Dopo Trump, Meloni ha fatto l’irresponsabile scelta di aprire un conflitto tra i poteri dello Stato. I calcoli politicisti non servono, serve mobilitare la democrazia militante
È ormai chiaro che la politica mondiale sta assistendo attonita a un mutamento d’epoca che prendendo le mosse dagli Usa rischia di dilagare in tutto il nostro continente. Eppure le forze che dovrebbero presentarsi alternative al governo della destra hanno improvvisato un dibattito su se sia meglio presentarsi uniti o se sia preferibile marciare divisi e colpire uniti.
Al di là delle singole proposte e delle manovre in corso, ciò che colpisce di più è che si continua a ragionare come se nulla di nuovo fosse accaduto e ci trovassimo in una situazione del tutto normale. La fredda ingegneria politicista in corso sembra non accorgersi che sul pianeta si sta abbattendo un terrificante ciclone che muove contro tutte le regole della democrazia. Nell’occhio del ciclone si è presentata la cavalcata trionfale delle misure assunte da Donald Trump.
Che, in campo interno, certificano il divorzio della nuova plutocrazia con lo Stato di diritto, e, in campo internazionale, il disprezzo verso tutte le istituzioni internazionali, guidate da una visione dove le regole e le leggi sono sostituite dalla forza, cioè dai rapporti di forza tra le tre grandi potenze imperiali, ormai accomunate dal comune disprezzo per gli istituti democratici.
Una tenaglia che rischia di travolgere per sempre l’idea stessa di Europa. Lo stesso spettacolo è entrato in scena in Italia, dove la democrazia sta per essere messa sotto scacco dall’irresponsabile decisione della presidente del Consiglio di aprire un conflitto insanabile tra i poteri dello stato.
Ci si accorge o no che la vittoria di Trump ha messo in campo una formidabile potenza di fuoco e una grande capacità di mobilitazione collegata a una narrazione cinica e bugiarda, volta, comunque, a fornire fallaci speranze alle paure e ai disagi? Ci si accorge che dinanzi a questa potenza di fuoco occorrerebbe mettere in campo una contrapposta potenza di fuoco e una contrapposta narrazione che non continui a percorrere gli stessi sentieri del passato e che sia capace di scaldare gli animi e di suscitare mobilitazione? Sembra di no.
Perché si sospetterebbe che non si mobilitano le coscienze, non si sveglia il “voto in sonno” dell’astensionismo se si dibatte astrattamente se “si vince uniti” o se “si marcia divisi”. È del tutto evidente che le coscienze si risvegliano dal loro torpore solo con un atto emblematico che segnala con il “fatto” la gravità del momento.
Quell’atto è la proclamata intenzionalità unitaria di tutta la democrazia militante, operante nei partiti e fuori dai partiti. E ciò perché in queste temperie si vince uniti solo se si riesce a ritrovare il legame sentimentale con i cittadini sul tema centrale della difesa e della ricostruzione della democrazia per gli interessi concreti delle persone, ancor prima della definizione dei singoli accordi tematici e dei compromessi necessari per stilare il programma di governo.
Solo attraverso un atto immediato e clamoroso di unità e di concordia dinanzi allo tsunami che si sta abbattendo sulle democrazie si può far comprendere, attraverso la semplicità del linguaggio che promana dalla testimonianza, che siamo tutti veramente in pericolo. La staticità dei sondaggi fanno capire che i cittadini non hanno ancora avvertito la gravità del momento.
Ma come possono capirlo se ai vertici della politica dominano ancora vecchie ruggini, nuove gelosie e inconfessati interessi di posizionamento? Tuttavia l’unità ha bisogno, che non solo le sinistre ma tutte le forze autenticamente democratiche, sappiano indagare sulle cause del consenso che si è rivolto a destra, per attrezzarsi a rispondere in forme unitarie.
Ma, aggiungerei, con l’avvertenza che l’autocritica sappia essere costruttiva e anch’essa unitaria, dal momento che è del tutto evidente che nessuna delle diverse sinistre, da quelle più accese a quelle più moderate, è riuscita a intercettare il voto popolare che volgeva a destra.
In sostanza, invece di continuare a fare i galletti nello stesso ristretto pollaio, occorrerebbe dare ai cittadini almeno la sensazione che si sa guardare oltre le siepi del piccolo mondo antico, per andare incontro a tutti i drammi di un mondo insieme nuovo e inquietante. Ai grandi drammi epocali che attraversano il Pianeta: dai disastri ambientali a quelli delle guerre, dalle migrazioni bibliche alla voragine della diseguaglianza su scalamondiale per giungere all’inedito tema del controllo democratico del cyberspazio e dell’intelligenza artificiale.
Tutto ciò richiede una narrazione che vada oltre i pur nobili e necessari accordi su singole rivendicazioni. L’alternativa ha bisogno di un comun sentire e di un nuovo linguaggio contrapposto a quello dell’imperante cattivismo.
Come laico e non credente mi sento di additare come esempio la semplicità e il coraggio con cui la vescova Marianne Budde ha invocato il Dio buono davanti a un terreo Trump che si era appena incoronato “uomo della Provvidenza”: il Dio della pietas e dell’inclusione contrapposto al presunto Dio del terrore e della discriminazione, officiato da uomini depravati e corrotti.
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