I debiti americani che Trump vuol far pagare al mondo

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Le nuove guerre nei mercati finanziari

Ormai lo ripetiamo da un pezzo: le nuove guerre dell’era Trump, saranno combattute nei mercati finanziari. E le vittime, innumerevoli, verranno sotterrate da sanguinose risse commerciali e assalti all’arma bianca, fatti di dazi e tariffe doganali. Sarà un calderone granguignolesco, dove un risorgente protezionismo soffocherà quello che resta della globalizzazione. Inutile farsi illusioni.

La perduta ‘Età dell’oro’

Il nuovo Presidente americano è stato chiaro nel suo primo discorso, all’atto dell’insediamento. «Trump – come scrive il Wall Street Journalha paragonato il suo approccio a quello di un altro Presidente, William McKinley, un leader repubblicano durante un’epoca nota come ‘Gilded Age’. Un periodo di rapida industrializzazione dopo la guerra civile, che creò un’enorme ricchezza per gli Usa, ma fu caratterizzato da una dilagante disuguaglianza».

Tuttavia, il vero problema, che si trova davanti oggi il ‘sistema-America’, non è quello di una ricetta che resusciti una specie di autarchia del Terzo millennio. La questione è più profonda e riguarda l’etica stessa di un capitalismo malato. Di un modello, cioè, che mentre si dà delle regole, studia nello stesso tempo anche il modo per aggirarle. Perché il profitto non conosce ostacoli.

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Fine del libero scambio

Dunque, Trump ha già deciso, con la sua squadra, di dare un colpo mortale ai principi del libero scambio. Attenzione: le sue ragioni sono squisitamente finanziarie e hanno la priorità. Quelle geopolitiche vengono solo dopo. Il nuovo Presidente ha già annunciato ulteriori tariffe del 10%, sulle importazioni in arrivo dalla Cina e, addirittura, del 25% sui prodotti canadesi e messicani.

E qui dobbiamo aprire una larga parentesi, spiegando le ragioni di un simile approccio, che ricorda misure da emergenza bellica. E, in effetti, secondo i sacri libri di testo della teoria economica, gli Stati Uniti hanno un piede e mezzo nella fossa (finanziaria). Pensate, a novembre scorso (Amministrazione Biden) hanno battuto tutti i record di indebitamento pubblico, arrivando in rosso per la bazzecola di 37 mila miliardi di dollari.

Come vanno avanti? Facendo debiti, cioè emettendo titoli di Stato. Danno carta (garantita, per carità) e ricevono soldi, che poi spendono. E diverse volte spandono. Ma questa è solo una parte del discorso. Perché, se l’economia non gira bene, se c’è inflazione o semplicemente se i risparmiatori ‘non si fidano’, allora bisogna alzare i tassi di interesse, e ripagare il debito costerà di più. Quindi, la situazione di «rosso cronico» è determinata da come va l’economia nel suo complesso.

Bilancia commerciale a colpi di dazi

In questo senso, un’importanza fondamentale hanno la bilancia commerciale e la differenza tra import ed export di beni, servizi e capitali. Bene, è questo il problema numero uno dell’America: di Biden, di Trump, o di chi volete voi. Stiamo parlando di una cifra che, alla fine del 2024, arrivava quasi a toccare i 1.000 miliardi di dollari.

Si può esportare di più, producendo bene e vendendo meglio, rendendo i prodotti competitivi grazie al rapporto prezzo-qualità. Oppure puoi scegliere la strada di Trump. Imponendo dazi doganali a casaccio, per proteggere i tuoi prodotti, anche se costano assai e, magari, sono fatti male. L’obiettivo è quello di costringere gli americani a comprare ‘Made in Usa’, delocalizzare con incentivi le fabbriche europee o di altri Paesi e, in ultima analisi, invertire a poco a poco il trend negativo della bilancia commerciale.

Secondo alcuni economisti di scuola reaganiana, questo metterebbe in moto un circuito (noto agli specialisti come ‘curva di Laffer’) che preconizza un allargamento del volume del gettito fiscale, nonostante il taglio delle tasse. Insomma, il protezionismo all’estero consentirebbe all’Amministrazione repubblicana di cominciare a fare ‘campagna’ con due anni di anticipo, sulle elezioni di Mid term.

Privilegi da Stati Uniti d’America

D’altro canto – è questo il punto – non è che Trump debba preoccuparsi più di tanto del deficit federale. Se gli Usa si fossero chiamati in un altro modo, il Fondo monetario internazionale avrebbe già spedito i suoi ispettori a commissariare Ministeri e bilanci. La verità è che i conti dell’America sono allo scasso e non si procede al pignoramento perché la finanza internazionale è prigioniera del dollaro.

Che vuol dire, che gli Usa possono fallire? No, ma ci marciano, come fa ora Trump. Il loro debito pubblico è la principale fonte di finanziamento valutario, grazie al dollaro, per il resto del mondo. Quasi tutte le transazioni avvengono in dollari, e chi cerca di farlo in qualche altra valuta è guardato di traverso.

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In tempi non sospetti, Giscard d’Estaing, allora Ministro delle Finanze della Francia, disse che Washington godeva di questo “privilegio esorbitante”, che le consentiva di fare debiti, sapendo che qualcuno avrebbe comunque comprato il dollaro, indipendentemente dalle sue oscillazioni.

Oggi, Trump non fa altro che approfittare, furbescamente, di un potere finanziario senza limiti, che il suprematismo americano ha saputo costruire nell’ultimo secolo. Ci sono molti modi di fare le guerre, anche senza dover sparare un colpo.

* da RemoContro

– © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO


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