Ecco perché il Governo ha impugnato la legge sulle aree idonee della Sardegna: tutte le contestazioni

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Sassari La legge sconfina nella potestà legislativa dello Stato, lede i concetti di certezza del diritto e del legittimo affidamento e libertà di iniziativa economica, contrasta con la disciplina nazionale del procedimento amministrativo e deroga alla normativa di promanazione europea di promozione delle energie rinnovabili, anche sotto il profilo paesaggistico. È questa, in sintesi, la linea dell’impugnativa promossa dal Governo contro la legge regionale 20/2024 sulle cosiddette Aree idonee varata lo scorso mese di dicembre dal consiglio regionale.

Libertà di iniziativa economica La prima contestazione del Governo riguarda l’articolo 1 che, ai commi 1 e 2, prevede i confini di applicazione della legge regionale: tutto il territorio regionale, comprese le zone dove sono previsti impianti rinnovabili in corso di autorizzazione e quelli già autorizzati ma che «non abbiano determinato una modifica irreversibile dello stato dei luoghi». Secondo il Governo, questo determina «una lesione dei principi di uguaglianza di cui all’articolo 3 della Costituzione, di certezza del diritto e del legittimo affidamento, nonché di libertà di iniziativa economica di cui all’articolo 41 della Costituzione».

Il concetto di aree idonee L’articolo 1, comma 5, della legge varata dalla Regione fa riferimento al divieto di realizzazione degli impianti nelle aree non idonee, come individuate in una serie di allegati. Su questo punto, il Governo contesta il concetto alla radice spiegando che la nozione di “area idonea” «è strettamente legata alla individuazione delle semplificazioni di cui poter beneficiare a fini autorizzatori, fermo restando che anche nelle “aree non idonee” non opera alcun divieto a realizzare impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile». In altri termini: le aree non idonee non dovrebbero indicare zone in cui è posto un divieto. «In altri termini – si legge nell’impugnativa del Governo – l’inadeguatezza di una determinata area o di un determinato sito a ospitare impianti da fonti rinnovabili deve derivare, non già da una qualificazione aprioristica, generale e astratta, bensì all’esito di un procedimento amministrativo che consenta una valutazione, in concreto, delle inattitudini del luogo, in ragione delle relative specificità».

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Certezza del diritto Ulteriore criticità dell’articolo 1, comma 5 – sempre secondo il Governo – riguarderebbe l’allargamento del divieto di realizzazione anche agli impianti il cui iter autorizzativo risultava in corso al momento dell’entrata in vigore della legge. «Non v’è dubbio – si legge ancora nell’impugnativa – che la richiamata previsione si ponga in contrasto con il generale principio di certezza del diritto, che vede, tra i propri corollari, il principio della tutela del legittimo affidamento. Imporre, a prescindere dal grado di maturità dei procedimenti amministrativi rilevanti, un divieto di realizzazione del progetto determina un indubbio danno a nocumento dell’operatore che, nelle more del compimento delle procedure per l’ottenimento dei titoli abilitativi occorrenti, ha già sostenuto costi tecnici e amministrativi ingenti. La lesione dei principi costituzionali è ancor più evidente laddove la legge regionale in commento dispone l’inefficacia di titoli abilitativi già formatisi: sotto tale profilo, infatti, la previsione regionale finisce per assumere portata retroattiva, rimettendo in discussione diritti già acquisiti dall’interessato senza attenersi – dinnanzi a un quadro normativo statale che, in conformità al diritto eurounitario, promuove il ricorso alle fonti rinnovabili – ad alcun criterio di ragionevolezza».

Inidoneità Nell’articolo 1, comma 7, la legge parla del cosiddetto “criterio di non idoneità”, secondo il quale se un progetto di un impianto ricade sia nelle aree idonee che in quelle non idonee, allora prevale la non idoneità. Anche su questo punto, il Governo contesta un contrasto della norma con il principio eurounitario dell’interesse pubblico prevalente alla diffusione dell’energia da fonte rinnovabile e quindi con l’articolo 117, primo comma, della Costituzione. Il principio dell’interesse pubblico prevalente, sempre secondo il Governo, richiederebbe una valutazione caso per caso e non si può quindi disporre un divieto generalizzato fissato ex ante.

Revamping Contestazioni da Roma anche all’articolo 1 comma 8, che riguarda la ricostruzione o il potenziamento degli impianti esistenti che con l’entrata in vigore della legge ricadono nelle aree non idonee. Secondo il Governo, la norma «solleva questioni di chiarezza normativa e di certezza del diritto, non specificando se esse debbano valere solo per il futuro oppure debbano riferirsi anche ad interventi già assentiti, alla data di entrata in vigore della legge regionale in esame. Si rileva la lesione dei principi costituzionali di uguaglianza, ragionevolezza, certezza del diritto e legittimo affidamento, oltreché di libertà di iniziativa economica di cui agli articoli 3 e 41 della Costituzione».

Off shore Problemi anche sull’articolo 1, comma 9, dove si parla di aree non idonee per gli impianti off shore. Su questo punto, il Governo sostiene che la Regione poteva individuare soltanto le aree idonee sulla terraferma e che quelle off shore sono individuate con un processo pianificatorio statale partecipato dalle regioni (articolo 23 del decreto legislativo 199/2021).

Impianti in aree non idonee L’articolo 3 della legge regionale prevede la possibilità di realizzare impianti in aree non idonee con un procedimento misto politico-amministravo che il Governo reputa incostituzionale. La procedura prevede che i singoli Comuni possano proporre un’intesa alla Regione, passando per un voto del consiglio comunale e un dibattito pubblico con le comunità. L’istanza viene proposta all’assessorato regionale competente, il quale convoca una conferenza di servizi. Poi i risultati vengono trasmessi alla Giunta regionale e decide se approvare l’intesa. «Le citate disposizioni regionali – si legge ancora nell’impugnativa del Governo – non sono chiare e univoche: si dispone che l’istanza sia sottoposta sia a una valutazione di opportunità del Consiglio comunale previo dibattito pubblico sia a una valutazione tecnico-amministrativa mediante conferenza di servizi con una possibile sovrapposizione fra profili amministrativi e politici, prevedendosi inoltre, sotto il profilo amministrativo, istituti (unanimità della conferenza dei servizi, inoperatività del silenzio assenso) che palesano una possibile contrarietà alla disciplina nazionale del procedimento amministrativo. Le previste misure di semplificazione ed accelerazione rischiano di creare eccezioni rispetto all’ordinario funzionamento della conferenza dei servizi, ponendosi con ciò in contrasto con la disciplina statale recata dalla legge numero 241 del 1990, che costituisce un limite inderogabile per la legislazione regionale».



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