Ai sondaggi mancano le sfumature: sono cifre che raccolgono risposte a domande chiuse. Le sfumature sono un compito giornalistico. Nel caso in specie le sfumature sono quelle restituite da un sondaggio (Lapolis-Università di Urbino Carlo Bo con Demos e Avviso Pubblico) che ha trovato spazio sulle pagine di Repubblica.
Al campione si chiedeva quali siano le caratteristiche del «buon politico», da scegliere tra sette voci: onestà; capacità e competenza; saper capire i problemi della gente; coerenza con le promesse; avere un progetto politico; comunicare in modo chiaro; il fascino. Delle sette se ne potevano scegliere due. Tratto del «buon politico» più indicato è l’onestà, al 48%; seguono competenza e capacità al 47%; poi «saper capire i problemi della gente» e la coerenza rispetto alle promesse, entrambi al 33%. Il resto è residuale: il progetto politico è prioritario per il 14%, la comunicazione per il 12% e il fascino si ferma al 2%.
Snocciolati i primi numeri, si passa alle sfumature. Repubblica spiega che «vengono premiati candidati dal profilo più popolare che riflettono meglio il cittadino medio, percepiti più vicini». Il titolo recita: «La figura del capo è tramontata, gli elettori reclamano un’altra politica». E, pensando a Meloni, sull’idea che la figura del capo sia tramontata nutriamo dei dubbi. Niente dubbi sul fatto che vengano premiati candidati «più popolari», più vicini, più «medi». Certo, il sospetto che il concetto di «medietà» dalle parti di Rep flirti con l’idea di «popolo bue» è tangibile.
Però va dato atto a Diamanti, estensore dell’articolo, di aver proposto un’analisi senza pregiudizi (fino alla chiusa): in sintesi rimarca la capacità di Meloni nell’esaltare «la sua provenienza popolare» e ricorda come la sinistra vinca solo nelle città e nei centri storici (sono fatti). Infine, ecco il pregiudizio: dopo aver sottolineato come la «competenza» sia più apprezzata dal centrosinistra, cita il Manzoni: «C’era pur qualcuno che non credeva agli untori, ma non poteva sostenere la sua opinione. Perché il buon senso (…) se ne stava nascosto per paura del senso comune». Ragione per la quale, per Diamanti, oggi è necessario «imporre il buon senso come riferimento del senso comune»: ergo il «buon senso» non è di casa a destra. Sarà.
Restando nel campo delle sfumature, il sondaggio ne offre di indicative passando all’analisi partito per partito delle quattro caratteristiche del buon politico più votate. L’onestà risulta minoritaria per gli elettori di Azione e Italia Viva, al 38%. Gli altri partitila indicano dal 51% del Pd al 41% della Lega. L’onestà conta per tutti, meno per renziani e calendiani, i quali però indicano al 73% «competenza e capacità»: un elettorato “illuminato”, come illuminati si percepiscono i due leader di riferimento, Renzi e Calenda. Emblematico. Competenza e capacità, tra gli altri partiti, fluttuano dal 58% Pd al 39% di FdI e Lega.
Un’indicazione clamorosa emerge dalla coerenza con le promesse, tratto prediletto dai leghisti (44%), poi FdI (39%) e FI (38%). Invece per il popolo Pd la coerenza è dote poco ambita (28%), mentre per gli elettori di Renzi e Calenda (ma dai?) è del tutto residuale: un misero 13%. Si nota però la coerenza degli elettori dei centrini con loro stessi, poiché coincidono col campione che meno degli altri pretende onestà dal leader (coerenza e onestà sono in parte concetti sovrapponibili). E si nota anche il cortocircuito dem: esaltano l’onestà ma snobbano la coerenza. Altro tratto paradigmatico.
L’analisi si chiude col «saper capire i problemi della gente», virtù indicata dal 41% dei leghisti, dal 36% grillino e dal 32% di forzisti e FdI. Fanalini di coda – ça va sans dire – Pd, IV e Azione, al 29%. Una perfetta fotografia della vocazione minoritaria di una sinistra che rivendica l’etichetta «Ztl», parlano i numeri. Detto ciò, a noi le sfumature del sondaggio appaiono chiare. Più che sfumature, dei tratti marcati.
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