semplice persona fisica.
La Sezione sembra emendarsi dall’errore di prospettiva, quando ritiene “fondamentale individuare la distinzione tra appalto di servizi di tipo intellettuale (ad esempio servizi di architettura e di ingegneria) e incarico professionale di consulenza, studio o ricerca. Il primo è disciplinato dal Codice dei contratti pubblici, D. Lgs. n. 36/2023, mentre il secondo afferisce all’art. 7 c. 6 e seguenti del D. Lgs. n.165/2001. La norma di cui all’art. 7, c. 6, del D. Lgs. n. 165/2001 prevede che il contratto che segue alla determinazione dirigenziale di incarico abbia la forma di un contratto di lavoro autonomo (o di opera intellettuale), in cui rilevano, per l’appunto, l’autonomia del prestatore d’opera e l’intuitu personae, con conseguente infungibilità della prestazione”.
Segue a tale affermazione l’elencazione delle tre principali tipologie di oggetti di contratti di lavoro autonomo, non immediatamente rientranti (col problema delle consulenze) nella disciplina del codice dei contratti: studio, consulenza e ricerca.
L’aspetto interessante è la distinzione tra ciò che è appalto e ciò, che, invece, è lavoro autonomo. Chi scrive da sempre propone un criterio distintivo connesso al “prodotto”[1] derivante dall’attività del prestatore, distinguendo tra:
- prodotto “finale”: è il frutto di un’attività posta in essere dal prestatore con esclusiva propria assunzione dei mezzi necessari per realizzarlo e del rischio operativo, del quale la PA si avvalga puramente e direttamente, senza ulteriori atti o decisioni;
- prodotto “intermedio”: come nel caso proprio di studi, consulenze e ricerche, si tratta di atti che non chiudono la fattispecie, ma sono mediati, utilizzati, cioè, dalla PA allo scopo di avvalersene per produrre poi il prodotto “finale”, tenendo conto di quanto emerge dall’attività svolta dal professionista, utilizzata allo scopo di arricchire gli elementi conoscitivi e valutativi per adottare con maggiore cognizione di causa la decisione finale, che resta totalmente imputata all’organo della PA procedente.
La Sezione propone un criterio distintivo assai simile: la nozione di lavoro autonomo “resta concettualmente distinta dalla nozione di appalto di servizi; gli incarichi di consulenza, studio o ricerca forniscono all’Ente un cosiddetto contributo conoscitivo qualificato che orienta con autorevolezza l’azione, senza tuttavia vincolarla in quanto l’amministrazione pubblica può sempre discostarsi dalle indicazioni ricevute. La prestazione oggetto di un contratto di appalto, invece, coincide con un servizio che l’amministrazione recepisce senza discostarsene”.
Tuttavia, la Sezione torna totalmente fuori strada quando, proseguendo, sostiene: “Nel contratto di appalto, l’esecutore si obbliga nei confronti del committente al compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro, con organizzazione dei mezzi necessari (di tipo imprenditoriale) e con assunzione in proprio del rischio di esecuzione della prestazione (art. 1655 c.c.). Nell’appalto, oggetto della prestazione non potrà mai essere un’obbligazione di mezzi, ma sempre di risultato (Cfr. Consiglio di Stato, V^ sezione sent. n. 8/2009). Il confine fra contratto d’opera intellettuale e contratto d’appalto è individuabile in base al carattere intellettuale delle prestazioni oggetto del primo e in base al carattere imprenditoriale del soggetto esecutore del secondo”.
Quanto sostenuto non corrisponde affatto a quanto prevede, invece, l’ordinamento. S’è visto sopra che le prestazioni attinenti all’ingegneria e all’architettura, massimamente quindi tra queste quelle ad indubitabile connotazione “intellettuale” quali i progetti dei livelli previsti, sono espressamente qualificati dal codice dei contratti come appalti di servizi, affidati secondo i sistemi ed i criteri disposti dal codice medesimo!
Non risulta assolutamente corretto sostenere che il codice dei contratti risulti applicabile o meno a seconda che la prestazione sia “di mezzi” o “di risultato”, elementi totalmente assenti e non considerati né dalle direttive europee, né dalla normativa interna.
Appoggiandosi su una sentenza obsoleta e a sua volta in tutto erronea e disallineata con l’ordinamento europeo e dei contratti, quale quella del Consiglio di Stato, Sezione V, n. 8/200, la Sezione giunge ad una conclusione fuorviante e platealmente opposta a quanto stabilito dalla legge. E insiste nell’errore affermando che “L’appalto di servizi, pur presentando elementi di affinità con il contratto d’opera, rispetto al quale ha in comune almeno il requisito dell’autonomia rispetto al committente, si differenzia da quest’ultimo in ordine al profilo organizzatorio, atteso che l’appaltatore esegue la prestazione con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, rivestendo normalmente la qualità di imprenditore (cfr. Sez. Lombardia, delib. n. 178/2014)”.
Anche in questo caso, la Sezione valorizza il profilo soggettivo del prestatore, andando alla ricerca dell’elemento che lo possa qualificare come “imprenditore”, e cioè, in particolare, l’organizzazione di mezzi e capitali per svolgere un’attività economica di produzione, a differenza del “professionista”, che invece svolge in via principale le proprie attività personalmente, senza mezzi e personale e capitale, ed obbligandosi non ad un risultato, ma alla correttezza tecnica dell’attività svolta.
Ma, come si è visto all’inizio, per il codice dei contratti, tali sofismi e distinzioni, valide esclusivamente nell’ordinamento, solo civilistico e non pubblicistico, italiano non hanno alcuna importanza. Un servizio è tale, senza considerare minimamente se reso da persona o imprenditore, senza risalto alcuno al risultato inteso come “bene” o “vantaggio”, invece che come esercizio di competenze intellettuali.
Per altro, i servizi tecnici sono attraibili verso le prestazioni “di risultato” e non più solo di mezzi, visto che persino la progettazione è soggetta ad un vero e proprio “collaudo” qual è la validazione e tutti gli atti del direttore dei lavori sono soggetti a visto ed approvazione del Rup.
E’, quindi, destituita di ogni fondamento l’idea della piena alternatività delle modalità di affidamento degli incarichi concernenti i servizi attinenti ingegneria e architettura, espressa come segue dalla Sezione: “Resta sempre nell’ambito della discrezionalità dell’amministrazione la scelta tra incarico professionale di consulenza e appalto, ma tale scelta non dovrà essere elusiva degli intenti di riduzione di spesa perseguiti né della severa disciplina di cui all’art. 7, cc. 6 e 6-bis. Pertanto, il mero nomen iuris utilizzato dall’ente conferente, non vale di per sé a ricomprendere nell’una o nell’altra categoria un determinato provvedimento, dovendo darsi prevalenza al comportamento complessivo delle parti e al concreto contenuto dell’atto”.
Un progetto come anche qualsiasi attività tecnica inerente i servizi tecnici, evincibili dall’allegato I.10 al codice, nulla avrà mai a che vedere con studi, consulenze o ricerche: si tratta di prestazioni di servizi allo stato puro e pensare di affidarle in base all’articolo 7, commi 5-bis e seguenti del d.lgs 165/2001 è violazione clamorosa delle direttive europee.
Per le stesse ragioni non si può minimamente concordare con le ulteriori affermazioni della Sezione, a loro volta irrimediabilmente viziate: “Questi incarichi vengono generalmente conferiti direttamente a professionisti singoli (ingegneri, architetti) o a studi professionali. Si tratta di contratti di prestazione d’opera intellettuale, che non sono regolati dalla normativa sugli appalti pubblici. Gli incarichi di questo tipo possono riguardare, a titolo di esempio, la progettazione di un edificio o il coordinamento della sicurezza di un cantiere (ad esempio, l’affidamento diretto da parte di un comune della progettazione di una piazza pubblica ad un architetto). In questi casi il rapporto è diretto tra il professionista e l’amministrazione conferente. Gli appalti, al contrario, rientrano nell’ambito delle procedure di gara pubbliche, regolate dal Codice dei Contratti Pubblici. Gli appalti sono utilizzati per acquisire servizi di ingegneria e architettura in maniera competitiva, attraverso bandi di gara, quando l’importo dei servizi supera una certa soglia”. L’erroneità nel sostenere che la progettazione non sia regolata dal codice degli appalti è tanto clamorosa, quanto grave.
In chiusura, si evidenzia quanto sia, purtroppo, ancora attuale un proprio scritto risalente al 2006 sullo stesso tema, segno che anche dopo 19 anni molta parte degli interpreti non è materialmente capace di sintonizzarsi sulle onde delle riforme in atto (L. Oliveri, Lexitalia dicembre 2006 “La configurazione delle consulenze e delle prestazioni d’opera ai fini dell’applicazione del codice dei contratti – le procedure comparative per gli incarichi di collaborazione”: “Si tratta di problemi che riemergono, affrontati con esiti non concordi da parte dei primi commentatori [1]. Il precedente regime di recepimento delle direttive comunitarie in tema di appalti di servizi non consentiva di trarre conclusioni definitive, in tema di divisione tra prestazione di appalto vera e propria e prestazione professionale. Infatti, il riferimento al concetto di appalto, consentiva di connettere tale attività ad un soggetto dotato della qualità di imprenditore. E così, permettere di distinguere gli appalti veri e propri, dalle prestazioni professionali, rese da persone fisiche, dotate di una particolare qualificazione, spesso riconosciuta mediante un’abilitazione che consente l’iscrizione in particolari albi professionali. 2. Imprenditore e professionisti negli ordinamenti europeo e interno. Tale ultimo assunto viene, però, oggi, messo fortemente in discussione dall’articolo 2, comma 19, del d.lgs 163/2006, il cui contenuto è il seguente: “I termini «imprenditore», «fornitore» e «prestatore di servizi» designano una persona fisica, o una persona giuridica, o un ente senza personalità giuridica, ivi compreso il gruppo europeo di interesse economico (GEIE) costituito ai sensi del decreto legislativo 23 luglio 1991, n. 240, che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi. Il legislatore attribuisce, dunque, rilevanza essenziale all’oggetto dell’attività. Se sul mercato un soggetto offra “prestazioni di servizi”, allora in generale tali attività, se oggetto di una “commessa” da parte di un’amministrazione pubblica, debbono essere acquisite previo esperimento delle procedure del codice. Non rilevando, dal punto di vista formale, se chi offra detti servizi sia persona fisica o persona giuridica, professionista o imprenditore. Infatti, il lemma “imprenditore” nel codice dei contratti, non assume lo stesso significato del termine che nell’ordinamento interno vi si attribuisce. Imprenditore, dunque, per il codice, in termini generali è qualsiasi persona giuridica o fisica (non rilevando la sua iscrizione ad un ordine professionale) offra servizi sul mercato. Non è imprenditore chi offra servizi privi di un mercato. E’ chiaro, comunque, il disallineamento esistente tra ordinamento italiano e ordinamento europeo, in merito alle prestazioni di lavoro autonomo di carattere professionale. Né dà espressamente atto anche la recente giurisprudenza [2], laddove rileva “la obiettiva difficoltà di ricondurre la fattispecie” di un incarico continuativo ad un legale, composto di attività di consulenza ed anche difese giudiziali – “all’incarico professionale (estranea all’istituto dell’appalto, secondo il diritto nazionale) o all’ipotesi di un appalto di servizi”.
———————- [1] M. Greco, L’art. 24 della legge finanziaria si applica agli incarichi professionali e di consulenza?; I servizi dell’allegato 1 al D.lgs 157 vanno appaltati mediante gara, in www.appalti&contratti.it ritiene si debba procedere sempre mediante gare, anche per le prestazioni professionali, individuali. [2] Tar Puglia – Lecce, Sezione II, 25 ottobre 2006, n. 5053”.
[1] L. Oliveri, Incarichi esterni di lavoro autonomo. Regole operative, schemi di atti e procedimenti, casi pratici. Con CD-ROM – 9788838748677, Maggioli Editore, 2009
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