Aziende al rilancio, Starbucks ritorna alle origini

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Cambiano le abitudini dei consumatori, aumentano i costi delle materie prime tra cui il caffè e anche brand solidi come Starbucks devono rivedere le loro strategie di marketing. Mentre in Italia il gruppo di Seattle è un’insegna con il suo tratto distintivo e un’esperienza di consumo caratterizzata rispetto ai tradizionali bar e caffetterie, dagli Stati Uniti invece si procede con il nuovo piano che, non a caso, si chiama «Back to Starbucks», un ritorno al posizionamento originale per riempire nuovamente di contenuti e valori il brand. Un esempio su tutti: tornano le ricariche (refill) gratuite della tazza di caffè per ogni consumatore pagante, che sia iscritto o meno al programma fedeltà, un servizio storico dell’insegna. Né si pagheranno più sovrapprezzi per abbinare alla propria miscela un latte particolare, per esempio di origine non animale, o uno zucchero non raffinato.

La nuova filosofia del nuovo ceo

La filosofia seguita dal nuovo ceo Brian Niccol, nominato circa quattro mesi fa, è concentrarsi sul valore aggiunto del caffè della catena internazionale e passa di conseguenza da una politica di sconti per tanti a un posizionamento più da brand di fascia premium. Del resto, finora, le promozioni non sembrano aver pagato in termini economici: il programma fedeltà è riuscito a coinvolgere 34,6 milioni di iscritti attivi, un trend giudicato modesto. Allo stesso modo è già stata rivista la scelta delle cosiddette «porte aperte»: un cliente poteva entrare in uno Starbucks e rimanerci per studiare, chiacchierare, lavorare anche senza consumare. In quest’ultimo caso, anche se si trattava di un’opportunità che caratterizzava molto l’insegna, adesso non si vuole tornare più indietro.

Meno sconti alla clientela

Secondo Niccol, è tempo di concentrarsi sui clienti effettivi, soprattutto a livello di efficienza nel servizio e, per loro, su una miglior esperienza di consumo tra tazze personalizzate e tavoli più ricchi di condimenti per il consumo di cibo ma anche con una riduzione dei menu food del 30% in modo che l’offerta complessiva risulti meno caotica. A proposito di clientela non ancora fidelizzata, il nuovo ceo ha rivelato che sono aumentati le presenze e gli acquisti proprio di quest’ultima categoria di consumatori, a cui si è riusciti comunque a far sentire il desiderio di far parte della comunità dell’insegna. Quindi, a maggior ragione, il manager vuole cancellare le operazioni di breve respiro, per esempio quelle a carattere promozionale (ridotte del 40%), e punta a investire maggiormente nella comunicazione del marchio di bevande.

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Il caffè Usa in Italia

In Italia, intanto, i bar stile Usa sono arrivati sulla soglia dei 47 grazie all’ultima apertura in ordine temporale al Maximall Pompeii di Napoli. Tutti gli store sono stati inaugurati in partnership col gruppo Percassi, licenziatario esclusivo dell’insegna nella Penisola, che fa capo all’omonima famiglia bergamasca, impegnata nel retail sia con marchi propri come Kiko (cosmetica) e Vergelio (calzature) sia con altri in franchising tra cui Lego, Victoria’s Secret, Gucci e Nike.

Trimestre in chiaroscuro

Ma che sia in Italia o in qualsiasi altro mercato, il punto di partenza per Starbucks sono i ricavi fermi nel primo trimestre dell’esercizio fiscale terminato il 29 dicembre scorso. Gli acquisti nei negozi Usa contraggono dell’8%%, parzialmente compensate da un +4% dello scontrino medio (che conferma la strategia di eliminazione di sconti in generale ma non porta il segno positivo davanti all’andamento dello scontrino medio fuori dal mercato nazionale, tra l’altro con la diminuzione del 6% del secondo paese di riferimento, la Cina). Il risultato consolidato finale è di ricavi sostanzialmente stabili per quasi 9,4 miliardi di dollari (pari a 9 miliardi di euro). Il risultato operativo è pari a 1,1 miliardi di dollari (un mld di euro), giù del 24,5%, appesantito tra l’altro dai costi correnti dei negozi, da cui il riferimento al recupero di efficienza del ceo con un passato tra l’insegna food Chipotle, Taco Bell e Pizza Hut. Infine, l’utile netto scende del 23,8% a 780,8 milioni di dollari (749,4 milioni di euro).

Il valzer di nomine

L’ulteriore impulso alle caffetterie Usa non avrebbe potuto non prevedere un valzer di nomine. Esce dal gruppo quotato a New York Sara Trilling e arriva Mike Grams a capo del mercato nazionale. In uscita pure Arthur Valdez, responsabile forniture e soluzioni per i clienti (la nomina del successore è attesa) mentre entra Meredith Sandland per occuparsi di sviluppo retail.

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