Islam e civiltà occidentale: intensi raggi di luce tra le tenebre dell’integralismo

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Un segno di risveglio dalla letargia nel campo del diritto umanitario, si è manifestato con la nuova centralità acquisita dall’Italia a livello internazionale, non solo nei difficili equilibri dell’Area mediterranea (nel campo dell’immigrazione, in particolare), ma anche nei rapporti con l’universo islamico. A tal riguardo, ha avuto un’incisiva rilevanza anche la presenza nella Città eterna di un Pontefice come Francesco, che sulle orme del Poverello di Assisi – di cui non casualmente ha voluto scegliere il nome – ha intrapreso una feconda, univoca e più determinata interlocuzione rispetto ai predecessori, con i fedeli di Allah (e di tutte le altre religioni). Appare utile al riguardo qualche preliminare riflessione terminologica, dato il rischio ricorrente di confusione dell’Islam e dell’islamismo con delle deformazioni fondamentaliste: l’Islam è una religione, l’Islamismo è una categoria del diritto pubblico, teorizzante la creazione di uno Stato che abbia l’Islam come religione e i suoi princìpi guida come regolatori della sfera economica, politica, giuridica e sociale.

Il termine “fondamentalismo” – viceversa – è stato forgiato per la prima volta nel 1920 negli Stati Uniti, per identificare un’area rigorista del mondo protestante; ma circa mezzo secolo dopo venne esteso anche a fedi non cristiane, come quella islamica a far data dalla rivoluzione di Ruhollah Khomeyni in Iran, e a seguire nell’ambito degli integralisti di fede ebraica, sikh, induista e buddista. L’elemento comune che connota tale posizione radicale presso i vari culti, è in genere dato dal rifiuto della laicità, della modernità, della secolarizzazione correlata alla politica come all’economia, con la conseguente determinazione a costituire una minoranza autoprotetta ed esclusiva, nella migliore delle ipotesi o – nei casi più gravi – a combattere sia i correligionari “transigenti” verso la modernità medesima, sia gli appartenenti ad altre fedi, ricorrendo al terrorismo vero e proprio. Altre caratteristiche ricorrenti sono: un manicheismo morale, onde la società sarebbe divisa tra luce e tenebre, tra bene e male, tra un mondo “interno” puro e uno “esterno” impuro; l’infallibilità dei testi sacri, insuscettibili di lettura evolutiva; la distinzione dal mondo esterno nell’abbigliamento, nel cibo, nel lessico, nel matrimonio etnoreligioso; nell’organizzazione rigorosamente verticistica guidata da un capo carismatico.

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Il dialogo in atto con il mondo islamico in particolare, per quanto concerne lo Stato italiano in specie, necessita di alcune doverose premesse, partendo dal fenomeno del terrorismo di matrice islamistica e fondamentalista, in esito al quale dopo la tragedia delle Torri gemelle avrebbero potuto verificarsi nel mondo occidentale, due conseguenze specularmente contrapposte:

1) un’islamofobia indiscriminata e globalizzante nel contesto di un più generalizzante vaticinato scontro tra civiltà, costituente esattamente l’obiettivo cui miravano gli attentatori ed i loro seguaci;

2) oppure – è stato questo l’esito scaturito da quella immane catastrofe – una maggiore sinergia e cooperazione fra tutti gli uomini di buona volontà, che costituiscono la stragrande a maggioranza dei fedeli di ogni appartenenza, ricusante fanatismi estremistici presenti – purtroppo – in ogni contesto religioso, come in ogni organizzazione politica.

 

Significativo – a titolo di esempio – è quanto accadde il 21 dicembre 2015 in Kenya, dove dei musulmani fecero eroicamente scudo a dei passeggeri cristiani che viaggiavano con loro nello stesso autobus, sventando l’assalto degli jihadisti di Al-Shabaab che avrebbero voluto fare una strage degli “infedeli”, separando i due gruppi in base all’appartenenza religiosa. Il 12 dicembre del 2016 ebbe luogo ad Abu Dhabi il forum intitolato “Lo Stato nazionale nel pensiero islamico. Il sostegno della pace nelle società islamiche”, dove fu evidenziata l’importanza della Lega musulmana mondiale quale voce rappresentativa delle varie componenti dell’Islam, unite nell’impegno per la pace universale, in base alla retta interpretazione del Corano e coerentemente con la ferma adesione dei Paesi islamici alle Nazioni Unite. È ben noto – per converso – che i fautori della “guerra santa” avevano raggiunto da tempo avanzate forme di comunicazione, ad appannaggio preminente dell’Isis, che aveva saputo sfruttare meglio di ogni altra organizzazione i Media, soprattutto elettronici: dalla televisione ad Internet, in grado – per un verso – di fare proselitismo in modo rapido ed efficace e – per altro verso – di attivare una strategia del terrore in grado di autoalimentarsi esponenzialmente, con il desiderato effetto di seminare il panico tra gli Stati e le comunità etichettate sommariamente come di “infedeli”.

Il Muslim Cyber Army era un esercito cibernetico creato dall’Isis medesima, i cui hackers avevano redatto una lista di potenziali bersagli, identificati nominativamente, con le rispettive professioni, mail, residenze fisiche e, in alcuni casi, con i rispettivi numeri di cellulare. In merito all’attività di reclutamento dei terroristi via web, l’allora ministro dell’Interno Marco Minniti nel 2017 lanciò un allarme in occasione dell’inaugurazione del master Luiss in Cybersecurity, affermando: “Siamo davanti a una minaccia particolarmente complessa, difficile da leggere, difficilissima da contrastare, che può influenzare gli elementi minimi della vita privata del singolo, ma anche impattare sulle nostre democrazie. È quindi sempre di più necessario costruire un’alleanza con i grandi provider internazionali, perché va governato un sistema di diritti e garanzie sapendo che tutto ciò comporta un intreccio tra la vicenda nazionale e quella sovranazionale. A cominciare dalla Stato islamico che rappresenta la prima realtà terroristica a fare del web una tra le sue armi principali. Basti pensare – proseguì – che è fondamentale nel processo di radicalizzazione e di conversione al fanatismo islamico, più dell’80 per cento di queste avvengono sul web che viene utilizzato anche per il reclutamento ed è in grado di trasmettere il senso dominante e la forza di una organizzazione”.

Sia Al Qaida che l’Isis usavano la tattica della “migrazione delle frequenze” fra i vari social network che utilizzano, mutandone costantemente l’uso. I fanatici islamici avevano attivato canali di formazione a distanza caricando sui server video di istruzione, manuali e altri materiali strategici, cd-rom con spiegazioni di armi, tecniche di combattimento corpo a corpo, fabbricazione di bombe e tattiche di assalto. Messaggi criptati erano indirizzati a cellule attive o dormienti, come a singoli adepti, per fornire ordini, aggiornamenti ideologici o tecnologici. I cosiddetti lupi solitari “erano stati indottrinati per uccidere con qualunque modo singole vittime o folle indiscriminate – bambini compresi – per seminare il terrore con la strategia dell’imprevedibilità: autobomba, martiri che si autoimmolavano per la causa comune. Tutto era consentito, purché facesse impressione a livello mediatico, generando quella paura diffusa ed indistinta, che agiva – come accennato – da agente moltiplicatore degli effetti devastanti sortiti. Per quanto concerne l’Italia, oggi sugli 1,6 milioni di presenze che ivi compongono la comunità islamica (è la seconda religione nel nostro Paese), i Foreign fighters risultavano nel 2024 nel numero di 125.

Diversamente che in Gran Bretagna e in Francia, il rischio di infiltrazioni eversive di matrice islamica – più alto nel Nord e nel Nord-Est del nostro Paese – è qui assai più ridotto, dal momento che non esistono da noi interi quartieri abitati da comunità musulmane, che comunque sono assai disomogenee per la varietà dei Paesi d’origine. Il rischio è un altro: i luoghi di culto sono talora improvvisati, guidati da Imam non controllabili nei contenuti dei loro sermoni in arabo; così come non sono compiutamente monitorabili dei flussi di danaro che alimentano formalmente attività solidaristiche, ma che a potrebbero avere scopi di altro genere. A livello mondiale, i reclutatori non usano tanto come pulpito le moschee, quanto i social network e Internet, naturalmente ben più difficili da controllare per la variegata possibilità di mimetizzarsi. Già dieci anni or sono dichiarazioni audio, video, comunicati stampa, radio, giornali e telegiornali, indirizzati in Medio Oriente, come in Asia, Usa ed Europa, erano divenute sinergicamente la “cassa di risonanza” di un’eversione fanaticamente evocativa della guerra santa globale, nella speranza di raccogliere un sostegno finanziario, come di poter contare su nuovi adepti e futuri martiri. Nel passato i terroristi riuscirono a portare a “buon fine” attentati dinamitardi in Europa come in Medio Oriente, avvalendosi di Internet anche per fornire informazioni (oggi peraltro facilmente accessibili a chiunque) sulla dislocazione di centrali nucleari, mappe ferroviarie, reti idriche, orari dei voli dell’aeroporto, utilizzando fonti legalmente disponibili; ma oggi Isis ha perduto finanche quel minimo di consistenza territoriale per cui si era autodefinito “Stato islamico”, mentre la sua forza propagandistica è stata sconfitta dai servizi dell’Intelligence occidentale.

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Nell’aprile 2017 il grande imam dell’Università di Al-Azhar, Aḥmad Muḥammad Aḥmad al-Ṭayyib, massima autorità religiosa del mondo sunnita, dopo aver incontrato Papa Francesco in occasione del suo viaggio in Egitto, affermò l’importanza del dialogo tra i giovani musulmani e cristiani su questioni fondamentali, come la pace universale e la convivenza pacifica fra Occidente e Oriente, avendo fiducia in loro quali “messaggeri di pace, di misericordia e di collaborazione fra le nazioni, attivi nel combattere il radicalismo e l’odio. Crediamo che solo attraverso la conoscenza vera dell’Islam e dei suoi valori – ha detto – si possa combattere il fondamentalismo in Europa. Al-Azhar può giocare un ruolo importante nella formazione degli imam in Europa, per fare in modo che ulema ben formati veicolino un messaggio di pace e fratellanza. In questo le rappresentanze diplomatiche dei Paesi musulmani devono impegnarsi seriamente attraverso convegni e incontri che avvicinino i cittadini europei all’ essenza vera dell’Islam”. Un’altra voce autorevolissima fu della regina Rania di Giordania, la quale nel corso di un’intervista al Corriere della Sera affermò – tra l’altro – che occorreva “alzare la voce contro i fondamentalisti”, tenendo presente che la paura è si una reazione naturale e ragionevole, ma che può ispirare pensieri e azioni irrazionali.

Essa infatti – ha sottolineato – influenza le decisioni che prendiamo: dove viaggiare, per chi votare, quali valori e principi siano più importanti per noi. Se lasciamo che la paura prenda il sopravvento, essa minerà la fiducia, l’apertura agli altri, la cooperazione. E in ultima analisi, il progresso umano. Ecco perché penso che sia fondamentale che ci ricordiamo che i nostri valori e le nostre convinzioni sono più forti di quelle degli estremisti”. La regina, dopo aver espresso parole di intensa ammirazione per l’impegno interreligioso e per la pace promosso da Papa Francesco, tenne a sottolineare che i gruppi estremisti non avevano nulla a che fare con la fede, ma con il fanatismo, avendo fatto dell’Islam un ostaggio per promuovere i propri programmi, e per dividere, sfruttando “una religione i cui fondamenti sono la pace, il perdono e la tolleranza”. Non va tralasciato, a latere del dialogo interreligioso, un fattore altrettanto significativo che gioca per la sconfitta di ogni sorta di fanatismo: la progressiva “laicizzazione” della società contemporanea che riguarda tutte le religioni. Per quanto riguarda quella islamica in specie, oggi – ad esempio – circa un quinto dei sauditi si dichiara non credente, nell’ambito di un Islam che negli ultimi 60 anni è arretrato non nei riguardi delle altre fedi, bensì verso la pratica e la convinzione religiosa, fenomeno questo che tuttavia, come è noto, riguarda indistintamente anche i cristiani, i buddisti, gli induisti, i taoisti.

Ci sia consentito evidenziare a livello politico un fatto di significativa importanza: 1 febbraio 2017 al Viminale il ministro Minniti firmò il Patto nazionale per un Islam italiano, con i rappresentanti delle associazioni e della comunità islamiche presenti nel nostro Paese. Tra i punti qualificanti, c’è il principio che la libertà di culto rappresenta un valore inalienabile, in ordine al quale – sottolineava il ministro – uno Stato non può imporre delle regole a una religione, ma deve promuovere un’intesa che rappresenti un incontro di libere volontà in condizioni paritetiche tra i sottoscrittori. Tra le misure concordate: la promozione di una formazione per gli imam con l’aiuto del Viminale, per scongiurare il pericolo di predicatori “fai da te”; la possibilità di accesso anche ai non musulmani ai luoghi di preghiera; la trasparenza dei sermoni mediante l’uso della lingua italiana; la pubblicità dei nomi degli imam; la tracciabilità dei finanziamenti nella costruzione delle moschee in Italia. Il Ministero dell’Interno, da parte sua, si impegnò a costruire tavoli interreligiosi e a organizzare un incontro con i giovani musulmani di seconda generazione dove poter discutere di diritti e doveri.

Il patto – precisò Minniti – era prodromico a un percorso che sarebbe terminato con la definizione di un’intesa vera e propria. Il 21 settembre del 2017 in un’intervista giornalistica, lo stesso ministro ribadì in linea più generale che “sull’ integrazione si giocherà il futuro delle grandi democrazie d’Occidente. Abbiamo perciò un forte bisogno di chiarezza e una ricerca così articolata aiuta a far uscire dalle questioni di principio, il fondamentale tema dell’integrazione e lo trasforma in una questione concreta su cui riflettere”. Il grado di civiltà di un Paese andava misurato soprattutto attraverso due indicatori: il rapporto uomo-donna e quello tra politica e religione, sui quali principi affermò che la linea dell’Italia sarebbe stata una sola: “I nostri valori vanno a tutti i costi assimilati chi ritiene che la donna debba essere succube dell’uomo e la legge dello Stato succube della legge di Dio (la Shari’a) si pone automaticamente fuori dalla nostra civiltà giuridica. Esistono valori non negoziabili, e su questi abbiamo il dovere di non arretrare”. Obiettivo del Governo del tempo fu quello di “passare dal patto all’intesa”, al qual fine bisognava che a rappresentare i musulmani d’Italia vi fosse un unico interlocutore. A ciò doveva affiancarsi un Piano per l’integrazione, impostato su due punti chiave: “Incentivare la conoscenza della lingua italiana e incoraggiare al massimo la formazione culturale a partire, ovviamente, dal ferreo rispetto dell’obbligo scolastico”. Dalla nostra terra sarebbe potuto ripartire – come auspicato dall’imam di Firenze – il cammino della civiltà, nella consapevolezza che solo attraverso la strada del confronto, del mutuo rispetto e della reciproca accoglienza, poteva progredire l’umanità tutta, rischiarata da quel faro di luce che già nella Rinascenza medievale del secolo XII aveva rischiarato le menti ed i cuori dei popoli civili.

L’8 ottobre del 2021 il grande imam di Al-Azhar parlando con i media vaticani del suo rapporto con Papa Francesco affermò: “Fin dal primo minuto del nostro incontro ho avuto conferma che lui è uomo di pace e di umanità. L’enciclica (Fratelli tutti) è un appello a creare una vera fratellanza dove non ci sia spazio per la discriminazione sulla base delle differenze di religione, di razza, di genere o per altre forme di intolleranza. Mi sono reso conto che il messaggio della religione può portare i frutti desiderati solo se è annunciato da credenti fedeli, riconciliati per primi fra di loro. Ho compreso che le religioni monoteiste apparse nel corso della storia hanno una sola fonte, Dio, il Glorioso, l’Altissimo. Abbiamo dei testi chiari nel sacro Corano che dicono che quello che è stato rivelato da Dio a Maometto è lo stesso che è stato rivelato ad Abramo e Mosè e Gesù. C’è una fonte unica. Si tratta di tutto ciò che è utile per l’umanità come valori, insegnamenti e comandamenti, che non sono differenti fra una religione e un’altra. Era questo che mi ha indotto a partire e a mettermi accanto ai miei fratelli e colleghi rappresentanti delle religioni, per scoprire questi elementi comuni, e grazie a Dio andiamo riconciliati verso la gente sperando che questo aiuti ad alleviare i dolori dell’uomo di oggi.

L’enciclica è utile per i musulmani e nello stesso momento per gli altri, perché dice che siamo tutti fratelli. E il Corano dice ai musulmani: avete dei fratelli e siete uguali nell’umanità. Noi diciamo che l’uomo è simile o uguale a me ed è un mio fratello nell’umanità. Può essere fratello di religione, ma può essere per me anche un fratello di umanità. Questo è il centro dell’enciclica Fratelli tutti”. Il 3 febbraio di quest’anno 2025 la regina Rania di Giordania, volto angelico dell’universo arabo e ambasciatrice di pace, si è recata in Vaticano e ha richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale sul dramma dei bambini palestinesi, intrappolati nella Striscia di Gaza, ormai senza scuola e senza diritti a causa della guerra. Rania ha sottolineato la condizione dell’infanzia tradita della “Palestina, in Sudan, Yemen, e Myanmar” dove non vi sono prospettive per il futuro della popolazione in generale e dei più piccoli in particolare. “A Gaza – ha detto la regina – è appena stato fatto uno studio scioccante sullo stato psicologico dei bambini più vulnerabili: il 96 per cento ha riferito di sentire che la loro morte era imminente. Quasi la metà ha dichiarato di voler morire. Non per diventare astronauti o pompieri, come gli altri bambini. Semplicemente volevano essere morti. Come abbiamo permesso che la nostra umanità arrivasse a questo?”, si è chiesta la sovrana di Giordania. Tra le tenebre di una conflittualità armata, filtrano significativi raggi di luce: ci sono le condizioni per le quali possiamo uscire da un periodo di decadenza, confortati dall’insegnamento di Benedetto Croce sull’interpretazione storica, giusta il quale insegnamento i periodi della decadenza medesima, vanno ritenuti momenti eterni del progresso, che si svolge come una spirale e non nella continua ascesa illusoriamente configurata nell’Ottocento.

Aggiornato il 04 febbraio 2025 alle ore 13:08

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