Catania, sequestro al boss dei Cappello: i verbali dei pentiti e le indagini patrimoniali

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Misure di prevenzione

Il provvedimento del Tribunale a carico di Giampiero Salvo, che la scorsa estate manifestò la volontà di parlare con i giovani per allontanarli dalla mafia.

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Di Laura Distefano |

Sequestrata a Giampiero Salvo ‘u carruzzeri, storico boss del clan Cappello, una villa alle falde dell’Etna. Il Tribunale Misure di Prevenzione ha disposto il provvedimento, eseguito dalla polizia, accogliendo l’istanza della procura. Le indagini si compongono di due filoni paralleli (il famoso doppio binario). Da una parte si è analizzato il profilo criminale di Salvo, che l’estate scorsa ha deciso di scrivere al presidente del Tribunale per i Minorenni di Catania, Roberto Di Bella per manifestare la sua volontà a voler dire ai giovani che «la vita da mafioso» è una «vita di morte e senza futuro».Giampiero Salvo è entrato nel clan Cappello con un ruolo di vertice fin da giovanissimo. Ha preso il posto del padre (l’ergastolano “Pippo u carruzzeri”) nello scacchiere del clan fin dagli anni Novanta. Il primo blitz citato nel decreto del Tribunale è Samarcanda. Salvo è stato condannato per mafia, estorsione e omicidi. Condanna all’ergastolo per la strage di Catenanuova del 2008. Qualche mese fa il boss è stato scarcerato (era ai domiciliari) dal Tribunale di Sorveglianza che gli ha concesso il differimento della pena per motivi di salute.

Secondo gli investigatori Giampiero Salvo sarebbe stato un affiliato del clan Cappello almeno «sino a marzo 2022». Il Tribunale cita una lunga lista di collaboratori di giustizia che hanno fatto dichiarazioni sul ruolo del boss all’interno della cosca catanese. L’ultimo a puntare il dito nei confronti del figlio maggiore di Pippo “u carruzzeri” è l’ex cappelloto Carmelo Liistro. Il pentito ha rivelato che dopo la sparatoria di Librino del 2020, il clan Cappello si è disgregato in più gruppi e uno di questi «era quello di Giampiero Salvo». E poi raccontando di un contrasto tra il fratellastro del boss e un cane sciolto del gruppo di Michele Vinciguerra “u cardunaru”, oggi anche lui collaboratore, ribadiva «il ruolo di vertice di Salvo». Va precisato che non vi è stato alcun provvedimento di misura di prevenzione personale.Il Tribunale ha ritenuto che vi fosse una documentata sproporzione tra i redditi percepiti e il valore del bene oggetto di sequestro. Il collegio ritiene che «l’operazione di compravendita» della casa nel 2019 presenti elementi di «opacità». Per il Tribunale Salvo «da un lato» non avrebbe avuto la disponibilità di «fonti di reddito lecite compatibili con l’acquisto dell’immobile» e dall’altro «avrebbe potuto contare sui flussi illeciti derivanti dalle attività» mafiose. Su queste basi il collegio (presidente relatore Maria Pia Urso) ha disposto il sequestro ai fini della confisca.La prima udienza del processo si terrà il 23 aprile davanti al Tribunale Misure di prevenzione.

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