“Credo che i miei occhi desiderassero qualcosa di molto lavorato, i nostri clienti non cercano nulla di troppo reale”. Con queste parole, Daniel Roseberry, Direttore Creativo di Schiaparelli, ha introdotto la sua visione dell’Alta Moda Primavera Estate 2025 per la maison, il cui show ha aperto comme d’habitude la Haute Couture Fashion Week a Parigi. “Sono stanco che tutti equiparino costantemente la modernità alla semplicità”, scrive il couturier texano in una nota agli ospiti che gremiscono il Petit Palais di lunedì mattina. La riflessione scaturisce in una nuova messa a fuoco del ruolo della Couture e del couturier, il cui compito è di abbracciare l’impulso di spingere il proprio mestiere e la propria fantasia più in là ogni stagione.
Per attualizzare il messaggio, Schiaparelli recupera il mito di Icaro, dando però una lettura positiva dell’antica tragedia greca. “La Haute Couture aspira a raggiungere vette straordinarie, promette una fuga dalla complessità del nostro tempo e ci ricorda che la perfezione ha un prezzo”, spiega Roseberry, per cui l’ascensione del figlio di Dedalo verso il Sole si fa metafora di quella della Haute Couture verso nuovi gradi di bellezza e stupore. Se la funzione principale del mito, ieri come oggi, è di dare risposte a domande universali, allora forse la maison ha centrato il punto. Nel chiedersi quale sia il valore attuale del regno più alto e rarefatto della moda, riesce infatti a trovare una risposta convincente nel bilanciamento di storia e innovazione radicato nell’alto artigianato.
Sul dialogo tra passato e presente è allora sviluppata l’intera collezione di Schiaparelli, che pone l’accento su un’interpretazione più fastosa del solito del lavoro d’atelier. L’ispirazione arriva da una collezione di nastri francesi anni Venti, scovati in un negozio di antiquités, che dà il tono alla palette dalle morbidezze rococò di ecru, burro, caffé, verde pavone e cioccolato. Ma le citazioni storiche intessono di un glamour solo apparentemente nostalgico tutti i look, con richiami agli anni Venti e Trenta, Cinquanta e Novanta. Roseberry racconta di aver studiato i grandi del passato, da Madame Grès a Paul Poiret, Charles Frederick Worth, Yves Saint Laurent e Azzedine Alaïa, “non per copiarli, ma per imparare da loro”.
Questo sguardo al passato plasma silhouette scultoree, con imbottiture, bustier dai fianchi esagerati, volumi torchon, cascate di tulle, strass e piume che trasmettono tutta l’audacia creativa di cui è capace l’Alta Moda. Roseberry ha pensato anche ai costumi di Ginger Rogers negli anni Trenta, immergendo le piume nella glicerina per appesantirle leggermente e spazzolandole poi con la cheratina. Mentre un omaggio a Elsa Schiaparelli è il modello plissé con scollo all’americana, in tulle di poliammide color sabbia, indossato dalla musa Maggie Maurer. All’elevazione immaginifica delle linee e dei dettagli intricati di Schiaparelli ha fatto da controcanto la rilettura stravagante, ma forse più ancorata a terra, della linea Trapèze da parte di Dior.
Anche nella collezione Haute Couture disegnata da Maria Grazia Chiuri risuonano i temi della forza femminile e dell’eleganza senza tempo, esplorati attraverso il recupero di elementi d’archivio visti con una lente moderna. Come da Schiaparelli, la direzione è segnata e punta al raggiungimento della perfezione e, se guarda al passato, lo fa per riconoscere forme e archetipi a cui viene dato un nuovo significato. “Negli atelier Couture la creazione non conosce limiti”, dichiara la Direttrice Creativa, che si rifà alle linee a trapezio concepite da Yves Saint Laurent per la maison nel 1958, che richiamano i vestiti da bambina ma con silhouette più costruite. In un crescendo di preziosità, culminano nelle costruzioni “a gabbia”, tra bustier a vista, crinoline, gonne ritorte e giacche con le maniche a gigot o che citano gli antichi completi alla francese da uomo e sembrano uscire da un manuale di storia del costume.
Ma anche qui il richiamo al passato non è fine a sé stesso: dialoga con lo spirito punk delle Alice nel Paese delle Meraviglie a cui Chiuri ha affidato il compito di interpretare l’essenza più elevata del lavoro degli atelier e del significato di femminilità contemporanea, libera e (dis)incantata. Questo sullo sfondo dei pannelli illustrati dall’artista indiana Rithika Merchant, riprodotti su tessuto da Karishma Swali insieme ai Chanakya Ateliers e alla Chanakya School of Craft, a testimonianza dell’impegno della casa di moda alla valorizzazione globale dell’arte e dell’artigianato. Echi dal passato tornano poi in questa prima giornata di fashion week nelle altre sfilate in calendario, dai Roaring Twenties preziosi di Julie de Libran agli abiti da mille e una notte di Giambattista Valli, che affiancano gonne dai volumi principeschi larger-than-life ad accenni di colletti arricciati che ricordano le antiche e sublimi gorgiere.
Una menzione a parte va, infine, a Dolce&Gabbana, che ha inaugurato ufficiosamente la settimana con un défilé a sorpresa domenica sera, mentre è in corso fino al 31 marzo la mostra Du Cœur à la Main al Grand Palais che riflette proprio sul percorso della maison nell’Alta Moda. Quasi tutte vestite di nero, “il colore della Sicilia”, le Siciliennes immaginate da Stefano Gabbana e Domenico Dolce hanno sfilato nelle sale dell’Hôtel de la Marine di Place de la Concorde. Un nero che però non ha a niente a che vedere con il minimalismo e che si accende di incrostazioni dorate, perle, cristalli, croci e rosari intrecciati tra le mani. In un’atmosfera opulenta e sensuale, tra sacro e profano, che sfocia nel completo tutto oro, con tanto di corona in testa, e nell’abito da sposa bianco, circondato da ampie e scenografiche volute di tulle.
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