A. Di Domenico | Applicazione della detenzione domiciliare sostitutiva in altro Stato dell’Unione Europea | Sistema Penale

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GUP Siena, sent. 6 giugno 2024, Giud. Caravelli

1. Con la sentenza in commento, il Tribunale di Siena si è pronunciato in merito alla possibilità di applicare la detenzione domiciliare sostitutiva (art. 56 l. n. 689/1981) in altro paese dell’Unione, facendo rientrare la pena sostitutiva nell’ambito applicativo della decisione quadro 2008/947/GAI[1]. La pronuncia rappresenta una preziosa occasione per soffermarsi sulle caratteristiche dell’istituto, introdotto nel nostro ordinamento dalla riforma Cartabia[2], e per confrontarsi con la nozione di “sanzione sostitutiva” individuata, a livello europeo, della decisione quadro 2008/947/GAI. Tale confronto condurrà – si anticipa – ad alcuni rilievi critici sulle conclusioni raggiunte dalla sentenza in esame, evidenziando dei profili di discrasia tra la definizione e le peculiarità delle nuove “pene sostitutive” introdotte nel nostro ordinamento e le “sanzioni sostitutive” descritte all’art. 4 della decisione quadro 2008/947/GAI.

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2. Pare però opportuno, anzitutto, ripercorrere brevemente i fatti e la vicenda processuale da cui trae origine la sentenza.

In particolare, all’imputato veniva contestato il delitto di cui all’art. 589-bis, comma 8, c.p., per aver provocato, con violazione degli artt. 142, comma 8 e 141, comma 2, C.d.S., la morte di due persone e lesioni ad ulteriori soggetti dalle quali derivava una malattia di durata superiore a quaranta giorni.

A seguito della richiesta di rinvio a giudizio dell’imputato, veniva fissata l’udienza preliminare, nel corso della quale le parti avanzavano richiesta congiunta di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 e ss. c.p.p. Nello specifico, le parti chiedevano concordemente, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e considerati l’aumento ex art. 589-bis c.p. e la riduzione prevista per il rito premiale, l’applicazione della pena finale di tre anni e sei mesi di reclusione. L’accordo includeva inoltre la sostituzione della pena detentiva con la detenzione domiciliare sostitutiva, da eseguirsi all’estero e precisamente in Francia, a Nantes, dove l’imputato viveva stabilmente insieme al suo nucleo familiare.

 

3. In primo luogo, il giudice considerava la pena detentiva domandata «correttamente determinata e adeguata alle finalità di cui all’art. 27 co. III Cost.», esprimendosi dunque positivamente sulla qualificazione giuridica del fatto e sull’applicazione e comparazione delle circostanze operata dalle parti. Il giudice procedeva inoltre ad applicare la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, ai sensi dell’art. 222, comma 2, d.lgs. n, 285/1992, e le pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici e dell’interdizione legale per la medesima durata della pena principale.

Ma come si anticipava, l’accordo delle parti riguardava anche la specie della pena da applicare, e più precisamente la sostituzione della pena detentiva con la detenzione domiciliare sostitutiva (art. 56 l. n. 689/1981).

A tal proposito, il giudice ravvisava l’insussistenza di ostacoli formali con riferimento all’entità della pena da sostituire, alla luce dell’accordo raggiunto dalle parti sul punto, e procedeva poi alle opportune valutazioni in merito alla possibilità di eseguire la pena sostitutiva all’estero, che rappresentano i profili di maggiore interesse della sentenza.

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4. In premessa, il giudice dava evidenza del fatto che l’imputato disponesse di un’abitazione anche in Italia, dove peraltro conservava la residenza anagrafica; tuttavia, osservava che un’eventuale esecuzione in altro Stato dell’Unione Europea non si ponesse in contrasto con l’art. 56 l. n. 689/1981, secondo il quale «la detenzione domiciliare sostitutiva comporta l’obbligo di rimanere nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico o privato di cura, assistenza o accoglienza ovvero in comunità o in case famiglie protette, per non meno di dodici ore al giorno, avuto riguardo a comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro e di salute del condannato», ed ancora «il luogo di esecuzione della pena deve assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato e non può essere un immobile occupato abusivamente».

Si procedeva così, ai sensi dell’art. 58 l. n. 689/1981, alle valutazioni sull’idoneità della pena sostitutiva alla rieducazione del condannato e alla prevenzione del rischio di recidiva, nonché alle previsioni circa l’adempimento delle prescrizioni.

In particolare, il giudice riteneva che nel caso di specie non vi fossero esigenze peculiari quali il pericolo di commissione di altri reati, o la necessità di tutela della persona offesa ai sensi dell’art. 56: nello specifico, si osservava che l’imputato non svolgesse più la professione di autista, e si fosse trasferito a Nantes per svolgere attività lavorativa come operaio nel settore edilizio. Non sussistevano inoltre motivi per ritenere che le prescrizioni non sarebbero state adempiute dal condannato, «soggetto incensurato», come evidenziato dal giudice.

Con riferimento al luogo di esecuzione della pena sostitutiva, si osservava che alla richiesta di applicazione della pena fosse stata allegata documentazione attestante l’ospitalità offerta dal fratello dell’imputato nella città francese: ciò portava il giudice a concludere che l’imputato disponesse a Nantes di una «stabile dimora». Si evidenziava inoltre che l’imputato si fosse trasferito in Francia insieme al suo nucleo familiare costituito dai figli minorenni, che frequentavano la scuola proprio a Nantes. In conclusione, «considerata in particolare la presenza di tre figli minori d’età e le concrete necessità lavorative dell’imputato», il giudice concordava con le parti in merito all’idoneità della detenzione domiciliare alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato, «consentendo a quest’ultimo di non recidere i rapporti con il mondo del lavoro e con la famiglia».

 

5. Una volta individuata nella città di Nantes il luogo più idoneo per l’esecuzione della pena sostitutiva, in considerazione delle esigenze lavorative e familiari del condannato, il giudice affrontava più nello specifico la questione relativa alla fattibilità dell’esecuzione in altro Stato dell’Unione Europea.

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A tal proposito, nella sentenza si rammenta che con la decisione quadro 2008/947/GAI, il legislatore europeo è intervenuto al fine di coordinare anche i casi in cui una “sanzione sostitutiva” venga applicata in un Paese e poi eseguita in un altro. Lo scopo perseguito, come ricordato nella pronuncia, è quello di «rafforzare la possibilità del reinserimento sociale della persona condannata, consentendole di mantenere fra l’altro i legami familiari, linguistici e culturali, ma anche di migliorare il controllo del rispetto delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive allo scopo di impedire la recidiva, tenendo così in debita considerazione la protezione delle vittime e del pubblico in generale»[3]. Il legislatore italiano aveva conformato il diritto interno a tale decisione attraverso il d.lgs. n. 38/2016, il cui oggetto era costituito, tra gli altri, dalla “sanzione sostitutiva”, che veniva definita come «una sanzione, diversa dalla pena detentiva e da una misura restrittiva della libertà personale o dalla pena pecuniaria, che impone obblighi e impartisce prescrizioni» (art. 2 lett. e).

Nella pronuncia in esame, la “detenzione domiciliare sostitutiva” viene ricondotta alla categoria delle “sanzioni sostitutive” di cui all’art. 2 lett. e) d.lgs. n. 38/2016, consentendone in tal modo l’esecuzione in altro Stato dell’Unione Europea.

Sul punto, in particolare, il giudice dava evidenza dell’interpretazione estensiva ormai adottata dalla giurisprudenza di merito e di legittimità con riferimento alla riconducibilità delle nostre “misure alternative alla detenzione” alle “sanzioni sostitutive” indicate all’art. 2 d.lgs. n. 38/2016: a titolo esemplificativo, si menzionava la sentenza n. 20977/2020 della I Sezione della Corte di Cassazione, secondo cui «a seguito dell’entrata in vigore del d.vo n. 38/2016, sia consentita l’ammissione dell’affidamento in prova al servizio sociale, anche quando l’esecuzione della misura debba svolgersi in Stato estero membro dell’Unione Europea, dove il condannato abbia residenza legale ed abituale, in conformità a quanto disposto dal menzionato decreto legislativo»[4].

Successivamente, «alla luce dell’evidente analogia dei casi», il giudice dava menzione della decisione quadro 2009/829/GAI[5], relativa all’applicazione tra gli Stati membri dell’Unione europea del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni sulle “misure alternative alla detenzione cautelare”, e del d.lgs. n. 36/2016 che recepiva la decisione, ravvisando come la giurisprudenza italiana avesse ricondotto alla figura delle “misure alternative alla detenzione cautelare” (art. 8 della decisione quadro 2009/829/GAI) la misura cautelare degli arresti domiciliari[6].

Alla luce di tali precedenti giurisprudenziali, il giudice sostituiva la pena detentiva con la detenzione domiciliare sostitutiva, da doversi eseguire presso l’abitazione di residenza o la stabile dimora del condannato (e dunque presso l’abitazione del fratello a Nantes), formulando infine le opportune prescrizioni e gli ulteriori obblighi da imporre all’imputato.

 

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6. La complessa questione giuridica al vaglio del Tribunale di Siena, come già anticipato, riguardava la possibilità di ricondurre la “detenzione domiciliare sostitutiva” alla categoria delle “sanzioni sostitutive” di cui agli artt. 2 e 4 della decisione quadro 2008/947/GAI e all’art. 2 del d.lgs. n. 38/2016. La conclusione raggiunta dal giudice, sebbene condivisibile nel suo intento di assicurare il reinserimento sociale del condannato, presenta alcuni profili di criticità, che di seguito verranno evidenziati.

 

6.1. Andando con ordine, pare anzitutto necessario richiamare, in questa sede, la definizione di “sanzione sostitutiva” così come descritta dalla decisione quadro 2008/947/GAI del Consiglio, ripresa poi dal d.lgs. n. 38/2016.

In particolare, ai sensi dell’art. 2 della decisione quadro, per “sanzione sostitutiva” si intende «una sanzione, diversa da una pena detentiva, da una misura restrittiva della libertà personale o da una pena pecuniaria, che impone un obbligo o impartisce un’istruzione». Più nello specifico, all’art. 4 della decisione quadro si procede ad enucleare diverse tipologie di sanzioni sostitutive, con un elenco che si presenta come di seguito: «a) obbligo della persona condannata di comunicare ogni cambiamento di residenza o di posto di lavoro a una determinata autorità; b) divieto di frequentare determinate località, posti o zone definite dello Stato di emissione o dello Stato di esecuzione; c) obbligo contenente restrizioni del diritto di lasciare il territorio dello Stato di esecuzione; d) istruzioni riguardanti il comportamento, la residenza, l’istruzione e la formazione, le attività ricreative o contenenti limitazioni o modalità di esercizio di un’attività professionale; e) obbligo di presentarsi nelle ore fissate presso una determinata autorità; f) obbligo di evitare contatti con determinate persone; g) obbligo di evitare contatti con determinati oggetti che sono stati usati o che potrebbero essere usati dalla persona condannata a fini di reato; h) obbligo di risarcire finanziariamente i danni causati dal reato; i) obbligo di svolgere un lavoro o una prestazione socialmente utile; j) obbligo di cooperare con un addetto alla sorveglianza della persona o con un rappresentante di un servizio sociale responsabile riguardo alle persone condannate; k) obbligo di assoggettarsi a trattamento terapeutico o di disintossicazione».

Dalla lettura dell’elenco di cui all’art. 4, emergono due principali considerazioni.

La prima: la decisione quadro fornisce una nozione di “sanzione sostitutiva” molto ampia[7]. Occorre quindi andare oltre il dato letterale, per verificare se effettivamente gli istituti previsti dal nostro diritto interno nell’ambito delle “pene sostitutive” e delle “misure alternative alla detenzione”, alla luce delle loro caratteristiche, possano assimilarsi alle misure di cui all’art. 4 e dunque rientrare nell’ambito applicativo della decisione quadro.

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Una seconda e diversa considerazione emerge esaminando le caratteristiche delle misure indicate dall’art. 4: di fatto, nell’elenco non si prevedono misure restrittive della libertà personale. E più nello specifico, in alcun modo si fa riferimento a misure che impartiscono l’obbligo di permanere presso la propria abitazione.

 

6.2. Avendo richiamato la nozione e le caratteristiche delle “sanzioni sostitutive” previste dalla decisione quadro, possiamo ora cercare di comprendere se la nostra “detenzione domiciliare sostitutiva” possa assimilarsi a tale figura.

In particolare, nel modellare l’istituto della “detenzione domiciliare sostitutiva”, il legislatore della riforma ha chiaramente preso ispirazione dall’omologa misura alternativa alla detenzione di cui all’art. 47-ter o.p., distaccandosene tuttavia per alcuni aspetti[8]. In particolare, l’art. 56 l. n. 689/1981 prevede l’obbligo di rimanere nella propria abitazione (o nei luoghi ad essa assimilabili individuati dalla norma) per non meno di dodici ore al giorno, tenendo conto delle esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro o di salute del condannato. Il condannato può inoltre lasciare il domicilio per almeno quattro ore al giorno, anche non continuative, per provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita e di salute. La misura alternativa alla detenzione prevede invece che l’allontanamento dal domicilio avvenga solo per un tempo strettamente necessario alle indispensabili esigenza di vita o per l’esercizio di attività lavorative.

La nuova pena sostitutiva introdotta comporta, di conseguenza, una minore compressione della libertà personale rispetto alla misura alternativa alla detenzione. A tal proposito, in dottrina è stato evidenziato come la detenzione domiciliare sostitutiva sia «più simile ad un affidamento in prova di quanto suggerisca il nome»[9]. Prevedendo un limite minimo di permanenza nel proprio domicilio di dodici ore, con la possibilità di utilizzare tutto il resto della giornata per attività da svolgersi all’esterno, tale pena sostitutiva presenta un alto contenuto risocializzante.

Tuttavia, pure alla luce delle attività risocializzanti che possono essere determinate dal giudice, la detenzione domiciliare sostitutiva rimane una pena che comporta la privazione della libertà personale, richiedendo al reo di trascorrere una parte della giornata in stato di detenzione. A tal proposito, vale la pena evidenziare un altro aspetto della disciplina della detenzione domiciliare sostitutiva: ai sensi dell’art. 72 della l. n. 689/1981, chi si allontana per più di dodici ore, senza giustificato motivo, dai luoghi indicati dall’art. 56, potrà incorrere nel reato di evasione.

 

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6.3. Alla luce delle considerazioni finora esposte, non pare del tutto convincente l’assimilazione della detenzione domiciliare sostitutiva alla figura della “sanzione sostitutiva” prevista dall’art. 2 della decisione quadro, intesa come sanzione «diversa da una pena detentiva, da una misura restrittiva della libertà personale o da una pena pecuniaria, che impone un obbligo o impartisce un’istruzione». L’alto contenuto risocializzante della detenzione domiciliare sostitutiva non pare infatti bastevole per negare il suo carattere segregativo, che dunque allontana tale nuovo istituto dalla definizione e dall’elenco delle “sanzioni sostitutive” di cui all’art. 4 della decisione quadro.

Eppure, sono queste le conclusioni raggiunte dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Siena nella decisione in commento: sul punto, il giudice ha ritenuto opportuno valorizzare l’interpretazione estensiva recentemente adottata dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, richiamando a titolo esemplificativo la sentenza n. 20977/2020 della Prima Sezione della Corte di Cassazione e l’ordinanza 8 maggio 2024 del Tribunale del Riesame di Torino.

Ma anche il richiamo a tali recenti arresti giurisprudenziali desta alcune perplessità, come si vedrà meglio di seguito.

 

6.3.1. Il giudice richiama anzitutto la sentenza n. 20977/2020 della Corte di Cassazione, secondo cui l’affidamento in prova al servizio sociale, pur non collocandosi nel nostro ordinamento come “sanzione sostitutiva” ma come “misura alternativa alla detenzione”, deve ricondursi alla definizione di “sanzione sostitutiva” individuata nella decisione quadro, essendo una sanzione che, sostanzialmente, «impone un obbligo o impartisce un’istruzione». In tal modo, si intende dimostrare come alla definizione contenuta nella decisione quadro debba essere conferita una portata ampia, che prescinde dalla denominazione degli istituti previsti dal diritto interno[10].

Eppure, proprio prescindendo dal dato letterale, e mettendo a confronto i due istituti dell’affidamento in prova al servizio sociale e della detenzione domiciliare sostitutiva, pare evidente che il primo risulti essere molto più in linea con la nozione di “sanzione sostitutiva” indicata all’art. 2 della decisione quadro di quanto non lo sia il secondo.

L’affidamento in prova ha un contenuto afflittivo che si realizza proprio nell’imposizione di obblighi e prescrizioni: si tratta quindi di limitazioni della libertà personale (luogo di dimora, libertà di locomozione, lavoro, frequentazione di locali pubblici e persone, attività di riparazione in favore della vittima, assistenza familiare)[11], che possono facilmente ricondursi all’elenco di cui all’art. 4 della decisione quadro 2008/947/GAI. Non può dirsi altrettanto per la detenzione domiciliare sostitutiva, che comporta principalmente l’obbligo di permanere presso la propria abitazione almeno dodici ore. Seguendo questo ragionamento, l’assimilazione della detenzione domiciliare sostitutiva alla figura della “sanzione sostitutiva” di cui all’art. 2 della decisione quadro potrebbe quindi rivelarsi forzata.

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Nell’ambito delle misure alternative alla detenzione, sarebbe invece stato più opportuno dare evidenza dell’orientamento giurisprudenziale formatosi sull’applicazione dell’istituto della detenzione domiciliare ex art. 47-ter o.p. all’estero, istituto – come si è sopra anticipato – sulla base del quale il legislatore ha modellato la detenzione domiciliare sostitutiva. A tal proposito, la giurisprudenza ha ritenuto che la detenzione domiciliare non fosse riconducibile alla categoria delle “sanzioni sostitutive” previste dalla decisione quadro, proprio perché «non fa cessare lo stato detentivo del condannato»[12].

 

6.3.2. La pronuncia in commento richiama poi la recente ordinanza 8 maggio 2024 del Tribunale del Riesame di Torino, che riconduce la misura degli arresti domiciliari alla figura delle “misure alternative alla detenzione cautelare” prevista dalla decisione quadro 2009/829/GAI, in tal modo ammettendo la possibilità di eseguire tale misura cautelare in uno Stato dell’Unione diverso da quello che ha emesso la relativa ordinanza.

Nella decisione in esame si fa riferimento ad un’«evidente analogia dei casi» nel fare richiamo alla decisione quadro 2009/829/GAI. Eppure, vale la pena notare che nell’elenco dei tipi di misure alternative alla detenzione cautelari descritte dall’art. 8 della decisione quadro 2009/829/GAI, diversamente da quanto si prevede all’art. 4 della decisione quadro 2008/947/GAI, si individua – alla lettera c) – l’«obbligo di rimanere in un luogo determinato, eventualmente in ore stabilite».

Tale differenza non pare di poco conto. Di fatto, è proprio all’obbligo di cui all’art. 8 lett. c) della decisione quadro 2009/829/GAI che viene ricondotto l’istituto domestico degli arresti domiciliari, in tal modo consentendone l’esecuzione all’estero.

Tra l’altro, è bene riportare che su tale questione non sono mancate opinioni contrastanti in giurisprudenza[13], che hanno evidenziato come l’obbligo di cui all’art. 8 lett. c) della decisione quadro facesse in realtà riferimento alla misura cautelare dell’obbligo di dimora, che meglio si attaglia al concetto di “luogo”, e non a quella degli arresti domiciliari, che valorizza invece il concetto di “abitazione”. Secondo tale orientamento più restrittivo, l’elenco delle misure cautelari di cui all’art. 8 comprende solo misure non detentive[14], e la misura degli arresti domiciliari risulta “eccentrica” rispetto alle ulteriori tipologie di misure cautelari previste dalla decisione quadro[15]. La questione ha dato vita ad un contrasto giurisprudenziale ad oggi irrisolto, e per cui la stessa giurisprudenza non ha mancato di invocare un intervento delle Sezioni Unite[16].

Ma anche volendo abbracciare, in questa sede, l’indirizzo maggiormente estensivo, l’assenza di qualsiasi riferimento ad un «obbligo di rimanere in un luogo determinato, eventualmente in ore stabilite» nell’elenco di cui all’art. 4 della decisione quadro 2008/947/GAI rappresenta, a nostro modesto avviso, un limite invalicabile. Di fatto, diviene così problematico (ed anche in questo caso, forzato) trasporre i principi affermati dalla giurisprudenza con riferimento alle “misure alternative alla detenzione cautelare” nel diverso ambito delle “sanzioni sostitutive” disciplinato dalla decisione quadro 2008/947/GAI.

Peraltro, l’assenza di tale obbligo nell’elenco di cui all’art. 8 pare non potersi considerare una lacuna da colmare, ma una precisa scelta del legislatore, che riconduce così le misure che comportano l’obbligo di permanere nella propria abitazione, quale la detenzione domiciliare sostitutiva, nell’ambito delle «misure privative della libertà personale»[17] per cui troverà applicazione la diversa decisione quadro 2008/909/GAI[18]. Nello specifico, all’art. 1 lett. b) di quest’ultima decisione quadro si definisce “pena” «qualsiasi pena detentiva o misura privativa della libertà personale, di durata limitata o illimitata, irrogata a causa di un reato in seguito ad un procedimento penale». La detenzione domiciliare sostitutiva, al di là del dato letterale ed in particolare del termine “sostitutiva” che caratterizza la denominazione di tale istituto, risulta essere maggiormente in linea con quest’ultima definizione. Si ritiene dunque che, nel caso di specie, il giudice avrebbe dovuto più correttamente ricondurre la detenzione domiciliare sostitutiva nell’ambito applicativo della decisione quadro 2008/909/GAI (attuata nel nostro ordinamento con il d.lgs. n. 161/2010), consentendone in questo modo l’esecuzione in Francia. Si sarebbero quindi poi dovute seguire le scansioni procedimentali previste dal d.lgs. n. 161/2010, che disciplinano la trasmissione della sentenza di condanna pronunciata in Italia verso altro Stato membro dell’Unione Europea (e nello specifico, verso lo Stato membro in cui la persona condannata vive, ai sensi dell’art. 5, comma 3, lett. a) d.lgs. n. 161/2010), e non la procedura prevista dal d.lgs. n. 38/2016.

Nello specifico, per l’esecuzione della detenzione domiciliare sostitutiva a Nantes, si doveva anzitutto far riferimento all’art. 5 del d.lgs. n. 161/2010, che detta specifiche condizioni per la trasmissione della sentenza di condanna all’estero (da disporre all’atto di esecuzione ovvero, quando l’ordine è già stato eseguito, in un qualsiasi momento successivo)[19], e poi seguire il procedimento indicato all’art. 6, che prevede, prima di procedere alla trasmissione all’estero, una consultazione dell’autorità giudiziaria italiana con l’autorità competente dello Stato membro di esecuzione, ai fini del riconoscimento e dell’esecuzione della pronuncia[20].

 

7. Andando oltre i passaggi della pronuncia in esame appena esaminati, che come si è visto si aprono ad alcune riflessioni critiche, ci sembra che debba essere invece valorizzato ed accolto con favore un ulteriore e diverso approdo raggiunto dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Siena.

Finora la giurisprudenza si è principalmente confrontata con casi in cui il reo richiedente l’esecuzione della sanzione sostitutiva all’estero disponeva di un domicilio idoneo solo in un altro Stato dell’Unione Europea (e non in Italia); a tal proposito, a titolo esemplificativo, è stato evidenziato che «il giudice non può negare una misura alternativa alla detenzione carceraria, compresa quella degli arresti domiciliari, sul mero presupposto dell’assenza di un indirizzo di esecuzione sul territorio nazionale, perché la disponibilità di un indirizzo presso altro stato dell’Unione, in cui l’interessato sia radicato, equivale alla disponibilità di un indirizzo in Italia»[21].

È interessante notare che nella vicenda in esame l’imputato aveva invece mantenuto la residenza legale in Italia, e di fatto nella richiesta di applicazione della pena sostitutiva all’estero produceva documentazione attestante la disponibilità del fratello di ospitarlo nella sua abitazione a Nantes. Ciononostante, il giudice non ha ritenuto che vi fossero ostacoli per l’esecuzione della detenzione domiciliare sostitutiva in Francia, valorizzando il fatto che l’imputato si fosse ormai trasferito lì insieme al suo nucleo familiare (costituito da figli minori di età), ed avesse lì iniziato una nuova attività lavorativa.

Tale decisione mostra una particolare attenzione del giudice verso la necessità di assicurare al reo, attraverso l’esecuzione della pena sostitutiva, il reinserimento in una comunità di cui effettivamente faceva ormai parte all’estero, non rischiando così di compromettere la finalità rieducativa. L’esecuzione della pena in Italia avrebbe significato l’allontanamento del reo dalla propria famiglia, e la ricerca di un nuovo impiego, e si sarebbe posta in antitesi con le finalità risocializzanti proprie della nuova categoria sanzionatoria introdotta dalla riforma Cartabia[22].

 

8. In conclusione, la pronuncia in epigrafe ci lascia alcuni spunti di riflessione sulla nuova “detenzione domiciliare sostitutiva” ex art. 56 l. n. 689/1981 e sulle sue caratteristiche: è proprio la «duplice anima»[23] della pena sostitutiva in esame a far emergere dubbi sulla sua riconducibilità all’art. 4 della decisione 2008/947/GAI. Da un lato, siamo al cospetto di una pena sostitutiva che trae ispirazione dalla detenzione domiciliare ex art. 47-ter o.p., e che come quest’ultima comporta la privazione della libertà personale del reo (sebbene l’esecuzione nel domicilio, naturalmente, mitighi fortemente l’afflittività della pena rispetto all’esecuzione presso un istituto carcerario[24]). Dall’altra, il limite minimo di dodici ore individuato dal legislatore (che ben potrebbe coincidere con l’orario notturno[25]) e la possibilità di trascorrere il resto della giornata all’esterno (che la diversifica molto rispetto all’analoga misura alternativa alla detenzione), rende piuttosto sfumati i confini con l’affidamento in prova, e la rende una pena-programma con un forte contenuto risocializzante. Il bilanciamento tra questi due aspetti, quello afflittivo e quello risocializzante, e dunque tra il tempo da trascorrere in detenzione e quello da trascorrere in libertà, spetta al giudice e alla sua discrezionalità: ciò rende la detenzione domiciliare sostitutiva una pena dal contenuto molto flessibile, che può cambiare forma a seconda delle esigenze del caso concreto, e alla luce del percorso rieducativo che dovrà intraprendere il reo[26].

Ritornando alla decisione quadro 2008/947/GAI, non può negarsi che la detenzione domiciliare sostitutiva, anche alla luce delle finalità risocializzanti da raggiungersi attraverso attività da svolgersi all’esterno, possa astrattamente definirsi come una “sanzione che impone obblighi e impartisce prescrizioni». Ma andando più nello specifico, l’anima afflittiva della pena sostitutiva in esame, che la rende una misura “para-detentiva”[27], la conduce a scostarsi dalla definizione di “sanzione sostitutiva” individuata a livello europeo e dall’elenco di cui all’art. 4 della decisione quadro.

Ciò conduce a notare, più in generale, una discrasia tra la categoria delle “sanzioni sostitutive” individuata a livello europeo (che non comprende pene detentive) e la categoria delle nuove “pene sostitutive” introdotta nel nostro ordinamento (che comprende anche pene che impongono la restrizione della libertà personale del reo[28], e che risulta per questo motivo non sovrapponibile alla prima). Discrasia sulla quale si auspica possa confrontarsi più direttamente, in occasioni future, la giurisprudenza.

 

 

 

[1] Si fa riferimento alla decisione quadro 2008/947/GAI del Consiglio del 27 novembre 2008 relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze e alle decisioni di sospensione condizionale in vista della sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive, attuata nell’ordinamento interno dal d.lgs 38/2016.

[2] In particolare, il legislatore della riforma Cartabia ha sospinto via dall’ordinamento la categoria delle “sanzioni sostitutive” (di cui rimane come unica superstite la “pena pecuniaria sostitutiva”), ed ha introdotto le nuove “pene sostitutive” (tra cui la “detenzione domiciliare sostitutiva”), che chiaramente anticipano all’esito del giudizio di cognizione le alternative alla pena carceraria.

[3] V. il considerando 8 della decisione quadro.

[4] Cass. sez. I., 15 giugno 2020, n. 20977, Arrighi, in C.E.D. Cass., n. 279338.

[5] Decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio del 23 ottobre 2009 sull’applicazione tra gli Stati membri dell’Unione europea del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare.

[6] Tribunale di Torino, Sezione del Riesame, 8 maggio 2024, in DeJure.

[7] In tal senso si è espressa anche la giurisprudenza; cfr., in particolare, Cass., sez. I., 15 giugno 2020, n. 20977, Arrighi, in C.E.D. Cass., n. 279338) in cui «si osserva che il D.Lgs. n. 38 del 2016 definisce l’ambito della disciplina dettata utilizzando termini che richiamano istituti (sentenza, sospensione condizionale della pena, sanzione sostitutiva, liberazione condizionale) disciplinati dall’ordinamento interno, ma dando ad essi un significato più ampio».

[8] Sul punto, cfr. Corte cost., 11 aprile 2024, n. 84, pres. Barbera, rel. Viganò, in Cass. pen., 10/2024, p. 3056, secondo cui la disciplina della detenzione domiciliare sostitutiva contenuta nel d.lgs. 150/2022 è rispettosa dei criteri dettati dalla legge delega (in particolare, la Corte valorizza la presenza della clausola «in quanto compatibile» nella legge-delega, che «indica che il Governo non fosse affatto tenuto, nell’ottica del legislatore delegante, a riprodurre pedissequamente la disciplina della misura alternativa parimenti denominata “detenzione domiciliare”, ma che avesse il potere di operare tutte le modifiche necessarie affinché quella disciplina, calibrata sulla fase esecutiva della pena, potesse essere adattata alla fisionomia di una pena sostitutiva da applicare già con la sentenza di condanna, e dunque già in fase di cognizione»).

[10] Le stesse conclusioni venivano raggiunte in Cass. sez. I, 25 maggio 2020, n. 16942, Mancinelli, in C.E.D. Cass., 279144, secondo cui «l’affidamento in prova, quale misura alternativa alla detenzione, deve ritenersi assimilabile, al di là del dato letterale, a una “sanzione sostitutiva” come descritta dal D.Lgs. n. 38 del 2016, art. 2, lett. e) che impone obblighi e impartisce prescrizioni compatibili con quelli elencati nel successivo art. 4».

[11] Tali obblighi e limitazioni vengono in tal modo ribaditi in Cass., sez. I., 15 giugno 2020, n. 20977, Arrighi, in C.E.D. Cass., n. 279338.

[12] Così Cass., sez. I, 4 marzo 2022, n. 20771, Ursillo, in C.E.D. Cass., n. 283366, in cui si evidenzia che «la detenzione domiciliare, quale delineata dal diritto interno, non è così partecipe del denominatore comune delle misure previste dal D.Lgs. n. 38 del 2016, art. 4, caratterizzate dal fatto di svolgersi nella comunità esterna, ove il condannato è collocato con margini più o meno estesi di libertà». Tale rigido orientamento viene richiamato in Cass., sez. I, 3 luglio 2024, n. 40143, in DeJure; Cass., sez. I, 19 dicembre 2023, n. 6752, in DeJure.

[13] Sul punto, si ravvisano infatti in giurisprudenza due opposti orientamenti: secondo l’orientamento più restrittivo (Cass., sez. VI, 19 dicembre 2023, n. 2764, in DeJure; Cass., sez. III, 29 aprile 2021, n. 26010, Syksi, in C.E.D. Cass., n. 281937), l’art. 8 lett. c) della decisione quadro 2008/829/GAI, riferendosi all’“obbligo di rimanere in un luogo determinato, eventualmente in ore stabilite”, fa in realtà riferimento alla misura cautelare dell’obbligo di dimora; inoltre, l’art. 284, comma 5, c.p.p. equipara la misura cautelare degli arresti domiciliari alla misura cautelare custodiale; infine, accogliendo tale interpretazione, si consente una piena complementarità tra la disciplina sul mandato di arresto e quella in tema di riconoscimento delle misure cautelari da eseguirsi all’estero, evitando indebite sovrapposizioni. Secondo l’orientamento estensivo, accolto dall’ordinanza del Tribunale di Torino richiamata nella pronuncia in commento (ma condiviso anche da Cass., sez. I, 3 febbraio 2022, n. 8864, Pocev, in C.E.D. Cass., 282756;  Cass., sez. IV, 15 settembre 2021, n. 37739, Garcia Encarnacion, in C.E.D. Cass., n. 281950), il dato letterale della disposizione normativa dell’art. 4 lett. c) del d.lgs. n. 36 del 2016 non è inequivocabilmente nel senso di escludere dal suo ambito di applicazione la misura cautelare degli arresti domiciliari. Il concetto di “luogo” utilizzato è, infatti, volutamente amplio tanto da essere dalla legge utilizzato, non solo per gli obblighi non detentivi di cui all’art. 283 c.p.p. (divieto e obbligo di dimora), ma anche per la misura di cui all’art. 284 c.p.p. Tale orientamento fa leva su una interpretazione estensiva dell’espressione “misure alternative alla detenzione cautelare” utilizzata dalla decisione quadro 2009/829/GAI, alla luce degli obiettivi da essa perseguiti, ed in particolare di quello espresso nel Considerando n. 5, evidenziando come tale interpretazione soddisfi l’esigenza di evitare una discriminazione basata sulla residenza che si realizzerebbe, invece, ove si ritenesse che non sia mai possibile disporre la misura degli arresti domiciliari nei confronti del residente in uno Stato diverso dell’Unione, privo di indirizzo sul territorio italiano, trattandosi di “detenzione cautelare”.

[14] Cass., sez. III, 29 aprile 2021, n. 26010, Syksi, in Cass., C.E.D., n. 281937: «il d.lgs. n. 36 del 2016, art. 4, si riferisce chiaramente ed esclusivamente alle misure cautelari non detentive».

[15] Così Cass., sez. VI, 19 dicembre 2023, n. 2764, in DeJure, dove si evidenzia che: «anche a voler valorizzare una interpretazione sistematica della normativa, appare evidente che la misura degli arresti domiciliari risulterebbe eccentrica rispetto alle restanti misure cautelari sicuramente contemplate nella decisione quadro e nel d.lgs. n. 36 del 2016».

[16] Tribunale di Torino, Sezione del Riesame, 8 maggio 2024, in DeJure: «sul tema si registra un contrasto in giurisprudenza che meriterebbe, considerata anche l’importanza della materia, l’intervento delle Sezioni Unite».

[17] Peraltro, proprio all’art. 3 della decisione quadro 2008/947/GAI, si precisa che «la presente decisione quadro non si applica: a) all’esecuzione delle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure restrittive della libertà personale, esecuzione che rientra nell’ambito della decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio (…)».

[18] Si fa riferimento, precisamente, alla decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio del 27 novembre 2008 relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive e misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione Europea.

[19] Si veda, nello specifico, il comma 2 dell’art. 5 d.lgs. 161/2010, secondo cui «l’autorità giudiziaria competente dispone la trasmissione se non ricorre una causa di sospensione dell’esecuzione e quando ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) l’esecuzione della pena o della misura di sicurezza all’estero ha lo scopo di favorire il reinserimento sociale della persona condannata; b) il reato per il quale è stata emessa la sentenza di condanna è punito con una pena della durata massima non inferiore a tre anni; c) la persona condannata si trova nel territorio dello Stato o in quello dello Stato di esecuzione; d) la persona condannata non è sottoposta ad altro procedimento penale o non sta scontando un’altra sentenza di condanna o di applicazione di una misura di sicurezza, salvo diverso parere dell’autorità giudiziaria competente per il procedimento penale in corso o per l’esecuzione».

[20] Ai sensi dell’art. 6 d.lgs. 161/2010, l’autorità competente procede alla trasmissione all’estero «di ufficio o su richiesta della persona condannata o dello Stato di esecuzione». Ai sensi del comma 2, se la persona condannata si trova nel territorio dello Stato, l’autorità giudiziaria procede alla trasmissione solo dopo averla sentita. Inoltre, prima di procedere alla trasmissione all’estero, ai sensi del comma 3, «l’autorità giudiziaria consulta, anche tramite il Ministero della giustizia, l’autorità competente dello Stato di esecuzione al fine di: a) verificare la condizione prevista dall’articolo 5, comma 2, lettera a); b) comunicare il parere espresso, ai sensi del comma 2, dalla persona condannata; c) acquisire il consenso dello Stato di esecuzione nell’ipotesi prevista dall’articolo 5, comma 3, lettera c); d) conoscere le disposizioni applicabili nello Stato di esecuzione in materia di liberazione anticipata o condizionale». Al comma 6, si prevede che il provvedimento con cui viene disposta la trasmissione all’estero debba contenere l’indicazione dello Stato di esecuzione (nel caso di specie, quindi, la Francia), e che di esso debba essere data comunicazione all’interessato. Ai sensi del comma 7, «il provvedimento è trasmesso, unitamente alla sentenza di condanna e al certificato debitamente compilato, al Ministero della giustizia che provvede all’inoltro, con qualsiasi mezzo che lasci una traccia scritta, all’autorità competente dello Stato di esecuzione, previa traduzione del testo del certificato nella lingua di detto Stato. Se la traduzione del certificato non è necessaria o se a questa provvede l’autorità giudiziaria, il provvedimento può essere trasmesso direttamente all’autorità competente dello Stato di esecuzione; in tale caso, esso è altresì trasmesso, per conoscenza, al Ministero della giustizia. La sentenza e il certificato sono trasmessi in originale o in copia autentica allo Stato di esecuzione che ne fa richiesta».

[21] Cass., sez. IV, 15 settembre 2021, n. 37739, Garcia Encarnacion, in C.E.D. Cass., n. 281950.

[22] Sul punto, si vedano anche le considerazioni di R. Bartoli, Punire in libertà: le nuove pene sostitutive, in Riv. it. dir. proc. pen., 4/2023, p. 1401: «ed eccoci all’ultimo carattere che contraddistingue la riforma Cartabia sul piano sanzionatorio: la valorizzazione della funzione di prevenzione speciale mediante risocializzazione. Nell’alternativa tra investire su contenuti meramente negativi e quindi riformare la sospensione condizionale della pena oppure su contenuti positivi fortemente risocializzanti e quindi su alternative sostitutive, il legislatore ha optato per questa seconda strada».

[24] G. Mentasti, L’applicazione della pena della detenzione domiciliare sostitutiva in appello in un caso di maltrattamenti in famiglia, in questa Rivista, 8.11.2023, §4.2: «la detenzione domiciliare sostitutiva condivide con la semilibertà sostitutiva (art. 55) sia la possibilità di sostituire la pena detentiva entro il limite di quattro anni sia la natura di pena privativa della libertà personale. La sua peculiarità risiede nel luogo di esecuzione – il domicilio – che sicuramente contribuisce a mitigare fortemente l’afflittività della pena ma al contempo scongiura i noti effetti deleteri del carcere».

[25] Come tra l’altro avviene nel caso esaminato, in cui effettivamente il giudice prescrive all’imputato di permanere nel domicilio dalle ore 18.00 alle ore 6.00 del mattino.

[26] A tal proposito, pare opportuno qui richiamare le considerazioni svolte dalla Corte Costituzionale in merito alla detenzione domiciliare sostitutiva nella sentenza n. 84/2024, che fa riferimento «all’idea – che è alla base della riforma – di una pena programma, caratterizzata da elasticità nei contenuti, perché funzionale alla individualizzazione del trattamento sanzionatorio, in modo da garantire la risocializzazione del condannato e, assieme, una più efficace tutela della collettività».

[27] Si vedano sul tema le riflessioni di A. Costantini, Prospettive di riforma della detenzione domiciliare tra pena principale e sanzione sostitutiva: verso un reale ripensamento del paradigma carcerocentrico?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1/2022, p. 310.

[28] In particolare, oltre alla detenzione domiciliare sostitutiva, si fa riferimento alla semilibertà sostitutiva, che comporta la permanenza in carcere per una parte della giornata.



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