Aziende familiari: “In Abruzzo ancora troppi pochi under 40”

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ABRUZZO. C’è ancora una strada molto lunga e tortuosa da percorrere, anche in Abruzzo, per vedere un significativo cambio generazionale alla guida delle imprese familiari. Un limite dovuto alle difficoltà che derivano dal peso di una formazione diversa, ma anche da pregiudizi duri a morire. E’ il dato che emerge da un sondaggio realizzato da CNA Giovani Imprenditori Abruzzo sulle “generazioni in azienda” con un campione di 116 imprese del nostro territorio: è stato presentato questa mattina a Pescara nel corso di una conferenza stampa cui ha preso parte anche un ospite d’eccezione: il professor Alfredo De Massis, Ordinario di Imprenditorialità e Family Business Management all’Università d’Annunzio di Chieti-Pescara, considerato come il massimo esperto della materia nel campo del family business; il direttore regionale di CNA Abruzzo, Silvio Calice, la presidente e il coordinatore di  Cna Giovani Imprenditori Abruzzo, Daniela Giangreco Marco Tuci.

«Il campione intervistato nell’indagine – ha illustrato Tuci – appartiene alla categoria delle aziende abruzzesi a conduzione familiare, i cosiddetti “family business”. L’età – tre su quattro sono uomini – è così suddivisa: 42% tra i 40 e i 50 anni; 21% tra i 30 e i 40 e per il 17% sotto i 30. Quanto alle dimensioni, il campione appartiene per il 57% a imprese con meno di dieci dipendenti; per il 9% tra i dieci e i venti; per il 34% ha più di venti dipendenti. E di questi quasi la metà è di seconda generazione, mentre meno di un terzo lo è di prima». Secondo De Massis, in Abruzzo potrebbe essere questo il momento più propizio per avviare un importante ricambio generazionale: «Le imprese sono in sofferenza, è vero, ci sono più fattori negativi: ma forse potrebbe essere davvero il momento buono per avviare un profondo processo di rinnovamento» ha spiegato, sottolineando come troppo spesso questi processi «avvengano sotto la spinta di fattori traumatici, non in modo naturale o preparato. Come ad esempio per la morte improvvisa del titolare: così la nuova generazione non è pronta ad affrontare la sfida». A rendere le cose difficili concorrono poi anche altri fattori, decisamente più immateriali: «Dobbiamo tener conto che spesso ci sono ostacoli anche di natura psicologica: quella che io chiamo la “sindrome da clone di me stesso”, per cui il titolare pensa che o sei come lui o non sei capace di fare; ma poi anche di mancanza di volontà nel distaccarsi dall’attività di una vita in cui ci si è identificati. Infine, problemi legati alle motivazioni nei giovani: magari le hai, ma non hai le competenze; oppure le competenze le hai, ma non hai motivazioni».

«Presentando questo studio – ha detto la presidente di CNA Giovani Imprenditori Abruzzo, Daniela Giangreco – abbiamo scelto di metterci in rete tra noi, di dare voce a chi sta dentro le aziende e vive in prima persona il problema del ricambio. Siamo molto attivi su questo fronte, abbiamo dato vita a un Next Lab, un laboratorio di idee, che ci porta a una crescente condivisione tra giovani imprenditori di queste tematiche». Il passaggio generazionale chiama inevitabilmente in causa anche i possibili incentivi per favorire questi processi, soprattutto sotto forma di incentivi pubblici. E qui, per stare al senso delle parole del direttore regionale di CNA Abruzzo, Silvio Calice, “or incomincian le dolenti note a farmisi sentire”:   «Questo tema del ricambio ci sta molto a cuore, anche per la natura del mondo che rappresentiamo: le piccole e micro imprese sono quasi tutte di natura familiare, e questa loro natura va anche oltre il semplice fattore occupazionale, perché riguarda e investe temi delicati come la coesione sociale.   In Abruzzo dal 2009 abbiamo una specifica legge dedicata all’artigianato, ma non è mai stata applicata: il passaggio generazionale, che è parte di processi più generali di trasmissione d’impresa, non ha nessuna forma di aiuto o incentivo: potrebbe essere l’occasione , una riflessione come questa, per aiutare questi processi. E noi lo proporremo».

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Tornando ai numeri dell’indagine, l’età media dei ruoli di vertice ricoperti in azienda la dice lunga sulla consistenza del problema: perché poco più del 5% ha un’età compresa tra i venti e i trent’anni; poco più del 10% tra i trenta e i quaranta, mentre tutt’altre cifre può vantare la fascia compresa tra i quaranta e i cinquant’anni (il 25%). Ma soprattutto gli ultracinquantenni, che viaggiano ben al di sopra del 40%, ricoprendo ruoli di direzione, nel coordinamento delle persone, nell’amministrazione e in altre funzioni operative.

E se al problema del passaggio generazionale sette su dieci “ci hanno pensato”, sei su dieci si dà una risposta negativa: no, non è il momento, perché sarebbe prematuro, il resto della famiglia non è pronto o non è interessato. Alla base, dunque, una sfida tra generazioni che si sintetizza nella differenza di visione, nello scontro tra innovazione e tradizione, nell’assenza di giovani nei ruoli-chiave. E che bene spiega anche il percorso seguito per la formazione: con l’apprendistato saldamente al comando primo posto, con gli studi universitari ben dietro, mentre formazione di settore, esperienza esterna e corsi specifici (il cosiddetto coaching) veleggiano nelle retrovie. Quanto al “sistema di valori”, fiducia e rispetto superano largamente la metà delle opinioni degli intervistati, superando ascolto e coerenza.  



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