Rapporto Movimprese, quanto incidono le politiche di coesione per il Sud?

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per le imprese

 



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Benevento è una città in
crescita o almeno questo è ciò che suggeriscono i numerosi cantieri e cartelli
di lavori in corso disseminati nel centro.

Certo, non si tratta dei cantieri
della Dubai a cavallo tra gli anni ‘90 e 2000, il preludio di una crescita
esponenziale e fulminea che ha determinato la città che conosciamo oggi.
Tuttavia, possiamo – anzi dobbiamo – essere moderatamente ottimisti o almeno
vedere qualcosa di beneaugurante per il futuro.

Purtroppo, un po’ meno
beneaugurante è l’ultimo rapporto di Movimprese che denuncia una vera e propria
crisi nel settore dell’imprenditoria.

Stando ai dati, nel 2024 ci
sono state 1.304 iscrizioni di nuove imprese alla Camera di Commercio a fronte
di 1.465 cessazioni con un saldo negativo di -161 imprese e un tasso crescita
di -0,5%, il più basso di tutta la Campania.

Ad Avellino, invece, si
registrano 1.927 nuove iscrizioni e 1.920 cessazioni con un tasso di crescita dello
0,1%.

Sebbene superiore a quello
del Sannio, il dato rimane comunque inferiore sia al tasso di crescita della
provincia di Napoli, che con l’1,6% si posiziona al vertice regionale, sia alla
media regionale pari all’1%.

Non è opportuno ricordare le
peculiarità storiche, politiche e culturali che differenziano la nostra
provincia dalle altre ma è un nostro dovere prendere atto di questi dati
spaventosi che interessano il nostro territorio e quello circostante.

Ovviamente, nel momento in
cui assistiamo a questo tipo di decrescite sarebbe facile imputare le colpe
all’amministrazione locale, regionale o nazionale, non considerando che la
mancata crescita nella nostra provincia è frutto di processi più ampi e complessi.

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Ma è proprio in virtù di
questi processi che sarebbe lecito chiedersi l’impatto e l’efficacia delle
politiche regionali, nazionali o europee indirizzate alla crescita del
Mezzogiorno.

Uno dei dipartimenti della
Presidenza al Consiglio dei Ministri è infatti proprio indirizzato alla
pianificazione e attuazione di politiche di coesione rivolte per lo più al
Mezzogiorno, storicamente povero di un tessuto economico forte e di
infrastrutture.

Si tratta del “Dipartimento
per le politiche di coesione e delle politiche per il Sud”.

Numerose sono le risorse e
gli investimenti di risorse nazionali o europee indirizzate anche al nostro
territorio come il famoso Resto al Sud, volto a incentivare le imprese
giovanili industriali, artigianali e agricole; la Clausola 40% che impone alle
Amministrazioni centrali coinvolte nell’attuazione del PNRR di destinare almeno
il 40% delle risorse allocabili territorialmente alle regioni del Mezzogiorno; il
Fondo di sostegno ai Comuni marginali, rivolto ai comuni più interessati al
fenomeno dello spopolamento oppure le Assunzioni per la politica di coesione, un
concorso pubblico volto all’assunzione di 2200 unità non dirigenziali.

La maggior parte di queste
misure, senza dubbio potenzialmente interessanti per porre le basi a un
possibile sviluppo delle province dell’entroterra, sono ancora in corso e
ancora non possiamo valutare a pieno la loro efficacia.

Tuttavia, Resto al Sud è una
misura che esiste a partire dal 2017 che ad oggi ha finanziato circa 18 mila
progetti di under 56, 821 milioni di agevolazioni concesse e creato 61mila
posti di lavoro.

Nel 2023 la Campania con più
di 7mila aziende finanziate, risultava essere la regione più beneficiata.

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Tra queste, inoltre, il
settore turistico occupa ad oggi circa la metà delle imprese, seguito dalle
attività manufatturiere e i servizi alla persona.

A fronte di questi dati che
evidenziano la centralità del problema del Sud nelle politiche nazionali – o
“Questione meridionale”, per usare un’espressione arcaica ma tuttora
rappresentativa di una questione ancora attuale – è lecito chiedersi se queste
misure riescano effettivamente a produrre un impatto significativo, se in
realtà siano inefficaci oppure se sia necessario un miglioramento qualitativo
di esse.

Ma in molti casi non è il
numero dei servizi a determinare la soddisfazione del bisogno ma è la qualità e
quindi non sarebbe inopportuno interrogarsi sulle modalità di attuazione di
queste politiche nonché chiedersi se si fa abbastanza per arginare la crisi che
perennemente affligge il Meridione.

Ciò non vuol dire che occorre
innestare uno sviluppo forzato, finanziando indistintamente migliaia e migliaia
di progetti senza controllo in regioni dove mancano in primis le condizioni di
sviluppo ma significa migliorare uno strumento già funzionante.

Un maggiore studio sugli
obiettivi dei progetti da finanziare, una selezione più attenta alle imprese in
termini di innovazione e benefici, uno sguardo più acuto al futuro possono
realmente migliorare l’efficacia di strumenti già esistenti e quindi tentare
almeno un rallentamento significativo alla decrescita di Benevento, della
nostra provincia, del nostro territorio.

ANDREA ALBANESE

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