La nascita di questa rubrica si colloca in un anno fuori dal comune, un tempo che invita a guardarsi dentro e a superare l’indifferenza diffusa verso la ricerca interiore.
Il 2025 si presenta, infatti, come un anno segnato da grandi celebrazioni religiose, eventi che coinvolgeranno milioni di persone in tutto il mondo, offrendo momenti densi di significato e portando una forte carica di spiritualità in una società che sembra sempre più estranea alla trascendenza.
In questo anno coincidono due appuntamenti dalla rilevanza straordinaria: il Giubileo, indetto dalla Chiesa cattolica, e il Maha Kumbh Mela, la più grande manifestazione religiosa dell’induismo (considerato il più grande raduno religioso del mondo).
I numeri delle persone che prenderanno parte a questi eventi lasciano senza parole: oltre 400 milioni di fedeli sono attesi al Maha Kumbh Mela, che si terrà a Prayagraj, in India, mentre circa 32 milioni di persone si recheranno a Roma per il Giubileo, senza contare i cristiani che parteciperanno ai giubilei locali in tutto il mondo.
Ma ciò che colpisce non sono solo i numeri, bensì il messaggio comune che questi due eventi trasmettono. Pur appartenendo a culture e tradizioni differenti, queste celebrazioni sembrano rispondere alla stessa esigenza universale di rinascita e riconciliazione; entrambe sembrano rispondere al desiderio umano di redenzione: se il Giubileo offre la possibilità di attraversare la Porta Santa per ottenere il perdono dei peccati e riconciliarsi con Dio, il Maha Kumbh Mela invita i fedeli a immergersi nei fiumi sacri – il Gange, lo Yamuna e il Saraswati – per purificarsi e liberarsi dal ciclo di morte e reincarnazione in cui l’anima è imprigionata secondo l’induismo.
In entrambi i casi, si tratta di un percorso di rinascita, un nuovo inizio che offre una rinnovata speranza.
Ma dinanzi a questo messaggio e alla enorme risposta che da questo viene generata all’interno della popolazione mondiale, viene da chiedersi cosa spinga milioni di persone, nell’era della tecnologia e del turbocapitalismo, a partecipare a rituali che risalgono a secoli fa? E, ancora di più, cosa spinga l’essere umano moderno a cercare perdono e redenzione?
Viviamo in un’epoca che sembra aver abbandonato ogni tensione verso il trascendente. La promessa di una vita comoda, iperconnessa e appagata sembra aver sostituito ogni idea di speranza spirituale. Eppure, sembra che tutto questo non basti. È come se la promessa che la società offre sia convincente, ma non abbastanza credibile. Questa illusoria comfort zone, infatti, si rivela sempre più vuota e incapace di rispondere alle reali esigenze dell’essere umano.
Nel mondo di oggi, segnato da disuguaglianze sempre più evidenti, guerre e crisi valoriali la speranza sembra non avere basi solide su cui poggiarsi, lasciando così inevitabilmente spazio alla rassegnazione. I frutti di questa rassegnazione sono facilmente riscontrabili nell’aumento di fenomeni quali le dipendenze, le varie forme di depressione, fino ad arrivare alla condizione vissuta dai tanti, troppi giovani caduti nel fenomeno degli Hikikomori.
In questo contesto non sembra esserci spazio per una giustizia superiore e appare lontana la possibilità di una salvezza trascendente, spesso oscurata da un senso di abbandono e di disillusione verso Dio e il divino.
Eppure, i grandi pellegrinaggi che si terranno quest’anno rappresentano una sorta di nota stonata in questa società ipertecnologica. Sono la testimonianza di un desiderio profondo, che l’umanità non riesce a colmare: il bisogno di rinascere, di perdonarsi, di purificarsi.
Dietro l’ossessione per la perfezione – la carriera ideale, il feed perfetto, la famiglia impeccabile – dietro la pretesa di una performatività costante si nasconde il desiderio di un qualcosa di più di ciò che possiamo costruire con le nostre sole mani e i nostri continui sforzi. Questa mancanza di solidità si fa forse sintomo di una paura profonda: il terrore di fallire, di essere imperfetti, di sbagliare.
Forse la speranza desiderata è proprio quella di essere delegittimati da divinità della nostra vita, da plenipotenziari di ogni evento. Forse proprio guardando oltre sé stessi si può trovare una speranza che liberi dalla confusione e dal caos della disperazione. Riconoscendosi disperati da soli e bisognosi di un rapporto che tenda verso l’oltre.
È impressionante quanto Papa Francesco, nella bolla d’indizione del Giubileo, centri questo punto. Ciò che infondo è necessario approfondire è proprio la natura della speranza di cui si vuole sperare. Quella proposta nella “Spes non confundit” è una speranza che non delude. Una speranza che oltrepassando la mera illusione si fa certezza, spingendo l’uomo verso un nuovo inizio, verso una rinascita possibile.
Questa speranza, come afferma la lettera agli Ebrei, è “certezza nelle cose sperate”, è la fiducia di chi si mette in cammino, pur non conoscendo il tragitto; certo, però, della meta finale. È una speranza che chiede di abbandonare le certezze umane per affidarsi a qualcosa di più grande, che supera la logica razionale ma non la contraddice.
In questo senso, il Giubileo e il Maha Kumbh Mela sfidano la razionalità umana. Offrono una promessa che sembra andare contro la giustizia terrena: il perdono per chi ha sbagliato, la liberazione per chi è prigioniero, la purificazione per chi si sente macchiato.
Questi riti parlano a un desiderio profondo dell’essere umano: il bisogno di essere accolto e perdonato nonostante i propri limiti e le proprie colpe. È una giustizia divina che va oltre quella umana, un’illogica misericordia che dona speranza anche a chi si sente perduto.
Dinanzi a questo straordinario anno di pellegrinaggi e celebrazioni, forse vale la pena raccogliere l’invito verso una ricerca che ci oltrepassi, che guardi oltre noi stessi. Perché, in fondo, il desiderio di speranza, di perdono e di rinascita accomuna ogni essere umano ed è proprio questo desiderio che, se perseguito, può consegnare la pace tanto agognata.
L’invito che ci viene rivolto è quello di metterci in cammino, di varcare una porta, di entrare in un fiume e lasciarci lavare, si tratta di segni, gesti, simboli antichi e altissimi che portati nella vita di tutti giorni consentono di ripartire, di rialzarsi. Non c’è momento migliore di un anno così speciale per cominciare. Dopo tutto, non siamo soli in questo viaggio: siamo in buona compagnia.
Ps. Per suggestioni e riscontri, ogni lettore è invitato a scrivere a redazione.inneresauge@gmail.com.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link