15% su carbone e gas Usa. Presentato reclamo al Wto. E avvia indagine anti-monopolio contro Google

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Cina presenta reclamo al Wto contro i dazi al 10% di Trump

La Cina ha dichiarato di aver presentato un reclamo all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) «per difendere i suoi legittimi diritti e interessi» in risposta all’aumento delle tariffe unilaterali americane del 10% su tutto l’import del made in China, secondo quanto deciso da Donald Trump.

«La Cina ha presentato un reclamo contro le misure tariffarie statunitensi nell’ambito del meccanismo di risoluzione delle controversie del Wto», ha riferito il ministero del Commercio in una nota, accusando le azioni degli Stati Uniti di avere una «natura dolosa».

Cina, stretta sull’export di tungsteno e altri minerali

Il ministero del Commercio e l’Amministrazione generale delle dogane cinesi hanno annunciato la stretta sui controlli alle esportazioni «di articoli relativi a tungsteno, tellurio, bismuto, molibdeno e indio» con effetto immediato «al fine di salvaguardare la sicurezza e gli interessi nazionali e di adempiere agli obblighi internazionali come la non proliferazione».

Lo si legge in una nota congiunta.

La stretta all’export di tungsteno e di «25 prodotti e tecnologie di metalli rari come il paratungstato di ammonio» entra in vigore immediatamente, in conformità «con le disposizioni pertinenti», tra cui quelle sul “Controllo degli articoli a duplice uso”, «al fine di salvaguardare la sicurezza e gli interessi nazionali, adempiere agli obblighi di non proliferazione», ha spiegato una nota. Gli operatori dell’export che desiderano spedire gli articoli in questione «devono richiedere una licenza al dipartimento del commercio» del governo centrale. Allo stesso tempo, la Cina provvederà ad aggiornare l’«Elenco di controllo delle esportazioni di prodotti a duplice uso della Repubblica popolare cinese».

Cina, indagine anti-monopolio contro Google

Google «è sospettata di aver violato le leggi anti-monopolio cinesi». Per questa ragione, la State Administration for Market Regulation, l’Antitrust di Pechino, ha deciso «di avviare un’indagine in conformità con le normative», in base a quanto annunciato con una nota. La mossa ha più una portata simbolica che effettiva, essendo le attività del colosso Usa bandite dalla Repubblica popolare.

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La mossa di Pechino contro Google è maturata dopo l’entrata in vigore dei dazi Usa al 10% su tutto l’import made in China, secondo i piani annunciati da Donald Trump. L’Amministrazione statale per la regolamentazione del mercato cinese ha affermato che il colosso tecnologico statunitense era «sospettato di aver violato la legge anti-monopolio della Repubblica popolare cinese».

Pechino ha anche annunciato che avrebbe aggiunto il gruppo fashion Usa Pvh, titolare dei brand Tommy Hilfiger e Calvin Klein, e il gigante biotech Illumina nell’elenco delle cosiddette ‘entità inaffidabili’. La mossa punta a «tutelare la sovranità nazionale, la sicurezza e gli interessi di sviluppo, in conformità con le leggi pertinenti», ha spiegato il ministero del Commercio i un’apposita nota. «Le due entità violano i normali principi delle transazioni di mercato, interrompono le normali transazioni con le imprese cinesi e adottano misure discriminatorie nei confronti delle imprese cinesi», ha aggiunto.

A settembre la Cina ha dichiarato di aver indagato su Pvh per «boicottaggio irragionevole» del cotone proveniente dalla sua regione dello Xinjiang, dove Pechino è accusata di diffuse violazioni dei diritti umani soprattutto a danno delle minoranze musulmane di etnia uigura.

Cina risponde a Trump con dazi al 15% su carbone e gas Usa

Pechino risponde ai dazi del 10% a tutte le importazioni made in China decise da Donald Trump, varando un pacchetto di misure che prendono di mira il carbone e il gas naturale liquefatto (Gnl) con aliquote del 15%, più un’ulteriore tariffa del 10% su petrolio, attrezzature agricole e alcune automobili. Le misure, ha riferito il ministero delle Finanze, «sono state imposte per contrastare» i piani del tycoon ed entreranno in vigore dal 10 febbraio.


L’amministrazione Trump ha chiesto ai leader del Congresso di approvare nuovi trasferimenti per circa 1 miliardo di dollari in bombe e altro materiale militare a Israele: lo scrive il Wall Street Journal, citando dirigenti statunitensi a conoscenza del dossier.

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Le vendite di armi pianificate includono 4.700 bombe da 1.000 libbre (450 kg), per un valore di oltre 700 milioni di dollari, nonché bulldozer blindati costruiti da Caterpillar, per un valore di oltre 300 milioni di dollari.


Le nuove richieste di armi, che verrebbero pagate dai miliardi di dollari di aiuti militari annuali degli Stati Uniti a Israele, arrivano mentre il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è in visita a Washington e incontrerà il presidente Trump oggi per discutere del cessate il fuoco a Gaza, di una tregua separata in Libano e delle tensioni nel Medio Oriente più ampio.

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Si prevede che Netanyahu e altri funzionari israeliani faranno pressione su Trump affinché proceda con una serie separata di trasferimenti di armi inizialmente richiesti dall’amministrazione Biden, per un totale di oltre 8 miliardi di dollari in nuove bombe, missili e proiettili di artiglieria.

L’amministrazione Biden ha notificato ai leader del Congresso la vendita a gennaio prima di lasciare l’incarico.

Le armi non hanno ancora ricevuto la piena approvazione a causa di uno stop da parte di alcuni legislatori democratici. L’amministrazione Trump sta ora spingendo i leader del Congresso a sbloccare le vendite.





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