Conflitto di interessi e pubblici funzionari: concetto, latitudine e prospettive

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Con Parere del 16 dicembre 2024 – Fasc.5307.2024, l’ANAC pone in essere una puntuale disamina del quadro normativo attuale in materia di conflitto di interessi relativo ai pubblici funzionari. Nello specifico, il conflitto di interessi richiede una analisi non solo riguardo al suo concetto – normativamente definito – ma anche relativamente alla propria latitudine, capace di articolarsi al di fuori della tipizzazione legislativa.
In particolare, è proprio l’imparzialità dell’azione amministrativa a rischiare di essere compromessa ove – a causa di una non facile intellegibilità delle situazioni “a rischio” – è possibile che rapporti extra-istituzionali tra soggetti interni ed esterni alla pubblica amministrazione ne minino la trasparenza e correttezza.
Il rischio di tale compromissione e vicinanza di interessi – siano essi confliggenti o convergenti – è riscontrabile a qualsiasi livello di amministrazione, con riguardo anche alle realtà locali dove maggiore è la vicinanza tra consociati e preposti alle pubbliche funzioni[1].
Il caso di specie sottoposto all’attenzione dell’Autorità muove infatti dalla situazione di potenziale conflitto di interessi concernente due funzionari dell’avvocatura civica comunale, con proposizione di soluzioni in capo all’amministrazione locale per la gestione di conflitti anche solo in via preventiva.
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Parere del 16 dicembre 2024 – Fasc.5307.2024 l’ANAC

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1. Il quadro normativo e concettuale sui pubblici funzionari


Il parere in analisi si articola preliminarmente in una rassegna normativa da parte della competente Autorità, avendo come punti di riferimento il d.lgs. n. 39/2013 e il d.P.R. n. 62/2013. Nello specifico, il decreto legislativo citato prevede all’art. 20 che i pubblici funzionari, i quali ricoprano un incarico dirigenziale (o ad esso parificato[1]) così come previsto dall’art. 1 comma 2, rendano apposita dichiarazione concernente l’insussistenza di cause di inconferibilità o incompatibilità relative all’incarico e alle funzioni assegnate.
Più in generale, ricade su qualunque dipendente pubblico, avente o meno incarichi dirigenziali, un dovere di rendere dichiarazione attinenti l’assenza di conflitti di interessi (attuali o potenziali) secondo quanto previsto dagli artt. 5, 6, 7 e 14 d.P.R. n. 62/2013.
Le dichiarazioni, rese al momento del conferimento dell’incarico, sono inoltre costantemente gravate dall’onere di aggiornamento per mutamento delle situazioni giuridiche e di fatto poste alla base di esse e – nell’ambito delle attribuzioni proprie dei Comuni – ulteriormente disciplinate dai codici etici e di comportamento[2].
Tali dichiarazioni risultano fondamentali per la rilevazione – e conseguente trattamento – di circostanze e situazioni inquadrabili come conflitto di interessi, questo verificandosi nel caso in cui un soggetto preposto ad un pubblico ufficio, in ragione di interessi privati, direttamente o indirettamente comprometta la propria imparzialità ed equidistanza nell’esercizio del potere allo stesso attribuito.
Appare chiaro come il Legislatore, nell’inquadrare concettualmente la categoria in oggetto, non abbia voluto limitarsi ad una definizione eccessivamente stringente, bensì optando per una accezione ampia del concetto, al fine di contemplare situazioni che, all’apparenza innocue, nella casistica e pratica amministrativa potrebbero ledere negativamente la trasparenza e correttezza dell’agire amministrativo. Per approfondimenti sul lavoro pubblico, consigliamo il volume “Il lavoro pubblico”.

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2. La latitudine: conflitti tipizzati e non tipizzati


Definito concettualmente il conflitto di interessi, l’ANAC amplia la relativa analisi portando il concetto stesso su una dimensione più ampia, inquadrando le due categorie principali del “conflitto tipizzato” e del “conflitto non tipizzato”.
Tale ampia “latitudine” del concetto in analisi è possibile in forza dell’art. 7 d.P.R. n. 62/2013, potendosi identificare i conflitti tipizzati dal Legislatore nella casistica dei legami di parentela, di affinità, i rapporti creditori o debitori di una certa rilevanza, così come l’amministrazione di enti o società in conflitto attuale o potenziale con l’amministrazione di servizio del pubblico funzionario[1].
Nel caso invece di conflitti di interessi non tipizzati, le fattispecie di conflitto – sempre attuali o potenziali – non sono altrimenti conosciute o conoscibili ma, parimenti, idonee a determinare il rischio che insorga un rapporto di favore o di non indipendenza e imparzialità in relazione all’agire del dipendente pubblico nel suo ambito di competenza[2].
Nel caso in esame, vertendosi sui rapporti intercorrenti dipendenti pubblici assegnati all’avvocatura civica e l’intrattenimento di rapporti extra-istituzionali con difensore di parte opposta all’amministrazione in giudizio, si rientra certamente nella casistica dei conflitti di interesse “non tipizzati”, dovendo valutare concretamente, sulla base di opportuni parametri, se ricorre o meno una fattispecie censurabile.
Tali parametri vengono inquadrati dall’ANAC in indici di conflitto quali la ricorrenza dei caratteri di stabilità, sistematicità, assiduità, intensità, continuità delle relazioni e contiguità degli interessi coinvolti[3].
Saranno quindi fattori concreti – e non predeterminati normativamente – a permettere una compiuta valutazione sulla sussistenza o meno di non tipizzate situazioni di incompatibilità con l’incarico o semplicemente con il singolo procedimento o atto endoprocedimentale.

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3. Attività discrezionale e vincolata


A livello amministrativo, secondo il quadro normativo delineato, risultano due i livelli di valutazione della situazione di conflitto: il primo livello viene rimesso ad una valutazione personale del pubblico dipendente, chiamato a dichiarare la sussistenza di situazioni di incompatibilità da lui conosciute ex ante o rilevate ed emerse successivamente all’assunzione dell’incarico; il secondo livello invece riguarda l’amministrazione competente, ove il funzionario presta servizio, tenuta a valutare la posizione dei soggetti tramite il quale agisce ed esercita le funzioni ad essa assegnate.
Su tale secondo livello appare di primaria importanza la configurazione che assume l’esercizio di potere (in essere o anche solamente potenzialmente esercitabile) da parte del soggetto preposto.
Nel caso, infatti, di attività amministrativa discrezionale, essendo questa connotata da scelte che, seppur all’interno di una “cornice di azione” delineata dal Legislatore, appaiono nel concreto espressione di una contemperazione di interessi da parte del pubblico funzionario, sarà più facile individuare un possibile conflitto di interessi. Questo perché, maggiore è la discrezionalità, maggiore è il rischio che la valutazione posta in essere dall’agente nell’adozione dell’atto sia espressione di un condizionamento, di natura essenzialmente privata, nel caso in cui si rilevino situazioni di sospetto.
Più difficile da rilevare – e quindi certamente ridotta la casistica – è la fattispecie di conflitto di interessi non tipizzato nell’esercizio di attività amministrativa vincolata, risultando limitata e ristretta la discrezionalità del funzionario chiamato semplicemente alla verifica oggettiva di condizioni, presupposti o requisiti predeterminati normativamente.

4. Prospettive risolutive e misure preventive


Non essendo quindi prevista una automatica esclusione del pubblico funzionario in situazione di prospettato conflitto, ma rimettendosi la valutazione alla amministrazione, come sopra esposto maggiori problematiche si evidenziano in caso di assenza, nella condotta del dipendente pubblico, di un agire riconducibile ad ipotesi tipizzate.
Il caso sottoposto a parere dell’Autorità anticorruzione, riguardando un’amministrazione comunale, presenta profili di ulteriore specificità che coinvolgono anche l’autonomia regolamentare e statutaria dello stesso ente locale.
Nella soluzione prospettata dall’ANAC emerge infatti un invito alla ponderazione, sulla base dei parametri giurisprudenzialmente elaborati, con applicazione prudente della normativa, al fine di evitare la paralisi di interi procedimenti amministrativi o addirittura di uffici, con pregiudizio delle ragioni dei cittadini rispetto ad una efficiente pubblica amministrazione.
A ciò si accompagna altresì la possibilità, non esauriente del novero dei potenziali interventi, di implementare atti interni del Comune quale il codice di comportamento, con codificazione delle ipotesi di conflitto di interesse “non tipizzate” al fine di riportarle su un piano più facilmente rilevabile e censurabile. Da ciò deriverebbe una loro contemplazione a livello normativo, con conseguente insorgenza della responsabilità disciplinare in caso di violazione della previsione.

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5. Conclusioni


La disciplina del conflitto di interesse, nell’assumere una dimensione complessa e fortemente legata alla casistica, acquista quindi una rilevanza cruciale nell’agire della pubblica amministrazione. La doppia esigenza di assicurare una pronta risposta ai compiti assegnati e al contempo mantenere l’imparzialità si presta a non poche complicazioni, con valutazioni delicate rimesse a strutture amministrative a volte poco complesse e già oberate di lavoro.
Le conclusioni del Parere ANAC del 16 dicembre 2024 – Fasc.5307.2024 offrono quindi interessanti prospettive operative, con l’implementazione dell’attività regolamentare delle amministrazioni locali nella predeterminazione di una serie di ipotesi di conflitto di interessi non altrimenti prevedibili a livello di normazione primaria.

Nota


[1]Il novellato art. 118 Cost. attribuisce l’esercizio delle funzioni amministrative in capo ai Comuni, salvo conferimento ad amministrazioni territorialmente “superiori” in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.
[2]Con delibera n. 501 del 23 ottobre 2024 l’ANAC ha chiarito che, nella circostanza in cui oggetto di attribuzione sia un incarico di elevata qualificazione, sarà opportuno valutare caso per caso se lo stesso sia equiparabile ad un incarico dirigenziale, secondo quanto previsto dall’art. 1 comma 2 lett. j) d.lgs. n. 39/2013
[3] Assume, nella casistica, importanza centrale quanto previsto dal Piano Nazionale Anticorruzione del 2019.
[4]Trattasi, nel dettaglio, di interessi propri, di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore, gerente o dirigente.
[5] V. Cons. di Stato, Sez. V, sent. del 20 luglio 2022 n. 6389. Il fondamento della previsione di fattispecie non tipizzate di conflitto di interessi è da ricercare sempre nell’art. 7 d.P.R. n. 62/2013 secondo cui “Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull’astensione decide il responsabile dell’ufficio di appartenenza”.
[6]Il principale riferimento dell’Autorità nel rendere il parere in oggetto è da ricercarsi in Cass., Sez. Un., n. 2301/2019 nel caso di obbligo di astensione del giudice per “gravi ragioni di convenienza” ai sensi dell’art. 36 c.p.p. Secondo il Supremo consesso non ogni rapporto di frequentazione tra difensore dell’imputato e giudice determina l’insorgere dell’obbligo di astensione, rendendosi necessaria una valutazione del caso di specie e della tipologia di legame in analisi, secondo i sopra riportati parametri.



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