Chiacchierando (di nuovo) con Barbara Frandino – Giuditta legge

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Dal 2020, quando ho conosciuto Barbara Frandino con È quello che ti meriti, il suo esordio nella narrativa che tanto fece parlare e sobbalzare i lettori e le lettrici, ho covato il desiderio e la curiosità di tornare a leggerla. [QUI potete rileggere quella prima chiacchierata che a lungo è stata tra i post più letti del blog.]

Finalmente in questo inizio del 2025, eccola là con Tremi chi è innocente, sempre per la collana Coralli di Einaudi.

Partirei dalla bandella. Leggo la definizione di noir familiare. La scrittura di Barbara Frandino ha il grande merito di tenere sempre desta la sospensione e la tensione del racconto, ma mi chiedo se tu, Barbara, ti riconosca nella definizione di un genere per il tuo libro, o meglio riconosca le intenzioni nello scrivere Tremi chi è innocente, al netto dell’alone di mistero che vela l’introspezione e l’analisi psicologica dei personaggi come già nel romanzo precedente.

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foto di Denitza Diakovska

RISPOSTA: C’è una traccia noir, ma l’indagine sull’omicidio resta effettivamente un po’ in secondo piano. Più che altro è una storia che indaga sulle dinamiche familiari, le crepe che si possono aprire in una famiglia, le ferite che trasformano i singoli, e l’infelicità che queste ferite possono generare. L’infelicità è contagiosa, non lascia scampo. I protagonisti di Tremi provano ad anestetizzarla, a nasconderla sotto il tappeto, cercano un equilibrio nella quotidianità, nelle incombenze quotidiane. La questione si fa più complicata quando, tra le incombenze di cui devono occuparsi, c’è anche un omicidio. 

Se devo dirti la verità, però, mi piace un sacco l’idea che il libro sia incasellato nel genere noir. 

Vista la bellissima sollecitazione della tua risposta, non posso che insistere:

Incaselliamo pure allora, e ti chiedo anche una genealogia per Tremi chi è innocente. Con chi è imparentato? E dove troverebbe i suoi antenati se dovessi disegnare l’albero genealogico delle sue origini nella tua ispirazione?

RISPOSTA: Ahia, mi metti subito in difficoltà. 

Dovrei parlarti di qualche libro che mi è piaciuto da pazzi della letteratura americana o inglese o francese, e che sicuramente, in qualche modo, anche solo in modo inconsapevole, mi circola addosso. Ma sono tutti capolavori assoluti. E, insomma, mi hai invitata per un caffè virtuale: dovresti invitarmi a bere qualche gin tonic reale prima di farmi dire che sono imparentata con qualche capolavoro assoluto…

Rimandiamo davanti a un gin tonic, allora.

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Ma invece io voglio dirtelo con chi mi sembri imparentata, e premetto che per me è un grande maestro, uno scrittore che chiude il Novecento con Via Gemito e che ha saputo innovarsi nel nuovo millennio e indicare la strada di un nuovo corso del narrare, che mira all’essenzialità in purezza della lingua e della forma, e allo scandaglio delle relazioni umane.

Domenico Starnone.

E come lui tu utilizzi una voce inaffidabile, in prima persona, attraverso la quale chi legge si sente come su una zattera periclitante in un fiume tempestoso. 

In questa voce alla quale in Tremi chi è innocente si aggiunge lo squilibrio dell’adolescenza che la rende ancora più instabile e poco centrata, io riconosco la cifra della tua narrazione, e mi riconosco in un ondeggiare emotivo che rende leopardianamente “dolce” il naufragar nel mare delle tue pagine.

Nico ha sedici anni e nell’ incipit sfolgorante del romanzo (tu sei maestra degli incipit) si prepara a morire.

Che cosa gli sta succedendo? Cosa ti ha offerto nella scrittura la voce giovane e tormentata di Nico?

RISPOSTA: Giuditta! Non potevi farmi un complimento migliore! Starnone per me è un grandissimo grandissimo maestro!

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Nico è un ragazzo di sedici anni con un’intelligenza fuori dal comune ma anche con una sensibilità straordinaria. E spesso, chi è troppo sensibile, chi è troppo in ascolto, soffre tantissimo, vive scorticato, non ha difese. Lui è così: non ha difese e trema. Soffre di attacchi di panico, sa di aver ucciso o almeno crede di aver ucciso, e ha paura di essere scoperto. Ne ha paura e contemporaneamente, stremato dall’ansia, spera che lo scoprano e che tutto finisca. Perché l’attesa di una catastrofe può essere anche più faticosa della catastrofe stessa.

Quello che noi adulti spesso facciamo è costruire una storia di noi e poi comportarci di conseguenza, attenendoci disperatamente a quella narrazione. Con il personaggio di Nico volevo trovare la voce di qualcuno che cerca di interpretare il mondo attorno a sé, la famiglia, se stesso, con lo sguardo pulito, la mente aperta.

Accanto al mistero dell’uomo ripescato nel fiume senza documenti, in Tremi chi è innocente Nico è chiamato a svolgere un’indagine parallela sul segreto inconfessabile che aleggia nella sua famiglia: il disgregarsi del matrimonio dei suoi genitori. Il matrimonio è uno dei grandi temi della tua narrativa, qui analizzato dal punto di vista del figlio adolescente. Un’analisi impietosa e puntuta, piena di complessità e sfumature, come già in È quello che ti meriti.

Perché il matrimonio è per te, se lo è, il terreno privilegiato per mettere in campo le relazioni sentimentali? Cosa c’è nel congegno del matrimonio che fa scattare il bisturi con cui vivisezioni il rapporto e il vissuto tra un uomo e una donna?

RISPOSTA: Mi affascina moltissimo che la nostra capacità di conoscere davvero le persone sia inversamente proporzionale alla vicinanza. Nel matrimonio, nella famiglia, quanto capiamo di chi ci sta accanto?

Carichiamo le persone che amiamo di una narrazione che, a volte, ci porta molto fuori strada. Pessoa diceva che amiamo l’idea che ci siamo fatti di una persona. Ci raccontiamo una storia e pretendiamo che i protagonisti si attengano alla nostra narrazione, pretendiamo anche che restino sempre gli stessi, che il tempo non li cambi.

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Il bisturi mi serve per sollevare quello strato di narrazione e andare a vedere che c’è sotto.

Nico non è il solo adolescente che racconti in Tremi chi è innocente. C’è anche Emma, una compagna di scuola, che lo vede e lo guarda per quello che è e dalla quale Nico si sente riconosciuto. Emma vive da sola con la mamma e prova una sensazione di vergogna ed emarginazione, sognando una famiglia “tradizionale”. Di fronte abbiamo due modelli, solo all’apparenza uno è più felice dell’altro. Nella profondità ognuno di loro nutre la propria infelicità.

Il tuo bisturi ha sollevato anche quello strato di narrazione, e allora mi chiedo: esistono famiglie felici? E perché non lo sono né quella di Nico, né quella di Emma?

RISPOSTA: Emma è la ragazza che gli piace da morire ma è anche il suo specchio. Uno specchio un po’ incrinato, un po’ ossidato, ma è attraverso di lei che lui vede finalmente se stesso. Nico e Emma condividono il sogno di una vita normale, una famiglia normale, ma insieme capiscono che a volte è l’idea di normalità a fregarci.

Le famiglie felici esistono, certo. Magari non per sempre, ma nelle famiglie può esserci tantissima bellezza. In quella di Nico c’è stato molto amore e c’è ancora affetto e cura, ma i desideri di ognuno di loro si sono allontanati. Nella famiglia di Emma c’è solo una madre delusa dagli uomini e dalla vita che, quando è spezzata, torna a essere bambina. Tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice, è infelice a modo suo, diceva Tolstoj.

Prima di salutarci con la promessa di rivederci per un gin tonic, mi soffermerei sul titolo. 

C’è un apparentamento tra È quello che ti meriti e Tremi chi è innocente.

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Non so se sono suggestionata dal precedente romanzo, ma entrambi mi sembrano una velata minaccia.

Se fosse così, a chi sarebbe rivolta? E se invece il tono dei tuoi titoli non è quello dell’avvertimento, a cosa si riferiscono? Perché dentro il titolo è come se vibrasse una chiamata a raccolta: per chi? E come? E dove?

RISPOSTA: Ahahah. Non ci avevo pensato ma forse hai ragione. In entrambi, effettivamente, ci sono donne che, fino a un certo punto, vivono secondo le regole dei maschi e che hanno fatto dell’amore, della famiglia, il motore della loro autoaffermazione. Ma solo fino a un certo punto. Se c’è un’inconsapevole chiamata a raccolta, probabilmente ha a che fare con le donne.

Signore, è arrivato l’arrotino.



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