«Le elezioni comunali genovesi avranno tanta visibilità, ma peso politico relativo: sarà l’unico voto in una grande città dell’anno, ma cade in una fase in cui i temi nazionali sono e saranno, per forza di cose, altri».
La inquadra così, l’analista politico Lorenzo Pregliasco, direttore di YouTrend , la corsa elettorale alle porte a Genova. E così, più o meno indirettamente, spiega anche le difficoltà delle coalizioni attese sulla scheda a definire le candidature.
Nel centrodestra, dove si attende il coordinamento nazionale tra i partiti di governo per l’investitura di Pietro Piciocchi, come nel centrosinistra, dove lo stallo sulla candidatura a sindaco risente anche delle “disattenzioni” delle segreterie romane, per prima quella del Pd.
Dove a tenere banco, oltre al caso Almasri e i rapporti tra le anime del partito, è il dibattito sulla “proposta Franceschini” di revisione dell’alleanza progressista affidata a Repubblica dall’ex ministro dem.
Si tratta di commentare un’intervista, non una decisione di partito, ma cosa può muovere la proposta Franceschini?
«Dipende da che lettura se ne vuole dare. A livello tecnico, per come tratteggia una modifica della legge, prevedendo Pd e alleati si presentino divisi nella quota proporzionale e in accordo sui collegi uninominali, è semplice: la legge attuale non lo consente, e lo stesso Franceschini lo sa. A livello più politico, la questione è più sottile. Andare in coalizione, ma senza chiamarla tale, vuol dire esporsi alle critiche di chi contesta l’ampiezza del campo, e allo stesso tempo di chi fa notare come, con tutti i limiti, il centrodestra una coalizione è in grado di metterla insieme».
A chi serve, allora, questa discussione, quando ci sarebbero altre decisioni da prendere?
«Avrà il pregio di fare chiarezza. Quantomeno perché la proposta fa capire che ad oggi non c’è un candidato premier. Il che nel campo largo è insieme un problema in meno, ma pure la certificazione che non esiste al momento una figura chiaramente riconosciuta da mettere sul tavolo della scelta, né un metodo possibile di scelta. E il messaggio rischia di diventare un punto di debolezza, in una campagna elettorale: è che dire che non si vuole davvero governare insieme».
E che riflessi avrà, sui territori?
«Il punto è che soprattutto sui territori questo schema di alleanza non puoi eluderlo. Amministrative o Regionali che siano, lo schema alla base dell’alleanza progressista non può essere nascosta. Vanno condivisi i programmi e i candidati. Nel passato recente lo snodo critico è stato proprio questo, in fondo: non si è riusciti a fare sintesi sul nome dei possibili candidati. Succede a sinistra come nel centrodestra, anche se pare tendenzialmente più favorito nel fare una sintesi da proporre agli elettori».
Quello di Genova potrebbe finire per essere il voto più importante del 2025. La tornata d’autunno slitterà al 2026, e lo stesso rischia di fare quella regionale. Questo pensa possa renderla più importante, politicamente parlando, o meno?
«Si parla di elezioni locali, importanti per il territorio, cittadini e singole città, e come tali vanno esaminate. Il fatto che questa Comunali andranno in scena in solitaria, rendendo impossibile definire un vero trend, penso finirà per depotenziarne l’effetto politico e renderà meno potente la lettura post voto. Però avranno sicuramente una luce dei riflettori maggiore che se si fosse votato a fine naturale del mandato, come è stato per le Regionali».
Cosa rappresentano, secondo lei, i 18mila voti in più presi dal centrosinistra a Genova alle Regionali? Un vantaggio? Una tendenza?
«Si parla di due campionati diversi, per corpo elettorale, ragioni del voto, implicazioni politiche. Più che farne un elemento di tendenza, dobbiamo pensare che l’anomalia all’ordinario sono state le vittorie del centrodestra degli ultimi anni, in una regione come la Liguria, più che un possibile ritorno alla vittoria del centrosinistra. Genova è ancora città di centrosinistra, ha votato più a sinistra sia alle Politiche, sia alle Europee, sia alle stesse Regionali. E in più il centrosinistra è favorito nelle grandi città, elemento strutturale fortissimo del voto italiano».
Nonostante tutto, comprese le lungaggini del centrosinistra, ancora senza un candidato sindaco?
«Il fattore tempo, in questi casi, conta fino a un certo punto. In astratto si, prima si decide e si presenta il candidato, meglio è. Partire all’ultimo rende più difficile far aumentare la popolarità del candidato, o segnare l’agenda politica del dibattito della città. Ma non sempre valgono le regole della meccanica politica, anzi. Ci sono stati molti casi in cui il troppo tempo a disposizione non ha aiutato più di tanto. Anche perché, nei voti locali, contano persone e tematiche».
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