Mps-Mediobanca? È come Goldman Sachs scalata da una media banca americana. Parla Ignazio Angeloni, ex vigilanza Bce

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Ops Mps-Mediobanca, l’economista Angeloni: è come se una banca regionale Usa comprasse Goldman Sachs

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Guardando al risiko bancario, il monito che arriva a Class Cnbc da Ignazio Angeloni, economista, ex membro del consiglio di sorveglianza della Bce, è che la priorità oggi è rafforzare le banche su base europea. Gli interessi nazionali vanno promossi con operazioni di mercato che offrano la prospettiva di far crescere le banche italiane. In alcuni Paesi, in primis gli Stati Uniti, quanto sta accadendo oggi da noi non sarebbe mai successo.

Domanda. Partiamo dall’offerta di Mps su Mediobanca. Come si legge l’apparente bocciatura del mercato?

Risposta. Glielo spiego con un paragone. È un po’ come se una banca regionale americana, di quelle che fanno credito alle piccole e medie imprese in uno o più stati all’interno degli Stati Uniti, volesse comprarsi Goldman Sachs. Si tratta di soggetti diversi per cultura, esperienze e modello di affari, che non si comprendono a vicenda e non si combinano facilmente. Hanno poco o niente da offrire l’uno all’altro: la banca regionale non ha la rete distributiva per offrire i servizi sofisticati di GS a livello globale e quei servizi non sono quelli che interessano alla clientela locale. In una parola: mancano le sinergie. Le stesse considerazioni valgono nel caso italiano.

D. È soltanto l’assenza di sinergie a non convincere o anche la narrazione di una banca salvata che non può andare all’assalto del tempio della finanza italiana?

R. Mps è stata ripetutamente salvata con costi elevati per il contribuente. A fronte di perdite passate le sono stati attribuiti crediti fiscali (Dta o Deferred Tax Assets ndr ) che ora fanno parte della sua dotazione e la aiutano a riprendersi e ripartire, in un processo di risanamento che dura da diversi anni. Certo, il fatto che questa dotazione conferitale a spese del contribuente possa venire usata oggi per aiutare un’acquisizione abbastanza azzardata colpisce. Ma bisogna guardare avanti. Piuttosto, vanno notate altre due cose.

D. Quali?

R. I vantaggi che derivano dai crediti fiscali dipendono dai ricavi futuri. Personalmente non ho studiato il piano, ma se quei ricavi sono sovrastimati, il che succede fra l’altro se le sinergie sono sovrastimate, il vantaggio dei Dta si riduce. In secondo luogo, il miglioramento dei conti di Mps negli ultimi due o tre anni è stato dovuto in larga parte all’allargamento dei margini di interesse dovuto al rialzo dei tassi in Europa. Anche se al management va riconosciuto il merito di avere anche ridotto i costi. Tuttavia rimane il fatto che la discesa dei tassi, in parte già avvenuta ma che molti prevedono debba continuare anche nel prossimo futuro, penalizzerebbe i ricavi.

D. Alcuni si chiedono se sia anche un’operazione politica. Lei cosa pensa?

R. Se l’obiettivo vero dei due gruppi Delfin e Caltagirone, che con il Tesoro detengono le principali partecipazioni in Mps, fosse quello di arrivare, con il sostegno del governo, al controllo indiretto di Generali, come sostengono vari osservatori in questi giorni, si avrebbero due conseguenze negative. Primo, lo squilibrio del progetto dal punto di vista industriale diventerebbe ancora più grande: Mediobanca è una banca d’affari importante ma con una presenza in larga parte italiana, mentre Generali è un colosso globale. Secondo, assisteremmo a un’influenza del tutto impropria dello Stato in un’operazione nella quale non si comprende quali siano gli interessi del contribuente, che il Tesoro dovrebbe rappresentare.

D. La Bce ha sempre chiesto il consolidamento bancario. Sarà contenta adesso?

R. Da molti anni in Europa si cerca di avanzare verso un mercato finanziario integrato e più forte, anche nel settore bancario. È chiaro a tutti che l’unione bancaria e la vigilanza Bce hanno aiutato ma non bastano, e i piani della Commissione Ue di creare un’unione del mercato dei capitali finora sono rimasti sulla carta. Il rapporto Draghi recentemente ha riaffermato l’importanza di avanzare in questa direzione, per finanziare le esigenze di investimento in Europa. Servono quindi fusioni transfrontaliere che creino soggetti di dimensione tale da poter competere globalmente e aiutare la crescita all’interno dell’Europa.

D. Che ruolo ha avuto nella ripartenza del risiko il Danish Compromise favorendo le banche con partecipazioni nelle compagnie assicurative?

R. Non credo sia stato queIlo. Il Danish Compromise aiuta le aggregazioni fra banche e assicurazioni consentendo di ponderare le partecipazioni incrociate anziché sottrarle al capitale. A mio avviso il fattore più importante dietro la recente ondata di progetti di aggregazione è il fatto che le banche siano tornate profittevoli ed è naturale che si guardino intorno e cerchino di crescere. Questo momento positivo va usato per rafforzare il sistema con fusioni adatte, principalmente a livello europeo oppure anche nazionale se aiutano chiaramente a rafforzare la struttura del sistema. (riproduzione riservata)

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