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Dietro le «bocche cucite» al Colle, il silenzio attento di Mattarella
II toni meno roboanti del giorno dopo sono un tassello della strategia di Giorgia Meloni. E forse anche la conseguenza di qualche contatto, che nessuno ufficialmente conferma, tra Palazzo Chigi e il Quirinale. Dal Colle più alto di Roma nulla trapela, se non il messaggio che «le bocche sono cucite». Ma non è difficile immaginare che dietro la consegna del più assoluto riserbo si avverta la preoccupazione di Sergio Mattarella per lo scontro sempre più aspro tra governo e magistratura: l’esatto contrario degli appelli alla pacificazione e al rispetto istituzionale che sono alla base della quotidiana moral suasion del capo dello Stato, che oggi sarà alla Scuola superiore della magistratura di Firenze.
Martedì, con un video confezionato per i social, Meloni ha annunciato di essere indagata per favoreggiamento e peculato, ha strattonato il pm Francesco Lo Voi e ha detto di non avere paura: «Non sono ricattabile». Ieri, ancora furibonda, la premier è passata dal contrattacco (frontale) alla costruzione della linea difensiva. Ha presieduto un vertice a Palazzo Chigi e ha messo le carte bollate del caso Almasri nelle mani della numero uno degli avvocati in politica, Giulia Bongiorno. La quale, come prima mossa, le ha consigliato didi tacere, o almeno di ricalibrare gli accenti.
Fonti di governo hanno spiegato che la scelta della premier di nominare come legale la presidente della commissione Giustizia di Palazzo Madama per difendere se stessa, i ministri Piantedosi e Nordio e il sottosegretario Mantovano, è un «segnale di compattezza» dell’esecutivo. La scelta di Bongiorno ha avuto il via libera dei vicepremier Salvini e Tajani e serve anche a far apparire la squadra «unita come una falange» davanti alle «toghe rosse» di berlusconiana memoria, che poi tanto rosse non sono visto che Lo Voi ha fama di moderato. Ma per Giorgia Meloni la nomina di Bongiorno, stimata giurista e sua amica personale, è anche una dichiarazione di forza, quasi una dichiarazione di guerra contro quella parte della magistratura che lei giudica «politicizzata e ideologicamente schierata contro di me».
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Bongiorno non è solo l’avvocata che ha salvato in primo grado il segretario della Lega nel processo Open Arms perché «il fatto non sussiste», è anche la senatrice che il 22 gennaio nell’Aula di Palazzo Madama ha strappato ovazioni a destra con una durissima arringa contro la protesta delle toghe e in difesa della separazione delle carriere.
Raccontano dal suo staff che per la premier quella di ieri è stata una «giornata normalissima di lavoro sui dossier», ma certo l’avviso l’ha amareggiata e scossa. E l’ha convinta ancor più che un pezzo dell’apparato dello Stato remi contro di lei nel tentativo di bloccare l’onda riformista del governo. Con quest’animo per nulla disteso e la determinazione a «tirare dritta», la premier si è messa al lavoro per costruire la strategia in vista della decisione, entro 90 giorni, del Tribunale dei ministri. A Palazzo Chigi si confida nell’archiviazione, ma per ragioni anche politiche e di comunicazione si tesse con cura la tela difensiva. Due sono i pilastri — sicurezza e interesse nazionale — che secondo la premier e i ministri indagati avrebbero spinto il governo a rimpatriare su un volo di Stato il comandante libico Osama Almasri, accusato di omicidi, stupri e torture.
Cancellata l’informativa di Piantedosi e Nordio, le opposizioni vogliono che sia la premier a riferire in Parlamento, a fugare le tante ombre, a spiegare il clamoroso rilascio di Almasri che ha provocato la reazione della Corte penale internazionale e a rettificare le inesattezze giuridiche (e politiche) del video di martedì: l’avvocato Luigi Li Gotti, che ha denunciato la premier e contro il quale lei si scaglia nel breve filmato, non è «vicino a Prodi», bensì ha militato a lungo nell’Msi e in An.
Al vertice Tajani ha provato a convincere la premier e i colleghi: «Penso sia opportuno che qualcuno di noi vada in Parlamento a rispondere alle opposizioni». Parole che avrebbero innescato qualche tensione, poi smentita da Forza Italia. Comunque Meloni non pare intenzionata a presentarsi in Aula, né lo faranno per diversi giorni ancora Piantedosi e Nordio. Il ministro della Giustizia, che ieri ha riferito al Copasir, è descritto dai colleghi di FdI «quasi in assetto di guerra», per la voglia che ha di legare il suo nome alla riforma (sempre più blindata) della separazione delle carriere.
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