Finanziati gli ex janjaweed per il controllo delle frontiere. I complimenti a Roma del loro leader
Nonostante i legami consolidati con il capo delle milizie sanguinarie delle Rsf, il governo italiano ha evitato di chiarire la propria posizione sulla crisi nel paese. Un’interrogazione parlamentare ha rivelato l’assenza di iniziative diplomatiche concrete. Troppi gli interrogativi irrisolti
Italliani scappati dal Sudan. Credito: AP/Raad Adayleh
Poteva essere l’occasione, per il governo italiano, di chiarire la propria posizione sulla crisi in Sudan. Crisi che – stando ai numeri – rappresenta oggi la peggiore al mondo (come rivela, in modo approfondito, l’ultimo report di Crisis group).
Occasione andata sprecata. Nonostante l’Italia non sia un soggetto neutro in questo conflitto: ha un feeling speciale, come vedremo, con uno dei protagonisti della tragedia sudanese.
L’interrogazione parlamentare
In un’interrogazione – presentata il 7 ottobre scorso da 5 parlamentari (Boldrini, Amendola, Provenzano, Porta e Quartapelle Procopio) – si chiedeva al ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale quali azioni diplomatiche il governo intendeva assumere (o aveva già assunto) «nei consessi europei e internazionali, per ottenere il cessate il fuoco in Sudan e per consentire che giungano a una popolazione stremata, gli aiuti umanitari di cui ha disperatamente bisogno».
Un impegno che dovrebbe stare in scia ai proclami annunciati, con la fanfara, da Meloni & Co di «porre l’Africa al centro della sua politica estera».
Invece, il dramma che vivono i sudanesi «non viene neppure citato nelle dichiarazioni ufficiali ed è ignorato nei seppure scarni e generici contenuti di quello che è stato chiamato “Piano Mattei”», recita l’interrogazione.
La risposta del governo
Il governo aspetta 3 mesi per rispondere. E lo fa il 14 gennaio con la sottosegretaria Maria Tripodi. È il primo intervento di rilievo in sede parlamentare dell’esecutivo sul caos sudanese.
Poco meno di 6mila battute per certificare il nulla. O meglio, per recitare il solito e rituale spartito: «Dallo scoppio del conflitto, si sono susseguiti numerosi sforzi di mediazione internazionale e regionale (…). Tali tentativi non hanno tuttavia prodotto, ad oggi, risultati significativi». Oppure: «Sebbene si siano registrati alcuni segnali positivi, nel senso di un maggior coinvolgimento delle forze democratiche sudanesi (…), sono ancora molti i progressi che restano da fare».
Un semplice sostegno
Ma quali azioni diplomatiche dirette hanno messo in campo l’intraprendente Giorgia Meloni e i suoi ministri? Risposta: «In tutte le rilevanti sedi internazionali, il governo ha ribadito il proprio sostegno alla popolazione sudanese (nostro il grassetto, ndr), sostenendo la creazione di canali di accesso umanitario sicuri e stabili e la ripresa di un dialogo nazionale pienamente inclusivo delle molte articolazioni della società civile sudanese».
Dopo aver ricordato che «allo stato attuale il Sudan non è tra i paesi destinatari dei progetti pilota individuati nell’ambito del Piano Mattei, anche a causa del protrarsi della guerra civile», la sottosegretaria elenca i milioni di euro che, negli ultimi anni, l’Italia ha destinato in progetti a quel paese.
Il silenzio sulla richiesta
Stop. Zero risposte sulle iniziative politiche e diplomatiche assunte autonomamente. Un vuoto che riflette l’assenza di qualsiasi azione.
Eppure l’Italia, per le passate relazioni con alcuni attori del conflitto, avrebbe dovuto impegnarsi ed esporsi più di altri paesi.
L’ambasciata trasferita in Etiopia
Nella replica all’intervento governativo, la deputata Lia Quartapelle coglie l’occasione per accusare il governo di aver contribuito a «relegare la crisi in Sudan nella categoria dei “conflitti dimenticati”». E di aver peggiorato il suo comportamento ponendo ostacoli «all’accesso della popolazione civile agli aiuti umanitari con la decisione di spostare i propri programmi di cooperazione in Ciad e in Etiopia».
Ancora oggi la sede diplomatica è ad Addis Abeba. Se si apre l’home page del sito dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo operativa impegnata in Sudan (?), si è accolti da un “Siamo lieti di annunciare i vincitori del concorso fumettistico ‘Sudanese heroine’!”.
Quale il ruolo delle Rsf?
Ma il passaggio più interessante della replica della parlamentare è il riferimento al ruolo delle Forze di supporto rapido (Rsf) di Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemeti, nell’ aver fornito «un sostegno essenziale nelle evacuazioni dei nostri connazionali dal Sudan». Rsf accusate di genocidio dall’ex segretario di stato americano Antony Blinken.
«Si tratta di una scelta poco comprensibile sul piano etico e che rischia di provocare effetti assai negativi sotto il profilo politico», la chiusura di Quartapelle.
Ma come s’intrecciano i cammini di Roma ed Hemeti?
Una relazione “affettuosa”
Il conflitto tra le Rsf e le Saf (Sudan Armed Forces) del generale Abdel Fattah al-Burhan deflagra il 15 aprile 2022. In quelle ore anche la residenza di Luca Rampone, primo segretario di ambasciata, viene colpita da proiettili vaganti.
Scatta l’operazione evacuazione. Arrivano a Khartoum paracadutisti del Nono reggimento “Col Moschin”, uomini del Gis dei carabinieri, gli incursori della marina militare e agenti del servizio segreto per l’estero (Aise). Partono dalla base di Gibuti. Tra il 23 e il 24 aprile vengono imbarcate 140 persone. Saranno 200 i civili riportati in Italia.
Prima anomalia
Il 23 aprile, alle 19.35, le Rsf dal loro profilo Twitter annunciano «di aver effettuato con successo l’evacuazione dei cittadini italiani. La missione dalla residenza dell’ambasciatore a Khartoum verso l’aeroporto riguardava, oltre al personale dell’ambasciata, 41 cittadini italiani, messi in salvo a bordo di 6 piccoli veicoli e un autobus».
Nonostante le tensioni e i combattimenti in corso, Hemeti sottolinea l’impegno delle Rsf nel rispettare il diritto umanitario internazionale e nel garantire un passaggio sicuro per i cittadini italiani in fuga.
«Scrive Hemeti – riporta Africaexpress – che “oggi ho avuto uno scambio di opinioni con il ministro degli esteri italiano, Antonio Tajani, sugli sviluppi della crisi che sta vivendo il nostro paese. Tajani ha espresso il suo apprezzamento per gli sforzi delle Rapid Support Forces”».
Rapporti saldi
Appare evidente, dalla cronaca di quei giorni, che le relazioni tra il nostro esecutivo e gli ex janjaweed – protagonisti della pulizia etnica in Darfur – sono salde e stabili
Due mesi prima, il 12 gennaio 2022, il colonnello Antonio Colella incontra a Khartoum Hemeti per pianificare gli aiuti dell’Italia al suo gruppo paramilitare. Previsti addestramenti a Khartoum e a El Obeid e qualche training anche in Italia.
Il motivo del “foraggiamento”? Addestrare le milizie delegate al compito di controllare i confini del paese per impedire ai migranti subsahariani di arrivare in Libia, per poi tentare l’attraversata del Mediterraneo.
La nota politica italiana (ed europea) della esternalizzazione delle frontiere.
Un compito rivendicato dallo stesso Hemeti. Dopo l’incontro con i vertici militari italiani, è apparso nella tv libica dove ha ammesso che il suo gruppo è «supportato soprattutto dagli italiani. Li ringraziamo. Potrebbero continuare con noi per altri due anni. La loro formazione ci ha molto giovato perché è specializzata nella lotta al terrorismo e migrazione clandestina»
La lettera di Spinelli e Vergiat
Preoccupazioni sui legami tra i vari governi italiani e i taglia gola sudanesi risalgono addirittura al 2016. Due europarlamentari, Barbara Spinelli e Marie-Christine Vergiat, avevano inviato una lettera aperta ai ministri degli esteri (Paolo Gentiloni) e dell’interno (Angelino Alfano) dell’allora governo Renzi, chiedendo spiegazioni su queste “alleanze sanguinarie” . E domandando anche conto di un Memorandum d’intesa con il Sudan, siglato il 3 agosto 2016 dal capo della polizia Franco Gabrielli e dal suo omologo sudanese Osman Al Hussein, che prevede una collaborazione sui migranti e le frontiere.
L’accordo, che non era mai stato discusso né ratificato dal parlamento italiano, s’inscrive nel quadro della cooperazione tra Sudan e Unione europea (Processo di Khartoum del 2014 e Fondo fiduciario dell’Ue per le migrazioni 2015).
Un chiarimento doveroso
A questo punto, considerata l’intesa tra Italia (ed Europa) e le Rsf, sarebbe stato opportuno – da parte della sottosegretaria Maria Tripodi – chiarire quale è il ruolo del nostro paese nel conflitto. Facciamo gli struzzi pigri, che tentano di occultare relazioni imbarazzanti? Oppure l’esecutivo poteva assumersi la responsabilità di chiarire quali siano oggi i rapporti con il vecchio sodale Hemeti? Ne ha preso le distanze?
Roma ha ricoperto un ruolo importante negli anni pre-conflitto: non dovrebbe essere in prima linea e profondere energie e sforzi diplomatici per tentare, assieme ad altri soggetti internazionali, di trovare una soluzione al caos sudanese?
Troppi gli interrogativi che restano sospesi. Un’occasione sprecata per dipanarli.
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