VISTO DAL COLLE/ Tra Almasri e Albania, il Quirinale boccia la “tentazione” di Meloni (e qualcun altro)

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Nella complicata vicenda Almasri il primo momento della verità sarà domani, martedì: nelle conferenze dei capigruppo dei due rami del Parlamento il Governo dovrà calare le carte. Dovrà comunicare chi sarà a tenere l’informativa alle Camere, e quando. Perché l’annullamento dell’appuntamento di mercoledì scorso alle opposizioni proprio non è andato giù. E del ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani non hanno intenzione di accontentarsi: o Meloni, o, come minimo, Nordio.



E non basterà neppure la prevista audizione del sottosegretario Mantovano al Copasir. Quel che viene richiesta è una pubblica assunzione di responsabilità di fronte al Paese nelle aule di Montecitorio e Palazzo Madama rispetto al rilascio di quello che viene definito senza mezzi termini un assassino e un torturatore che ne ha fatte di cotte e di crude in terra libica.

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È scatenata l’opposizione, annusando il governo se non proprio in difficoltà quantomeno in imbarazzo. E la recente decisione dei giudici sui migranti fatti rientrare dal centro in Albania ha ringalluzzito il fronte che va da Schlein (Pd) a Bonelli e Fratoianni (Avs), anche se proprio il dipendere dalle decisioni delle toghe fanno apparire il campo largo sempre più a rimorchio di una fetta della magistratura. Esattamente quell’accusa che è il mantra crescente del centrodestra.

Il più scatenato appare Conte, che accusa Meloni di volere imprimere una “torsione autoritaria” e giudica la polemica sempre più forte con l’ordine giudiziario alla stregua di un’arma di distrazione di massa. La sua veemenza e insistenza sembra quella di chi vuole rubare la scena all’alleato più forte, il Pd. Una sorta di rivendicazione di una leadership dell’opposizione, quantomeno su questo terreno. La Schlein, già sotto pressione interna dopo le uscite di Franceschini, farebbe bene a tenere gli occhi aperti.



La maggioranza, per parte sua, sente la pressione, e si compatta. Nessuna voce dissonante sul caso Almasri. E sulla riforma della giustizia, avanti tutta con la separazione delle carriere. Anche ieri, domenica, lo hanno confermato sia Tajani, sia il capogruppo di FdI al Senato, Malan. E sulla vicenda Albania magari si dovrà attendere la pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea il 25 febbraio, ma non si possono immaginare passi indietro: la convinzione è che non possa essere messo in discussione il principio che tocchi agli Stati definire i “Paesi sicuri” in cui si possono rimandare i migranti. In caso contrario significherebbe di fatto aprire le porte della UE a tutti, indiscriminatamente. Cioè tornare indietro, al 2019 o peggio. Uno scenario oggi improponibile, regole non possono che esserci. Del resto, il modello Albania è visto con estremo interesse da molti partner europei, Germania in testa. Magari ci sarà qualcosa su cui aggiustare il tiro, ma alla fine Meloni e soci sono convinti di spuntarla e che la spinta finale verrà proprio dall’Europa.

Pur nelle difficoltà del momento la coalizione di centrodestra non si sente indebolita, e i sondaggi lo confermano: complessivamente FdI, Lega e FI veleggiano costantemente intorno al 50%. E nelle proiezioni sui seggi, se si votasse oggi riavrebbero abbastanza agevolmente la maggioranza del parlamento, salvo cataclismi. Dopo due anni e mezzo di governo, in una fase economica e internazionale molto complicata, si tratta di un risultato più che lusinghiero, che non ha pari in Europa. Di fronte c’è una opposizione che oggi fatica a far fronte comune anche sui temi più elementari. Oggi, appunto. Ed è forse per questo che qualcuno, nel cerchio magico meloniano, ha cominciato a sognare uno scenario spericolato, quello di elezioni anticipate, per consolidare il quadro attuale e prolungarlo sino al 2030, tre anni più avanti della fine naturale della legislatura in corso.

Fantapolitica di sicuro, anche perché dovrebbe fare i conti con una strenua contrarietà del Quirinale. A oggi è impensabile, ma da solo questo pensiero indica che in uno scenario stagnante (riforme che arrancano, economia fiacca, rischio dazi di Trump) la tentazione di rovesciare il tavolo finché le condizioni sono favorevoli è una ipotesi che non si può scartare a cuor leggero.

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