«Ma la bellezza può vincere sul degrado»

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COSENZA «Ho scelto di vivere nel centro storico quando, nel 2000, ho incontrato quello che sarebbe divenuto il mio compagno di vita, che lì aveva deciso di comprare casa. Sono andata a vivere nella città vecchia nel 2001, nel pieno dell’era manciniana»: Marina Pasqua tra un po’ festeggia il primo quarto di secolo passato qui, dove peraltro è nata la figlia, oggi universitaria. Meglio di altri può perciò raccontare come si vive in questo quartiere-ossimoro, “centro” periferico, nella città bifronte, tra botteghe di fascia alta e disagio sociale, angoli di inaspettata e secolare bellezza e cumuli di rifiuti, rovine e palazzi nobiliari.
Il progetto Urban, l’attenzione alla cultura, l’amore per il centro storico rendono il ricordo di quei primi anni meraviglioso. «Accadeva di frequente che, sotto casa, vi fossero spettacoli teatrali e concerti e i finanziamenti europei lasciavano sperare che la rinascita iniziata avrebbe avuto seguito e avrebbe portato al risanamento anche delle zone più nascoste e povere». E poi? «Dopo la morte di Giacomo, la stagione della giunta di Eva Catizone sembrava proseguire quanto intrapreso dal sindaco socialista e garantista. Alla fine prematura di quella stagione politica ha fatto seguito, per il centro storico, un lungo periodo di assoluta opacità, di perdita di attenzione per i molti problemi degli abitanti della città vecchia, di centralità politico-amministrativa della città nuova e, in particolare, del suo centro e della sua isola pedonale. La stagione del sindaco architetto – dice Pasqua – non ha migliorato lo stato delle cose e la condizione dei residenti nel centro storico. Non si investiva in quanto di bello, storico, culturalmente significativo il centro storico di Cosenza rappresentava e rappresenta. Bellezza, storia, cultura che mi rendono orgogliosa – a distanza di 24 anni – della mia scelta. Scelta che rifarei e faccio ogni giorno».

L’amore dei cosentini (ma non abbastanza da viverci)

Se oggi più d’uno – in primis il vescovo Gianni Checchinato – ritiene che Cosenza vecchia si ripopolerà solo tramite agevolazioni fiscali alle giovani coppie per la prima casa, c’è stato chi ha fatto quella scelta in tempi non sospetti, e senza per così dire un “paracadute”.
«Difendo il centro storico, la mia/la nostra scelta di restare, la scelta di aver fatto crescere nostra figlia in questa parte della città che i cosentini dicono di amare ma senza, nella maggior parte dei casi, mettere lontanamente in conto che vi si possa vivere. Percepita come periferia e non come centro la città antica rimane trascurata e non adeguatamente valorizzata».
E oggi? «Vi sono progetti, cantieri, lavori, frutto dell’investimento di risorse che tornano a far sperare noi che abbiamo scelto di vivere qui in una rinascita del nostro amato centro storico.
Restano i disagi e gli immensi problemi di questa parte della città di Cosenza: complessa mobilità, dissesto idrogeologico, zone di ghettizzazione socio-economica con un’ampia fetta della popolazione che vive in condizione di autentica povertà. E poi la chiusura, nel corso di questi 24 anni, dell’edicola, del fruttivendolo, dell’ufficio postale, della banca… le avventure spesso infelici delle attività commerciali che qui hanno aperto la loro sede».
In una recente intervista al Corriere della Calabria, anche il vescovo lamentava l’assenza di un generi alimentari nel principale asse viario del centro storico. Eppure – ragiona Marina Pasqua – non si può non tener conto della «felicità» che sono in grado di regalare la Biblioteca Nazionale, il caffè Renzelli, il teatro Rendano, la rinata Casa delle Culture, Palazzo Arnone, Villa Rendano. Ed ancora il liceo Classico, il caffè Telesio, «Maria Caputo e le sue polpette, il negozio vintage di Argia Morcavallo e Laura Cipparrone» e «la resistenza di antichi artigiani». Né si può dimenticare «l’immensa importanza della farmacia di corso Telesio, indispensabile per gli abitanti – spesso anziani – del centro storico. Aggiungerei che tra le cose per cui il centro storico merita vi si resti ci sono i suoi gatti: sono Lice, Romeo, Timidino, Macchia, Musino, Matilde, Serao, Red e altri occasionali “a-mici” con immensa gioia. Sono i gatti di piazzetta Toscano». Come dire che i piccoli segnali di bellezza fanno da contraltare a barriere architettoniche, inciviltà e scarso senso civico, «ma comunque ne è valsa e ne vale la pena».

Resistenza, restanza e “stortanza

Nel suo show-room di via Liceo il gemmologo Giuseppe Elettivo ha appena festeggiato il secondo mese di attività qui, dopo vent’anni a Rose con il suo laboratorio: l’eclettica artista della ceramica Rosario Gomiz nella sua boutique Osacuca aperta poco prima di Natale, e Federico Mazzei (ex Shiva) sono altri due nomi della gioielleria che proprio in questa fetta di centro storico si fa distretto come un tempo era quello della seta (a piazza dei Fòllari o dei Cuculli), dei “pignatari” (alla Massa) e delle altre professioni di cui resta traccia nella toponomastica.

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Mazzei accoglie i clienti con il solito sorriso larghissimo che sa di curva e viaggi per il mondo («Fatemi assessore – esordisce – e in sei mesi ve lo rivoluziono io il centro storico!») e segnala da un lato che questo è il posto più bello della città e soprattutto si vive una dimensione di umanità che nei quartieri del centro non si trova, dall’altro alcune anomalie incredibili come la fontana della piazza Piccola rimasta senz’acqua proprio dopo il restyling, o i cumuli di immondizia di cui fornisce puntuale corredo fotografico. Eppure l’agenda nella sua bottega-museo registra le presenze con firme da Nuova Zelanda, Argentina, Sudafrica; allo stesso modo Umile Trausi, altrettanto longevo commerciante del corso, segnala le visite incessanti di sudamericani spesso in cerca delle proprie radici. Qualche portale a nord c’è la sede di Civica Amica APS, che si batte per far rinascere la Biblioteca Civica una volta che i lavori di riqualificazione saranno ultimati. Segnali di attivismo culturale dal basso, lo stesso coltivato dalla vicina Radio Ciroma, da oltre vent’anni con sede alle spalle del Duomo, e più di recente dal cineteatro Universal.

Resilienza? Forse è piuttosto resistenza, o «restanza» dice – a proposito di radici – l’ex residente Domenico Gimigliano citando Vito Teti mentredegusta un caffè nella saletta rossa del mitico “Renzelli” di piazza Parrasio. «La mia è stortanza» sorride Monica Florio, che col suo Panestorto ha aggiunto un tassello gourmand al filone gastronomico del quartiere, dove peraltro segnala la “terza vita” del Beat Music Club dopo le due gestioni avvicendatesi nei trent’anni di vita che cadono proprio in questo 2025. L’ultima insegna in materia è Voltasio Tartufi, brand che a Cosenza significa pizza di qualità.
Con aziende storiche come il Lanificio Leo (che proprio in questa zona ha un punto vendita, ndr), Amarelli, Rubbettino, Callipo e Librandi – questa l’idea di Florio per far ripartire la città vecchia come centro propulsore di economia – si potrebbe organizzare un evento all’ex (sillaba che dice già tutto, purtroppo) Museo delle Arti e dei Mestieri, altra sfida persa (per ora) ma contenitore perfetto da riempire 12 mesi l’anno in uno dei palazzi più imponenti tra quelli che affacciano su corso Telesio.

La profumeria di piazza Duomo sta per abbassare la saracinesca

Non ha resistito, invece, e infatti a giorni abbasserà per sempre la serranda l’elegantissima profumeria di piazza Duomo dove insistono attività longeve come il ristorante tipico Calabria Bella e la galleria d’arte Il Graffio di Giuseppe Filosa o, accanto alla cattedrale, la già citata bottega di arte sacra Trausi.
Al netto delle insegne storiche, il fenomeno delle nuove aperture è legato ad affitti ben più accessibili rispetto al centro città: si va in media dai 150 ai 200 euro per un locale di dimensioni adatte a un negozio di vendita senza laboratorio annesso. Tra i commercianti, però, una volta appurata la sostenibilità dell’impresa, resta il dubbio: e ora come facciamo a portare la gente qui?

Tra speranza e disperazione

Via Padolisi è lo stradone degli imponenti palazzi nobiliari dove ai piani bassi vivevano le famiglie proletarie le cui figlie andavano “a servizio” ai piani alti e non di rado sposavano i rampolli della borghesia cosentina, come raccontò in un bel quadretto Totonno Chiappetta (“Il quartiere”) e come oggi conferma Demetrio Guzzardi, editore che nel maestoso Palazzo Orsomarsi – dove nel secolo scorso passarono Michele Bianchi e Gennaro Cassiani, ai tempi del liceo – ha ricavato un quarto di secolo fa il suo buen retiro tra volumi e pezzi d’arte, con l’idea di farne un luogo di fruizione artistica con sculture e installazioni.
Il calzolaio di terza generazione Giuseppe Salvati (figlio di Antonio e omonimo del nonno che aprì su corso Telesio nel 1958 dopo trent’anni di mestiere a Serra Pedace) suggerisce di trasferire nel centro storico alcuni uffici comunali per creare il movimento ma, in generale, gli stessi commercianti si dividono tra favorevoli e contrari ad una eventuale pedonalizzazione del Corso.
Primi segnali per sperare: i turisti di passaggio lungo tutto l’anno – pochi ma costanti, e puntualmente in vena di fare acquisti non solo di souvenir – come può raccontare la guida William Gatto e confermare il trend in continua crescita di B&b, formula mordi e fuggi che si aggiunge alle sistemazioni luxury come la Dimora Storica di Palazzo Grisolia (via Giostra Vecchia) o la Dimora De Matera (salita Liceo) gestita da Giacomo Mancini.

Soliti segnali per disperare: la spazzatura – nei giorni scorsi proprio a via Padolisi è stata segnalata una discarica, poi bonificata ma difficilmente per sempre, che definire “mini” è forse riduttivo – e la mancanza di navette dal centro città. Non l’unica esigenza, dopo che tanto il pubblico – con gli uffici – quanto i privati – su tutti la sede Unipegaso – hanno “smontato le tende”.

L’architetto che 40 anni fa ha preferito Cosenza a Napoli

Chiudiamo ammirando la dolente maestosità del centro storico da una finestra dello stesso appartamento da cui eravamo partiti, con Piero Cuini: «Ho frequentato Cosenza per la prima volta nel 1985 per lavoro e mi sono stabilito da un amico per qualche mese nel 1987 nella città nuova. L’unica parte di Cosenza che però mi suscitava emozione era “Cosenza vecchia”. Un amico mi ha mostrato la casa in cui vivo da allora. Era, come purtroppo gran parte del centro storico, in pessime condizioni ma ne ho immaginato subito le potenzialità, per le competenze legate al mio lavoro di architetto. E così approfittando delle facilitazioni che Mancini sindaco aveva introdotto, ne ho fatto la mia casa da allora con grandi disagi ma tante soddisfazioni. Il degrado sociale che mi circondava non mi spaventava. avendo vissuto a Napoli per 30 anni… Nell’era manciniana avevo creduto che la vecchia città potesse diventare pian piano un vero centro storico, il cuore di Cosenza. Oggi sono disilluso perché le politiche dal dopo Mancini ad oggi hanno completamente trascurato questa parte privilegiando le zone a valle. Ho visto sparire nei 37 anni che abito qui l’ufficio postale, la banca, e tante piccole realtà commerciali che si erano create. Oggi resistono alcune attività, stoicamente, innamorate anche loro di questo luogo».
Come se ne esce? «Penso che l’unica possibilità di farlo rivivere sarebbe stata portarvi gli abitanti, creare infrastrutture per renderlo possibile. Su questo tema nessuna amministrazione ha fatto realmente qualcosa. Anche Mancini aveva scommesso che portando attività, la gente oltre che venirvi la sera a divertirsi nei bellissimi locali che erano stati creati avrebbe indotto i cosentini ad amarla e sceglierla per vivervi. Moltissimi dei cosentini che ho conosciuto parlano nostalgicamente delle famiglie d’origine che vi vivevano, ma mai tornerebbero a viverci. Forse non amano abbastanza il loro centro storico da sopportare qualche disagio che può comportare e le amministrazioni non hanno investito per risolvere i problemi logistici del sito. Io ora sono stanco del degrado che mi circonda e non credo più che potrà cambiare. Peccato».
Parafrasando quanto scritto qui da Paride Leporace («Più di una commemorazione negata, è il Planetario il vero oltraggio a quello che ha insegnato a tutti Franco Piperno»), tornando a valle col naso all’insù e riflettendo sulle testimonianze raccolte viene da pensare che forse, più che una statua ricollocata, sia proprio questo stato eternamente “sospeso” del centro storico il vero oltraggio a Giacomo Mancini, trent’anni dopo la (sperata) rinascita. (e.furia@corrierecal.it)

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