Enrico Masi • Regista di Terra incognita

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“Il film è un manifesto per un cinema che trovi il coraggio di cimentarsi ‘corpo a corpo’ con i conflitti del mondo”

– Il nuovo documentario del regista, che esplora il tema dell’approvvigionamento energetico, inizia un tour di proiezioni nelle principali città italiane

Terra incognita [+leggi anche:
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, il nuovo documentario di Enrico Masi presentato al Trieste Film Festival – esplora il tema dell’approvvigionamento energetico attraverso due storie: una famiglia che vive in un alpeggio isolato in Piemonte e contemporaneamente l’esperimento atomico ITER in corso a Caradache in Francia in cui si cerca di riprodurre l’energia solare attraverso il processo della fusione atomica. Il film ha iniziato un tour di proiezioni nelle principali città italiane. Abbiamo discusso con il regista. 

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Cineuropa: Come è nato il progetto del film?
Enrico Masi:
Tutto è cominciato dall’esigenza di confrontarci – io e il cosceneggiatore Stefano Migliore – con un vasto tema ambientale, sia da un punto di vista culturale, sia formale, con mezzi cinematografici ancora non utilizzati nei nostri film precedenti. Per un lungo periodo di tempo, quasi fino alla fine del percorso, Terra incognita è stato per noi un omaggio a Franco Farinelli e Umberto Eco, ma anche una piccola Odissea nello Spazio, europeo e atlantico in questo caso. ITER è arrivato dopo quasi 3 anni di ricerca tra Italia, Francia e Germania, e abbiamo deciso di parlarne in quanto massimo esperimento transnazionale energetico in atto in Europa, e probabilmente nel mondo intero.

Il film contrappone le immagini sullo sviluppo nucleare con quelle di una famiglia che ha fatto la scelta radicale di vivere utilizzando al minimo le risorse della natura. Qual era l’intento nell’intrecciare le due storie?
Ragionare tra le maglie di una narrazione antinomica permette agli autori, e di conseguenza agli spettatori, di mettere in discussione le proprie aspettative rispetto ad una o all’altra esperienza proposte nel film. È un dispositivo drammaturgico, un modulo che, nella sua forma binaria, abbiamo cercato di superare, scrivendo e realizzando l’intervento di Solange, guardiana dell’osservatorio e personaggio cardine della stagione finale di realizzazione del film. Ci sono numerose citazioni e riferimenti a personalità della cultura tedesca: oltre ad Alexander von Humboldt, si possono riconoscere Goethe, Steiner e certamente Beuys. Il rapporto con la natura è un grande leitmotiv dell’universo germanico, che nelle Alpi si fonde con quella italiana.

Allo spettatore si chiede di lasciarsi trasportare da immagini e suoni e trarre delle suggestioni, perché Terra incognita non ha didascalie come un doc classico. Sembra piuttosto un flusso mirabilmente montato che destruttura il cinema del reale per farne una riflessione antropologica.
L’intensità delle esperienze che abbiamo vissuto, i frutti raccolti dopo le lunghe sessioni di perlustrazione e sopralluogo, in luoghi al centro dell’antropocene, nel cuore d’Europa, il dialogo costante con comitati diversi intorno alle lingue, al ruolo dell’archivio, alle scelte puramente cinematografiche (ottiche, formati, pellicole, piani sequenza complessi), fino al montaggio finale, ci ha travolti.

Siamo segnati da questo lungo momento creativo. L’obiettivo di includere l’umanità in questo pensiero sulla tecnologia e sulle risorse energetiche ci ha portati a viaggiare anche “all’interno” della letteratura. È stato totalizzante. Sono dubbioso sulla possibilità di riuscire a intraprendere nuovamente una stagione così lunga di assorbimento. Sto scrivendo un libro, un manuale di cinema-documentario, in cui riesco ad esprimere e traslare questi fatti, gli incontri che abbiamo vissuto. Ci tengo a dire che il progetto di Terra incognita, come mio quinto lungometraggio, è il tentativo di lascito di un codice, di un manifesto per un cinema che trova il coraggio di cimentarsi “corpo a corpo” con i conflitti del mondo in cui viviamo. L’energia e il rapporto degli umani con le risorse è uno di questi, in questo senso è una riflessione antropologica.

Il suono rivesta particolare importanza in Terra incognita. Ci può parlare della ricerca fatta sulle musiche?
Abbiamo pensato per lungo tempo all’intervento di colonna sonora con Fabrizio Puglisi, già autore delle musiche di Shelter – Farewell to Eden [+leggi anche:
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scheda film
]
. Sono state tre le grandi sessioni musicali per Terra incognita, di cui una dal vivo, il cui risultato è entrato sia nel montaggio del film, sia negli audio-documentari che abbiamo prodotto con Rai Radio 3, che sono dei veri compendi filosofici e musicali al film. Fabrizio Puglisi ha coinvolto una serie di musicisti tra cui Vincenzo Vasi, Margareth Kammerer, Achille Succi e Alberto Capelli, che hanno interpretato le suggestioni fornite da noi autori. Jacopo Bonora, fonico del film, ha lavorato a delle registrazioni che sono confluite in un album, che ha il titolo del film.

Le corrispondenze con l’approccio musicale della famiglia tedesca costituiscono un impianto di insieme, un dialogo mistico tra tecnologia e natura, tra composizione e performance noise.
L’idea musicale mia e di Stefano in quanto autori, insieme a Fabrizio, è stata quella di condurre il montaggio a partire dalle musiche, e non il contrario. Alla fine dobbiamo confessare che io e Stefano intendiamo il cinema come un’arte musicale, oltre che politica e sociale, non abbiamo mai resistito a mettere mano alle nostre colonne sonore.





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