Speculazione energetica, scatta l’allarme mafia

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La lezione fu magistrale. Scolpita per sempre negli annali della lotta alla mafia. Il “passo lento” di Castel Gandolfo, residenza estiva del Vescovo di Roma, è riflesso nello specchio acqueo del Lago di Albano. Borgo di pace prescelto per studiare la guerra ai “boss”, quelli che imperversano in mezzo mondo nel nome della cosca di turno.

La lectio di Falcone

Non un “ritiro” spirituale per toghe votate al sacrificio, ma simposio a porte chiuse per Giudici pronti a stroncare in ogni modo la rete universale della più efferata criminalità organizzata. Giugno è appena agli albori. L’anno del Signore è il 1982. Per tre giorni, tra il quattro e il sei del “mese del sole”, i magistrati antimafia incontrano lì, nell’eremo papale, Giovanni Falcone, il numero uno della “grande” lotta a “Cosa nostra”. Gli appunti della “lectio” sono circoscritti in un quaderno “secretato”: «Tecniche di indagine in materia di mafie». Relatore è il Capo dei Giudici, il magistrato che ha dichiarato guerra al “Capo dei capi”.

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Segui i soldi

In quelle trentotto pagine di regole, suggerimenti, esempi e modelli d’indagine, da sempre “Bibbia” dell’antimafia, c’è una sintesi diventata nel tempo il «modello Falcone»: «Segui i soldi e troverai la mafia». La storia controversa della strage di Capaci, dagli esecutori ai tanti mandanti, è un filo rosso che lega in maniera indissolubile la lezione di Castel Gandolfo e la fine “telecomandata” di Giovanni Falcone. Quarantatré anni dopo quella “lectio” magistrale, nella terra dei Nuraghi, da molti, erroneamente, ritenuta impenetrabile, l’allarme infiltrazioni mafiose lo lancia un Giudice che la mafia l’ha vista da vicino, non a caso era tra gli allievi proprio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Bisturi e macigno

Il numero uno dei magistrati inquirenti dell’Isola, il Procuratore generale Luigi Patronaggio, usa le parole come un bisturi, centellina le affermazioni con un contagocce, ma quando c’è da reagire al rischio mafia nell’Isola del sole e del vento non ci pensa due volte a sfoderare la lezione dei “maestri”. Un vero macigno “antimafia” piazzato proprio sulla strada degli affari miliardari che rischiano di travolgere la Sardegna a colpi di grattacieli rotanti e distese infinite di graticole di silicio. Luigi Patronaggio, il “Pg”, non ci gira intorno: «L’attenzione relativamente agli investimenti sulle energie alternative in Sardegna è alta, soprattutto in relazione ai subappalti, alle strade di penetrazione, ai trasporti dei materiali, ma anche agli investimenti, alla trasparenza degli investimenti». Troppi riferimenti espliciti e puntuali per non immaginare che le Procure dell’Isola siano a lavoro da tempo per monitorare, mettere sotto osservazione quella marea di denari, pubblici, privati e ignoti, che si stanno riversando nell’Isola, in forma di affari eolici e fotovoltaici. Patronaggio, però, usa parole che, se “vivisezionate”, lasciano comprendere che il microscopio degli inquirenti ha i riflettori puntati sui passaggi chiave di questa maxi operazione speculativa. Il primo riferimento è ai «subappalti». Si tratta della più “rinomata” pratica per trasferire capitali verso il sottobosco economico, quello che non deve apparire esplicitamente, ma che finisce per gestire con una “delega”, in molti casi forzosa, lavori, maggiorati nei costi, senza una giustificazione plausibile se non quella del “condizionamento ambientale”, non necessariamente legato a “cosa nostra”. Basta andare nei cantieri, in giro per l’Isola, per accorgersi di una caterva di imprese o simili, tutte aggiunte a pennarello nei cartelli affissi sugli ingressi, “spacciate” per “subappalto”, ma che celano lavoratori arrivati dall’altra parte del mondo, la maggior parte stranieri, dai paesi dell’Est, dal nord Africa e dal versante iberico. Non si contano, poi, le società sbarcate nell’Isola da “aree rosse”, quelle dove le organizzazioni criminali imperversano.

Caso «trasporti»

Non può essere un caso, e certamente non lo è, il riferimento del Procuratore generale Patronaggio al tema dei «trasporti dei materiali». Il carico di pale eoliche dal Porto di Oristano a Santu Miali, il cantiere della devastazione dello scenario del Monte Linas a Villacidro, non può non essere al centro delle attenzioni delle Procure, non foss’altro che quelle autorizzazioni scadute di quei “bisonti” della strada, tutti venuti da lontano, sono atti ufficiali, pubblicati in un’ordinanza di fatto di Stato.

Via col vento

A questo si aggiunge il fatto più inquietante, rivelato nelle scorse settimane da un’inchiesta dell’Unione Sarda, con la pubblicazione degli atti processuali di «Via col vento», una ciclopica operazione giudiziaria che ha sgominato un accordo tra cosche per spartirsi il trasporto delle pale eoliche in Calabria. Una delle imprese protagoniste di quell’inchiesta giudiziaria, “la Molisana Trasporti”, con il suo “già” referente principale, Riccardo Di Palma, risulta, infatti, intestataria del trasporto di quelle pale eoliche dallo scalo oristanese alle pendici del “Paese d’Ombre”. A questo si aggiunge un lungo elenco di “interdittive” antimafia iscritte negli atti depositati nelle Camere di Commercio.

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Scorte di Stato

Nonostante questa caterva di prove, dalla calda estate dello scorso anno all’inverno del nuovo anno, i mezzi, con autorizzazioni scadute, della società molisana hanno viaggiato indisturbati nelle strade dell’Isola, persino scortati da un esorbitante schieramento ingiustificato dello Stato. Le parole di Patronaggio, però, vanno oltre finendo per mettere sotto osservazione la montagna di scatole cinesi e il fenomeno economico-finanziario che sta ruotando intorno alla grande speculazione energetica: «La Finanza sta seguendo questo filone insieme alla Prefettura con cui abbiamo sottoscritto un protocollo in tal senso proprio per attenzionare questo fenomeno. Ci sono delle società molto piccole, con capitali decisamente irrisori che ottengono concessioni e che verosimilmente agiscono per conto di altri. Lì l’attenzione è alta». Matteo Messina Denaro, il defunto “Capo dei capi”, del resto, quando ancora vagava per il mondo a piede libero, si lasciò sfuggire la nuova missione di Cosa Nostra: «si fanno più soldi con l’eolico che con il narcotraffico». Parafrasando la lezione di Giovanni Falcone, d’ora in poi, per trovare la mafia, bisognerà “intercettare” i soldi e il vento.

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