«Perdono Rosa, quando ho capito tutto ho cercato di proteggere Sofia»

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la confessione

Intervista a Repubblica del marito della donna indagata per il rapimento della neonata di Cosenza

Pubblicato il: 29/01/2025 – 15:28

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ROMA «Sono un essere umano e perdonerò Rosa, non sono il diavolo. Forse un giorno andrò a trovarla in carcere e chiederò a lei di dirmi perché mi ha fatto questo». E’ quanto dichiarato in un’intervista a Repubblica Moses Chiediebere Omogo, marito di Rosa Vespa, la donna che è in carcere per avere rapito il 21 gennaio la neonata Sofia Cavoto dalla clinica Sacro Cuore di Cosenza. È stato scarcerato quattro giorni fa perché il tribunale ha creduto alla sua innocenza. In carcere «ero incredulo, sapevo solo che non c’entravo nulla con quel sequestro e pensavo a come difendermi. La mia paura era che non mi avrebbero creduto», prosegue. La coppia un figlio lo desiderava da anni, ma non arrivava. «Non avevo notato che» Rosa «soffrisse particolarmente per questo. Adottare un bambino per noi era troppo difficile». Poi la gravidanza della donna che però era una messa in scena, ma Moses non ha notato nulla di strano. «A maggio, quando mi ha comunicato che sarei diventato papà, sono dovuto andare in Nigeria perché mia madre era morta – racconta – Quando sono tornato, a fine agosto, non ho sospettato niente perché la sua pancia era cresciuta di più. La vedevo, la toccavo. Poi c’erano le ecografie, mi raccontava cosa le diceva il dottore, leggevo gli esami». Dopo la messa in scena sulla nascita del figlio, l’arrivo in ospedale e il rapimento di Sofia, che è stata portata direttamente ad una festa con i parenti, interrotta dall’arrivo delle forze dell’ordine. «Non ci credevo. Prima mi sono messo a ridere, poi ho pensato che la clinica avesse diffuso quelle immagini perché avevano visto un uomo di colore e avevano creduto che avessi rapito una bambina – dice Moses – Il solito razzismo, insomma». Ma poi Rosa ha confessato. «E anche in quel momento ho pensato che stesse facendo una battuta. Quando ha insistito dicendo che era la responsabile di tutto, i parenti si sono innervositi. Ho pensato subito a quella bambina, che era appena nata – conclude – l’ho presa tra le braccia e ho cercato di proteggerla. Pochi secondi dopo la polizia era dentro casa nostra e mi sono ritrovato in carcere». 

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