L’intelligenza artificiale è la più grande sfida che aziende, organizzazioni private e pubbliche, comunità e singoli individui hanno davanti. L’umano è in pericolo? C’è chi lo teme e chi (forse) sottovaluta i rischi. A innovazione e filosofia è dedicato il colloquio della Cattedra Rosmini della Facoltà di Teologia dell’Università di Lugano, in programma mercoledì 29 gennaio. In questo articolo per EconomyUp Markus Krienke, titolare della cattedra, analizza i punti di incontro fra tecnologia, filosofia e teologia e spiega perché comprendere e rivalutare il valore del pensiero umano è l’unica via per non temere l’innovazione e le tecnologie.
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L’intelligenza artificiale che crea insicurezza
Le nuove tecnologie dell’intelligenza artificiale stanno creando grande insicurezza nella società: dal mondo del lavoro all’ambito dell’educazione, nelle questioni della protezione dei nostri dati privati come in quelle concernenti la sicurezza pubblica, nel mondo delle informazioni e della comunicazione – ovunque l’uomo e la donna di oggi si trovano di fronte a sconvolgimenti di vasta portata che fanno dissolvere quelle certezze sulle quali la società “analogica” era fermamente basata.
E si vedono affermarsi, sempre più potenti sulla “grande politica”, i monopolisti di queste nuove tecnologie, da Apple e Microsoft ad Amazon e Meta. Ciò non esclude che anche le autocrazie si approprino di tali tecnologie, come dimostra la Cina che dispone di altrettante aziende high tech, da Alibaba e Huawei a Baidu. Inoltre, sono note le ingerenze della Russia nelle democrazie occidentali e con l’annullamento delle elezioni in Romania è stato statuito un precedente preoccupante.
L’inversione dell’effetto Internet: la fine della speranza?
Poco resta, insomma, della speranza di una nuova era della libertà alla quale l’umanità approderebbe con le tecnologie digitali. Tale attesa era ingenua, come sappiamo oggi, e pertanto la filosofia e la teologia si interrogano su questa inversione dell’“effetto internet”, che a ben vedere non è un’inversione esatta, in quanto momenti di liberazione – da molte costrizioni e complicazioni del mondo “analogico” – nonché grandi benefici coesistono con le nuove sfide alla libera articolazione dell’umanità.
Che queste due tendenze o “forze opposte” stiano in un certo equilibrio – infatti non bloccano affatto il processo della digitalizzazione che procede imperterritamente – significa che con la digitalizzazione avviene la realizzazione di “nuove coordinate” del mondo (non in senso politico ma “metafisico”) che si accingono a dare nuovo orientamento nella complessità della realtà.
Dalla prospettiva teologica a quella tecnologica
«La potente tecnologia digitale segue lo stesso modello dei sistemi funzionali della società. La sua codificazione brutalmente semplice e la medialità basata su schemi binari costituiscono la base per un utilizzo vario e difficilmente limitabile in tutti gli ambiti della società. Una società costruita in modo diverso non avrebbe avuto alcun uso per la tecnologia digitale», afferma Armin Nassehi.
Ciò che nel Medioevo era la prospettiva teologico-metafisica sulla realtà (la cristianità intorno a Chiesa e Impero), e nella Modernità quella scientifica e morale (le scienze della natura e la costituzione degli Stati), oggi è la tecnologia digitale a dominare con la sua efficienza dell’informazione.
In altre parole, le istituzioni sociali che veicolano la questione del senso dell’humanum sono sempre di più tecnologicamente mediate. E come in tutte le epoche, si tratta anche in questa di una forma di controllo sociale – già Norbert Wiener (1894-1964) parlò di «cibernetica» – e di una dimensione religiosa.
L’interpretazione metafisica degli algoritmi e dei dati
Yuval Noah Harari, nel suo bestseller “Homo Deus”, esplicita infatti quest’ultima prospettiva, vedendo tutta la realtà completamente compresa nell’informazione (che significa “dati elaborati, ordinati”): «Quando il sistema globale di elaborazione dati diventerà onnisciente e onnipotente, allora la connessione al sistema diventerà la fonte di ogni significato. Gli umani vogliono fondersi in un flusso di dati, perché quando siete parte del flusso di dati siete parte di qualcosa di molto più grande di voi stessi. La religione dei dati ora dice che ogni parola e ogni azione è parte del grandioso flusso dei dati che gli algoritmi vi stanno guardando costantemente e che essi si preoccupano di qualsiasi cosa facciate e di qualsiasi sentimento proviate. I datisti credono che le esperienze siano senza valore se non sono condivise, e che non abbiamo bisogno di – in effetti non possiamo – trovare il significato in noi stessi». In questa prospettiva non c’è speranza per l’essere umano.
Ciò che succede in tale interpretazione metafisico-religiosa della realtà digitale, è espressione di una tendenza che era in atto anche in epoche precedenti, ossia che l’interpretazione della realtà si è distaccata da chi l’interpreta – l’essere umano – diventando autoritarismo religioso (fino alla superstizione), positivismo scientifico o assolutizzazione dello Stato, oppure come accade recentemente, “transumanesimo” e “dataismo”.
La confusione fra avere informazioni e sapere
In questo modo, la tecnologia riassorbe le speranze e le trasforma in affermazioni tecnologiche sul futuro. Alla base di tale visione sta però un fraintendimento del rapporto tra “informazione” e “pensiero”. Il pensatore rinascimentale Niccolò Cusano (1401-1464) affermò infatti: «Il nostro spirito, che crea gli oggetti matematici, possiede ciò che può creare in modo più vero e reale dentro di sé che al di fuori di esso. E così avviene per tutto ciò di simile: per il cerchio, per la linea, per il triangolo, anche per il nostro concetto di numero, insomma per tutto ciò che trae origine dallo spirito umano e non ha bisogno della natura».
In altri termini, l’“informazione” è sempre solo una rappresentazione del “pensiero”, e solo quest’ultimo può in maniera originaria “sapere”. Culturalmente è una tendenza molto problematica quella di identificare “sapere” con “avere informazioni”.
Ovviamente, la visione di Cusano si basa sull’idea che l’uomo è imago Dei per cui anch’egli può creare pensieri, azioni ecc. ex nihilo. Non può, tuttavia, creare la realtà alla quale rimane riferito.
L’IA è a sua volta una certa imago dell’uomo che può creare all’interno di quella sfera delle “informazioni” che rimane riferita alla realtà del “pensiero”. E solo il “pensiero” è capace di oltrepassare la realtà data per anticipare nuove possibilità per essa.
Precisamente in ciò consiste il «principio speranza» (Ernst Bloch, 1885-1977) che è la concretezza della fiducia che la «realtà abbia un senso» (Gabriel Marcel, 1889-1973). Riacquisire il “pensiero”, dunque, significa recuperare la prospettiva della speranza. Il fatto che la filosofia e la teologia si trovino coinvolte in tale impegno, rappresenta già una sua prima realizzazione.
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