Le nuove armi storiografiche contro l’ondata neoborbonica che ha fatto irruzione nella cultura italiana di Giuseppe Gangemi – Alta Terra di Lavoro

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Posted by on Gen 27, 2025

Luca Addante, nel 2021, ha pubblicato un libro dal titolo I cannibali dei Borbone: Antropofagia e politica nell’Europa moderna. Nella “Premessa. Borbonici e cannibali”, anticipa il perché della sua decisione di interessarsi dell’argomento: “Sono più di vent’anni che l’ondata neoborbonica ha fatto rumorosa irruzione nella cultura italiana” e i cosiddetti neoborbonici sono riusciti a costruire “una potente macchina comunicativa e ideologica, produttrice di veri e propri best sellers”.

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Di norma si è trattato di “autentiche baggianate, che tuttavia si sono diffuse a macchia d’olio; e un mirabile concentrato di esse può cogliersi in una canzone (Al Sud)” del cantante milanese Povia. Baggianate, che stanno “permeando strati sociali sempre più ampi e sempre meno dotati di senso critico e conoscenza storica” e sono stati “pubblicati ormai perfino da editori di rango”. Detto questo, Luca Addante si lancia in una predizione: “Il passo successivo [dei neoborbonici] sarà quello di glorificare mafiosi, ’ndranghetisti e camorristi, visto che nell’apologia dei briganti quali patrioti – fra i must neoborb – c’è la rivendicazione di una violenza brutale esercitata da bande sanguinarie”. E l’autore prosegue sottolineando che qualcuno “dirà che sono esagerazioni. Eppure, è un dato di fatto che … per il ritorno auspicato alla monarchia borbonica, l’unica strada sarebbe quella di un colpo di Stato”. Naturalmente, chiarisce che quanto sta sostenendo vale solo per una parte del movimento neoborbonico. Infatti, “le sirene dei neoborbonici – ne siano coscienti o meno, e presumendo la buona fede della gran parte di essi – sono portatrici in sé di istanze eversive del nostro ordinamento” costituzionale.

A conferma di quanto sia credibile l’ipotesi di colpo di Stato, Addante ammonisce: “Non sarà inutile ricordare che il progetto di creare al Sud una compagine distinta dal resto d’Italia – mentre al Nord era in ascesa la Lega – fu promosso, negli anni novanta del secolo scorso, dalla criminalità organizzata e dal fiorire di Leghe meridionali, i cui fili erano mossi anche da fior fior di galantuomini come Stefano Delle Chiaie e Licio Gelli”. È evidente che il nostro sta facendo riferimento a quanto dichiarato, dal Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Palermo Roberto Scarpinato, alla Commissione d’inchiesta e vigilanza sul fenomeno della mafia e della corruzione in Sicilia il 16 giugno 2021 (l’edizione digitale del libro di Addante è dell’agosto 2021). Solo che egli omette il fatto che il Procuratore ha sostenuto che parte della Lega Nord (molti convinti secessionisti) e altri politici nazionali erano coinvolti nelle trame secessioniste. I neoborbonici, invece, ne erano completamente fuori.

Per quanto ho potuto rilevare intervistando, su questo e altri temi, almeno una ventina di neoborbonici che hanno fatto ricerche storiche sul 1799 e sul Risorgimento, nessuno di questi indomiti storici dilettanti chiede la secessione del Sud, ma solo il dovuto rispetto alla memoria e alla storia dell’ex Regno delle Due Sicilie e la possibilità di onorare le vittime nascoste e taciute del Risorgimento. Vittime che essi dichiarano essere state più numerose di quanto risulta dai documenti ufficiali.

Quest’ultima richiesta mi è stata segnalata, nelle interviste, con tanta dovizia di argomenti che, per sei anni, ho condotto ricerche, negli Archivi di Stato di Torino (per i militari), Livorno e Potenza (per i domiciliati coatti) e ho pubblicato due volumi: nel 2021, In punta di baionetta. Le vittime militari della Guerra Meridionale (1860-1870) nascoste nei registri dell’Archivio di Stato di Torino e, nel 2023, Senza tocco di campane. 1860-1870: le vittime civili taciute della Guerra Meridionale. Gli aggettivi “nascoste” e “taciute” nei due sottotitoli indicano che tante di queste vittime, con fatica, le ho trovate.

Nel frattempo, Addante si impegnava a smentire “le ideologie neoborboniane” concentrando l’attenzione “su un caso che è tra i miti fondativi della vulgata neoborb: la controrivoluzione sanfedista guidata dal cardinale Ruffo, che determinò la fine della Repubblica napoletana del 1799”. Il “cuore della narrazione” che egli presceglie per la propria ricerca sul 1799 è “l’uso dei resti umani” post mortem. Vorrei sottolineare la differenza di ottica prescelta: io mi concentro sul numero dei morti, Addante sui pochi casi di efferatezza in alcune uccisioni.

Chiarito il punto, presento la tesi di Addante: il cannibalismo dei sostenitori dei Borbone, nel 1799, sarebbe stato alimentato dall’alto attraverso la spettacolarizzazione, da parte dell’autorità sovrana, di condanne a morte che hanno finito per eccitare la plebe, stimolare l’imitazione e spingere a manifestazioni particolarmente violente. Il riferimento è alla condanna a morte di un messinese, Tomaso d’Amato, che, nel 1794, in chiesa, davanti all’altare maggiore, ha gridato: “Io son giacobino per la vita, … viva la libertà”. Quindi ha inveito contro Dio, la Vergine, il principe e altri. È stato subito arrestato, giudicato e condannato a morte e, post mortem, al taglio della testa, delle mani, dei piedi e della lingua. Il tutto, poi, è stato buttato sul fuoco; il cannibalismo sarebbe stato alimentato anche dal basso perché ogni rivoluzione popolare può creare un vuoto di potere, una situazione di anarchia che porta le masse a farsi legge da sé e commettere delitti efferati, al punto da violare ogni tabù e cannibalizzare le vittime. “Durante la controrivoluzione napoletana del 1799 la violenza esercitata quotidianamente, per mesi e mesi, raggiunse più volte lo zenit cannibalico”.

In parole povere, i Borbone, nel 1794, avrebbero insegnato al popolo come dare supplizio a un giacobino. Il popolo sanfedista avrebbe imitato uccidendo Giacobini e cuocendoli, e ci avrebbe aggiunto, visto che erano già cotti, il cannibalismo.

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Addante mette le mani avanti anticipando la possibile obiezione che tutto sia cominciato dal basso: “La cultura è eminentemente un affare di circolazione delle idee, stabilire se un’idea sia nata in origine dal basso, da persone non dotate di istruzione, o dall’alto, da persone colte, finisce spesso col portare al vicolo cieco dell’uovo e la gallina”.

Rimane senza risposta una seconda obiezione: perché il supplizio di d’Amato, probabilmente un malato di mente, dovrebbe avere impressionato i futuri Sanfedisti più della sola impiccagione dei tre congiurati, veri Giacobini, giustiziati, a Napoli, sempre nel 1794?





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