Il futuro del lavoro: come l’IA sta trasformando il lavoro, l’innovazione e l’equità

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Bollettino ADAPT 3 febbraio 2025, n. 5
 
L’IA sta trasformando radicalmente il nostro modo di lavorare, sollevando questioni importanti sul futuro del lavoro e sull’impatto che queste trasformazioni avranno sulla società (per una rassegna della letteratura sulle principali aree di impatto e criticità, si veda E. Dagnino, Intelligenza artificiale e mercato del lavoro, CNEL, Casi e materiali di discussione: mercato del lavoro e contrattazione collettiva, n. 3/2024). Per rispondere ad alcuni di questi interrogativi, il centro di ricerca Shaping the Future of Work Initiative del MIT, specializzato nell’analisi dei cambiamenti del lavoro e delle ripercussioni sociali dell’IA, ha organizzato un workshop con un obiettivo ben preciso: quello di capire come l’innovazione tecnologica può favorire, e non minacciare, l’equità nel mondo del lavoro.
 
Sfatare il mito della disuguaglianza
 
Ad aprire il workshop è stato Daron Acemoglu, neo-premio Nobel per l’economia, che ha cercato di sfatare il “mito” secondo cui l’aumento delle disuguaglianze sarebbe una conseguenza inevitabile del progresso tecnologico.
 
Attraverso un’analisi comparativa tra le principali nazioni industrializzate, Acemoglu ha evidenziato come gli Stati Uniti, pur avendo accesso a tecnologie simili e affrontando forze di mercato analoghe a quelle di altri paesi, abbiano registrato un drammatico incremento della disuguaglianza a partire dagli anni ’80. Il fatto che nessun altro paese industrializzato abbia registrato un incremento così drammatico della disuguaglianza suggerisce che il progresso tecnologico, di per sé, non è una spiegazione sufficiente per comprendere l’evoluzione della disparità economica negli Stati Uniti. Ciò diviene ancora più chiaro se si considera che, nei quattro decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti hanno sperimentato un rapido e sostanziale progresso tecnologico insieme a una robusta crescita dei salari e a una distribuzione del reddito relativamente stabile.
 
Queste evidenze suggeriscono come la disuguaglianza non sia una conseguenza inevitabile del progresso tecnologico, bensì il risultato delle scelte compiute dalle società, che si tratti di strategie organizzative, politiche tecnologiche o scelte sulla distribuzione dell’innovazione nell’economia.
 
L’impatto della tecnologia sui lavoratori: sfide e opportunità
 
Durante il primo panel, Molly Kinder della Brookings Institution ha affrontato quello che ha definito “il grande disallineamento”: i settori potenzialmente più esposti alla trasformazione causata dall’IA sono spesso anche quelli in cui i lavoratori dispongono di minori tutele. Un esempio emblematico è il settore finanziario, dove la rappresentanza sindacale si ferma a un modesto 1%. In questo comparto, i lavoratori hanno scarsissime possibilità di influenzare il modo in cui l’IA sta ridefinendo le loro professioni, con conseguenze particolarmente rilevanti per le donne, che risultano tra le categorie più colpite.
 
La professoressa Erin Kelly della MIT Sloan School of Management ha evidenziato due modi principali in cui l’IA può influire sulla salute pubblica nei luoghi di lavoro. Partendo dalle evidenze storiche sull’impatto negativo della disoccupazione sulla salute, ha messo in guardia contro i rischi legati alla perdita di posti di lavoro causata dall’IA. Ha poi discusso di come l’implementazione dell’IA nei contesti lavorativi possa influenzare il benessere dei lavoratori: utilizzata come strumento di supporto, l’IA può favorire l’autonomia e l’apprendimento, ma se impiegata per aumentare controllo e sorveglianza, rischia di peggiorare la qualità del lavoro e compromettere la salute fisica e mentale dei lavoratori. Secondo Kelly, le implicazioni delle nuove tecnologie per la salute pubblica meriterebbero maggiore attenzione nelle discussioni sul ruolo dell’IA nel trasformare il mondo del lavoro.
 
Frida Polli, neuroscienziata e imprenditrice tecnologica, ha arricchito il dibattito sul processo decisionale algoritmico. Ha sottolineato come, se implementato correttamente, questo processo possa offrire maggiore trasparenza rispetto al giudizio umano, soprattutto nelle assunzioni dove i pregiudizi possono alterare il processo di selezione. Attraverso il suo lavoro con la legge sulle assunzioni algoritmiche di New York, che impone ai datori di lavoro verifiche sulle distorsioni degli strumenti di assunzione automatizzati, ha discusso del potenziale e delle sfide della regolamentazione dell’uso dell’IA sul posto di lavoro. Secondo Polli, la scelta tra IA che agevola o sostituisce i lavoratori è in ultima analisi una decisione della leadership, guidata da priorità strategiche piuttosto che da considerazioni puramente economiche.
 
Amanda Ballantyne, dell’AFL-CIO Technology Institute, ha invece evidenziato l’importanza di includere la voce dei lavoratori nello sviluppo tecnologico. Ha sottolineato come la loro esperienza diretta con gli strumenti tecnologici rappresenti un patrimonio di conoscenze estremamente prezioso per le imprese, essenziale per garantire che l’innovazione tecnologica non solo aumenti la produttività ma contribuisca anche al benessere dei lavoratori.
 
Verso una nuova collaborazione uomo-macchina
 
David Autor, professore di economia del MIT e co-direttore del centro Shaping the Future of Work Initiative, ha introdotto e diretto il secondo panel, che si è focalizzato sulla possibilità di una collaborazione virtuosa tra uomo e intelligenza artificiale.
 
Sendhil Mullainathan, professore di scienze comportamentali e computazionali al MIT, ha offerto un’analogia affascinante richiamando un paper del 1973 sulla locomozione: così come la bicicletta potenzia l’efficienza del movimento, i computer e l’IA dovrebbero essere delle “biciclette per la mente”, strumenti progettati per amplificare le capacità umane piuttosto che sostituirle. Secondo Mullainathan, l’attuale spinta verso la completa automazione non è inevitabile, ma deriva dal modo in cui abbiamo strutturato lo sviluppo dell’IA.
 
John Horton della MIT Sloan School of Management ha discusso di come gli strumenti di IA possano essere utilizzati sia dai lavoratori, per candidarsi a offerte di lavoro, sia dalle imprese, per pubblicare annunci di lavoro. Secondo le sue analisi, la scrittura di curriculum assistita dall’IA è un valido strumento per i candidati: migliora la chiarezza dei profili, fa risparmiare tempo e incrementa le possibilità di ricevere riscontri positivi. Al contrario, gli strumenti di IA utilizzati per la pubblicazione delle offerte di lavoro rischiano di saturare il mercato con annunci di bassa qualità, rallentando il processo di ricerca e causando un inutile spreco di tempo per chi cerca un impiego.
 
Particolarmente interessante è stata la ricerca di Lindsey Raymond, postdoc presso Microsoft Research e l’Università di Harvard. Il suo studio sull’implementazione dell’IA nei call center ha mostrato come l’utilizzo di strumenti di IA sul posto di lavoro abbia portato a un aumento della produttività pari al 15%, con benefici particolarmente evidenti per i lavoratori più giovani. L’IA si è rivelata un eccellente strumento di formazione, consentendo di raggiungere in due mesi obiettivi che tradizionalmente richiedevano nove mesi di apprendimento, oltre a contribuire a ridurre il burnout gestendo alcuni degli aspetti più stressanti del lavoro emotivo.
 
Progettare il futuro del lavoro
 
Il workshop si è concluso con una potente citazione del filosofo Joshua Cohen, ripresa da David Autor: “Il futuro non è un problema di previsione, ma di progettazione”. Questa visione ci invita a spostare l’attenzione dalla mera speculazione sugli effetti dell’IA alla riflessione attiva su come possiamo modellare queste tecnologie affinché siano al servizio dei lavoratori e della società nel suo complesso.
 
L’IA trasformerà indubbiamente il lavoro, ma noi abbiamo l’opportunità e la responsabilità di guidare questa trasformazione in modo consapevole. Il valore dell’innovazione non si misura soltanto in termini di efficienza, ma nell’impatto che avrà sullo sviluppo delle persone, sulla loro soddisfazione professionale e sulle opportunità economiche globali. Il futuro del lavoro non è una traiettoria predeterminata dalla tecnologia, ma il risultato delle scelte che facciamo oggi nel progettare e implementare l’innovazione.
 
Jacopo Sala
Apprendista di ricerca ADAPT

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