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Il ritorno di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti sembra destinato a influenzare in maniera significativamente anche il panorama globale della cooperazione internazionale e dell’aiuto umanitario, mettendo alla prova la resilienza di istituzioni e programmi multilaterali. Con una serie di ordini esecutivi già firmati, il nuovo corso della politica estera americana promette di seguire la filosofia “America First”, puntando a rinegoziare impegni internazionali e a ridefinire il ruolo degli USA nelle organizzazioni globali.
Mentre il mondo osserva con apprensione le prime mosse dell’amministrazione americana gli operatori umanitari e le organizzazioni internazionali si interrogano sull’impatto diretto delle decisioni che spaziano dal congelamento degli aiuti internazionali al disimpegno da accordi chiave come quello di Parigi sul cambiamento climatico.
Sin dal primo mandato, Donald Trump ha adottato un approccio conflittuale nei confronti delle Nazioni Unite e delle loro agenzie. Durante la sua prima presidenza, gli Stati Uniti si sono ritirati da organizzazioni come l’UNESCO e il Consiglio dei Diritti Umani, riducendo i finanziamenti per l’UNRWA (l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi) e minacciando di tagliare ulteriori contributi. Tuttavia, questa politica non è stata priva di contraddizioni. Infatti gli Stati Uniti sotto Trump sono rimasti comunque il principale contributore finanziario delle Nazioni Unite, fornendo più fondi rispetto a qualsiasi altra nazione, inclusa la Cina, per molte delle principali agenzie, come il Programma Alimentare Mondiale (WFP) e UNICEF. Questo dimostra come l’approccio di Trump non sia stato di totale disimpegno, ma piuttosto di utilizzo strategico del peso economico americano per ottenere riforme e vantaggi geopolitici.
Con il nuovo mandato, Trump ha dichiarato l’intenzione di continuare questa linea, come confermato dall’ambasciatrice all’ONU Elise Stefanik. La strategia si concentra sull’uso delle Nazioni Unite come leva per contrastare l’influenza cinese, promuovendo alleanze con nazioni che condividono gli interessi americani e sostenendo agenzie considerate utili per la sicurezza e gli obiettivi nazionali.
Uno degli ordini esecutivi più significativi firmati da Trump prevede una sospensione di 90 giorni dei programmi di assistenza internazionale, con la sospensione di nuovi finanziamenti e obbligazioni. Questo provvedimento si allinea alla visione transazionale della politica estera americana, in cui gli aiuti vengono condizionati da interessi diretti e da un ritorno tangibile per gli Stati Uniti. Le implicazioni di questo congelamento potrebbero essere gravi: programmi essenziali in Paesi vulnerabili rischiano di essere interrotti o rallentati, con un impatto diretto su milioni di beneficiari. Inoltre, la sospensione potrebbe minare la fiducia dei partner internazionali, rendendo più difficile coordinare interventi futuri.
Trump ha anche annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima e dal Global Compact on Migration, segnando un ritorno alle politiche adottate durante il suo primo mandato. Inoltre, l’amministrazione ha mostrato scetticismo verso il rinnovo di missioni di pace considerate inefficaci, come la UNIFIL in Libano, e ha posto condizioni stringenti al sostegno di agenzie come l’UNHCR e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM).
Il ritorno di Trump pone una serie di interrogativi sulla capacità del sistema multilaterale di adattarsi a questo contesto globale in evoluzione. Da un lato, gli Stati Uniti rimangono un attore imprescindibile per molte organizzazioni internazionali, grazie al loro contributo finanziario e al ruolo geopolitico. Dall’altro, l’approccio conflittuale dell’amministrazione Trump potrebbe minare la coesione e l’efficacia di queste istituzioni. Un aspetto cruciale sarà la risposta degli altri stati membri. Molti governi, in particolare quelli europei, potrebbero essere chiamati a colmare i vuoti finanziari lasciati dagli Stati Uniti, assumendo un ruolo più attivo nel sostenere programmi chiave. Inoltre, le organizzazioni internazionali dovranno trovare un equilibrio tra il soddisfare le richieste degli USA e il mantenere la propria indipendenza operativa.
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