l’economia dei tecnocrati corre verso un altro ’29

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Oggi 2.769 persone detengono oltre 15.000 miliardi di dollari: 71 risiedono in Italia. Musk da solo possiede 330 miliardi, rispetto a una media di 5 miliardi per super-ricco. Nell’ultimo anno la ricchezza è cresciuta a un ritmo medio di 5,7 miliardi al giorno, servirebbe oltre un secolo per eliminare la povertà estrema nel mondo. Cosa rende preoccupante la prossima crisi? I cosiddetti Minsky Moment e la «ponzificazione dell’economia». Questa tecnocrazia finanziaria può causare danni enormi

E se la concentrazione di ricchezza, potere e tecnologia fosse ormai eccessiva persino per il capitalismo stesso, sia esso finanziario o economico-industriale? Se i ricchi fossero diventati troppo ricchi per garantire la sostenibilità dell’attuale economia mondiale?

Gli Stati Uniti, con il nuovo governo, rivendicano il ruolo di guida nella storia, ma la storia spesso presenta il conto attraverso paradossi. Chi si trova all’apice della ricchezza e del potere fatica a riconoscerli. Oggi, 2.769 miliardari detengono oltre 15.000 miliardi di dollari; 71 di loro risiedono in Italia. Il solo Elon Musk possiede 330 miliardi, rispetto a una media di 5 miliardi per super ricco.

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Nell’ultimo anno, questa ricchezza è cresciuta a un ritmo medio di 5,7 miliardi di dollari al giorno (Rapporto Oxfam 2025). All’opposto, servirebbe oltre un secolo per eliminare la povertà estrema nel mondo. Questi numeri ridefiniscono i concetti di ricchezza e povertà e soprattutto non colgono il pericolo insito nella loro crescente polarizzazione.

Soprassedendo sul profilo etico sollevato da questi dati, si potrebbe almeno porre una domanda: il capitalismo può sopportare qualsiasi velocità di accumulazione della ricchezza e polarizzazione del reddito? Per un ristretto gruppo di economisti – che conoscono gli onori della ribalta solo nei momenti di crisi, ottenendo riconoscimenti spesso tardivi o postumi – la risposta è un netto no. La storia passata e la contabilità del presente lo dimostrano con implacabile chiarezza.

Fra questi autori, Minsky ha sempre insistito sulla natura endogena e inevitabilmente instabile del capitalismo, attribuendo la ricorrenza e l’intensità delle crisi economiche all’accumulo di contraddizioni sistemiche nelle fasi di espansione. Il capitalismo appare al tempo stesso feroce nella capacità di dissolvere equilibri e irriducibile nella capacità di rigenerarsi senza mai dissolversi completamente. Il fulcro di questa ambivalenza risiede nella tensione tra la componente reale dell’economia (materiale, presente e oggettiva) e quella finanziaria (immateriale, intertemporale e basata sulle aspettative).

È proprio questa dimensione finanziaria, costruita su aspirazioni e proiezioni future, a generare dinamiche che la realtà economica non sempre è in grado di convalidare, innescando così crisi ricorrenti. Ma, se le crisi sono una costante del sistema, che cosa rende particolarmente preoccupante quella che potrebbe arrivare?

La risposta sta nella portata delle dissipazioni che ne deriveranno, una gravità che la storia dovrebbe ormai aver insegnato a riconoscere attraverso alcuni segnali premonitori. Fra questi spiccano quelli che dal 2008 portano a identificare i cosiddetti “Minsky moment” e l’Economist aveva alternativamente indicato come «ponzificazione dell’economia»: polarizzazione estrema della ricchezza, predominanza della finanza sull’economia reale, dipendenza dal debito e prevalenza della speculazione a breve sul lungo termine.

A titolo esemplificativo, l’indice azionario statunitense (US500) è passato dai 1.468 punti del 2000 (piena bolla delle dot-com) ai 6.130 di gennaio 2025. Un’impennata che nulla ha a che vedere con l’inflazione legata ai beni e servizi, bensì con la speculazione sui titoli finanziari, scollegata dall’andamento dell’economia reale.

In questo scenario di apparenti fuochi d’artificio si inserisce Donald Trump, con il suo mantra “Make America great again” (MAGA). Ma i ricchi americani possono davvero diventare ancora più ricchi e potenti? MAGA sembra più un’illusione che un progetto sostenibile: un moderno schema Ponzi, su vasta scala, basato sull’immissione costante di nuova liquidità per sostenere obbligazioni e debiti esistenti, sostenuto da capitale sterile e pertanto destinato a collassare.

Il rischio emerge nel crescente peso delle criptovalute, viste come strumenti per rilanciare l’economia. Il capitale ha ormai creato il proprio codice giuridico (Pistor, 2019), emancipandosi persino dal codice etico informale di Adam Smith.

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La prossima crisi potrebbe essere devastante. Questa tecnocrazia finanziaria può causare danni enormi, ma difficilmente cambierà la struttura della società. Forse il capitale sta davvero correndo incontro al suo Ponzi moment. Non lo diciamo per lanciare profezie, ma per capire quanto sia fragile il sistema. E se la prossima crisi fosse peggiore di quella del 1929?

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